SCIENZA E RICERCA

Il lungo esperimento evoluzionistico di Richard Lenski cambia casa

Una delle critiche più comuni che viene solitamente fatta alla teoria dell’evoluzione è che si occupa di studiare e descrivere un fenomeno, l’evoluzione appunto, che non è riproducibile in laboratorio. Da circa 35 anni però gli evoluzionisti possono rispondere che non è vero, perché un ricercatore visionario ha deciso nel 1988 di iniziare un esperimento che oggi è ancora in corso: è il Long Term Evolutionary Experiment (LTEE, esperimento evoluzionistico a lungo termine) e raccoglie dati sui meccanismi di adattamento e sui ritmi del cambiamento evolutivo mano a mano che questi avvengono, in laboratorio.

Affascinato dalle grandi domande aperte, Richard Lenski, professore di biologia evoluzionistica alla Michigan State University di East Lansing, ha deciso di mettere in piedi un esperimento relativamente semplice che consente di osservare in diretta i processi evolutivi e i loro effetti su chi ne è protagonista. Nella fattispecie sono stati scelti come organismi modello dei batteri molto ben conosciuti e studiati, gli Escherichia coli, per cui sono disponibili protocolli sperimentali molto rodati e affidabili.

L’esperimento è partito da un gruppo di cellule geneticamente identiche tra loro (l’antenato comune). L’alto tasso di riproduzione di questi batteri ha permesso di ottenere presto 12 popolazioni, sistemate in altrettante fiaschette munite di un terreno di coltura contenente i nutrienti necessari alla sopravvivenza e alla riproduzione. “L’obiettivo iniziale era quello di raggiungere le 2.000 generazioni” racconta Richard Lenski in un’intervista recente a Nature. Quest’anno l’esperimento ha compiuto 34 anni e a maggio ha superato le 75.000 generazioni.

“Mantenerlo è stato molto semplice” spiega Lenski. “Per lo più bisognava cambiare il terreno di coltura ai batteri e ogni tanto congelare qualche campione nei freezer per poterli usare più avanti. Il carico di lavoro di una persona è di solito mezz’ora al giorno”, seppur 365 giorni all’anno, perché l’evoluzione non si ferma né nei fine settimana, né durante le vacanze.

Le difficoltà e gli imprevisti non sono mancati e la pandemia, a inizio 2020, ha interrotto l’LTEE per qualche mese, durante i quali tutte le linee evolutive sono state congelate. A settembre dello stesso anno però gli esperimenti, e la riproduzione dei batteri, sono ripresi.

Nel corso degli anni oltre ai batteri del LTEE sono evolute anche le tecnologie, come ad esempio quelle di sequenziamento del genoma, che sono diventate sempre più precise, rapide ed economiche e hanno permesso a Lenski e colleghi di comprendere meglio il rapporto tra il cambiamento nel tempo dell’espressione fenotipica e le modifiche al sottostante corredo genetico.

Gli E. coli sono batteri la cui riproduzione è asessuata, quindi l’esperimento può permettersi di non considerare la complessità del rimescolamento genico che avviene in organismi più complessi (la cui popolazione si divide appunto in due sessi) e concentrarsi su processi fondamentali dell’evoluzione come le mutazioni, la selezione naturale e la deriva genetica.

Un pallino di Lenski era anche quello di riuscire a rendere ripetibile l’evoluzione. Stephen J. Gould, evoluzionista di Harvard, nel suo libro La vita meravigliosa sosteneva che se potessimo riavvolgere il nastro dell’evoluzione della vita sulla Terra e schiacciare play nuovamente, difficilmente otterremmo lo stesso film. Questo perché secondo Gould la contingenza (un concetto che si pone a metà strada tra caso e necessità) giocherebbe un ruolo chiave nei fenomeni evolutivi.

Con minuscole differenze sparse qua e là lungo le ere geologiche, l’evoluzione avrebbe prodotto risultati diversissimi da quelli che oggi osserviamo. Ad esempio, se la traiettoria di un asteroide fosse stata leggermente diversa e non avesse colpito la Terra 66 milioni di anni fa estinguendo i dinosauri, i mammiferi avrebbero trovato lo spazio ecologico per prosperare? L’uomo sarebbe comparso sul pianeta?

Purtroppo, o per fortuna per noi, non lo sappiamo, perché la storia della vita sulla Terra è una sola e noi non siamo in grado di vedere uno svolgimento e un finale alternativi. Lenski però, congelando a diversi stadi popolazioni di batteri con le medesime caratteristiche e scongelandole in diversi momenti, è riuscito ad arrestare e riavviare più volte il nastro della loro piccola storia evolutiva in laboratorio: è riuscito a vedere come sarebbe andata l’evoluzione dei suoi batteri una seconda, una terza, una quarta volta e così via. E ha visto risultati che nemmeno lui si aspettava.

“La mia idea, iniziando l’esperimento, era che tutti i ceppi andassero avanti in direzioni molto diverse tra loro”. Lenski si aspettava una notevole differenziazione nel tempo da parte dei suoi batteri. “All’inizio pensavo che il caso e la contingenza avrebbero avuto un ruolo molto più ampio di quello che in realtà hanno avuto. Nel corso degli anni abbiamo invece visto un’incredibile capacità riproduttiva”.

Lenski infatti nota che sebbene le varie linee evolutive abbiano tutte aumentato la propria fitness (un valore che misura quanta discendenza un individuo produce, che è dunque misura dell’adattamento), rispetto ai propri antenati anche dell’80%, la differenza di fitness tra diverse linee evolutive è risultata essere molto piccola. “Quindi la fitness di tutti è incredibilmente aumentata nel tempo, e lo hanno fatto tutti in un modo molto simile l’uno all’altro”.

Qualche divergenza sostanziale però è stata osservata tra diverse linee evolutive. “A circa 30.000 generazioni una delle 12 linee evolutive ha evoluto la capacità di metabolizzare il citrato (una sostanza presente nel mezzo di coltura che facilita l’assorbimento del ferro, ndr) invece del glucosio. Dopo 75.000 generazioni è ancora la sola linea ad aver evoluto questa capacità”.

Solitamente E. colli sviluppa la capacità di nutrirsi di citrato in assenza di ossigeno (condizioni anaerobiche), ma una delle linee del LTEE l’ha evoluta in presenza di ossigeno (condizioni aerobiche), dando sfoggio di un formidabile adattamento, battezzato “Cit+”.

Lenski e colleghi sono allora andati a scongelare batteri di una popolazione ancestrale che non aveva evoluto “Cit+” per confrontare i genomi delle due popolazioni. In quella Cit+, due geni coinvolti nell’utilizzo del citrato non risultavano più distinti bensì uniti in un nuovo gene con nuove funzionalità.

Il risultato è stato considerato una spettacolare conferma di quello che il genetista Francois Jacob, Nobel per la medicina nel 1965 assieme a Jacques Monod (autore de Il caso e la necessità), aveva chiamato bricolage evolutivo: le innovazioni non nascono dal nulla, ma dal riutilizzo creativo di ciò che già c’è a disposizione. L’economia circolare, insomma, non l’abbiamo inventata noi.

Dal 21 giugno di quest’anno l’esperimento evoluzionistico più lungo di sempre ha un nuovo supervisore: Jeffrey Barrick dell’università del Texas, a Austin. Nel 2007 era entrato nel laboratorio di Lenski, attorno alla generazione 40.000. Ora con un finanziamento di almeno altri 5 anni da parte della National Science Foundation statunitense, Barrick prenderà le redini di tutta l’impresa.

“Ho 65 anni e sebbene non è nei miei piani andare in pensione nei prossimi anni, il mio laboratorio sta diventando più piccolo, in termini di personale” commenta Lenski. “Una delle cose importanti invece mantenere un ritmo giornaliero. Un laboratorio con una mezza dozzina di persone o più è in grado di organizzarsi per i turni nei fine settimana o durante le vacanze. Per questo ho chiesto a Jeff di dirigere l’esperimento”.

Un’altra delle aspettative scientifiche di questo esperimento era che il genoma dei batteri diventasse più piccolo nel tempo. “Molti batteri che si trovano in un ambiente semplice e costante nel tempo finiscono per vedere rimpicciolito il proprio genoma” commenta Barrick. “E una delle cose più sorprendenti che abbiamo osservato è che il genoma dei nostri E. coli, nonostante siano in un ambiente semplice e controllato, non si è ridotto di tanto”.

Ma 34 anni e 75.000 generazioni del resto non sono che una goccia nel secchio profondo dell’evoluzione, fa notare Lenski: “se potessimo vederli diciamo tra un milione di anni i nostri batteri probabilmente avrebbero un genoma estremamente ridotto. Il che è un’ottima ragione per andare avanti”.

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