SCIENZA E RICERCA

La medicina tradizionale

Parliamo, dunque, di medicina tradizionale. Lo facciamo alla luce del capitolo che le ha dedicato, per la prima volta, la World Health Organization (WHO), nell’ICD-11, la nuova versione dell’International Classification of Diseases, un rapporto piuttosto importante sulla classificazione delle malattie pubblicato periodicamente dall’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa della salute a scala globale.

Ma parliamo di medicina tradizionale, cinese e non, alla luce di due articoli (qui e qui), molto diversi tra loro, che Il Bo Live ha di recente pubblicato. Per ragioni diverse, nessuno dei due articoli rappresenta “la linea del giornale”. Entrambi, però, sia pure in maniera diversa, ci aiutano a entrare nel vivo del dibattito. Di un dibattito che riteniamo non solo utile, ma anche necessario. Per i motivi che cercheremo di illustrare. Non prima, però, di aver fatto una premessa che dovrebbe sgombrare il campo da ogni possibile equivoco.

Noi riteniamo a Il Bo Live che l’unica medicina valida da un punto di vista sanitario, epistemologico ed etico sia quella scientificamente validata, attraverso i processi rigorosi della comunità scientifica internazionale. Su questo non possono esserci dubbi. Così come non ci sono dubbi che la schiacciante maggioranza delle pratiche che vanno sotto il nome di medicina tradizionale (cinese, indiana, africana, sudamericana ma anche europea) non ha avuto, a tutt’oggi alcuna validazione scientifica. Per cui non può essere considerata in alcun modo una medicina valida.

Tuttavia le cose non sono così semplici. Non fosse altro perché alla medicina tradizionale fanno riferimento alcune centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. E, dunque, non può essere ignorata. Di recente il presidente cinese Xi Jinping ha definito “una gemma” la medicina tradizionale del suo paese e l’ha posta in primo piano nel suo Sogno per il rinnovamento della Cina. Il presidente della nazione più popolata al mondo, ormai diventata una superpotenza scientifica, è convinto che la medicina tradizionale cinese sia una fonte preziosa di nuovi medicamenti e di nuove terapieNon sappiamo su cosa fondi questa convinzione. Non azzardiamo ipotesi. Ricordiamo però che esattamente due anni fa, nel mese di luglio 2017 è entrata in vigore una legge in Cina, finanziata con l’equivalente di 260 milioni di dollari, che si propone sia la diffusione delle antiche pratiche mediche sia una formazione specialistica per i medici che la praticano. Il tutto nell’ambito dell’Healthy China, una Cina più in salute.  

Se questa integrazione e complementazione dell’antica medicina cinese con quella scientifica non avverrà sulla base di una metodologia rigorosamente scientifica, la “gemma” di Xi Jinping non diventerà mai un brillante. Anzi, rappresenterà un clamoroso passo indietro.

In realtà, come ha rivelato poco tempo fa il settimanale ingleseThe Economistla medicina tradizionale cinese era già (ed è tuttora) in una fase di ascesa in Cina. Gli ospedali che aderiscono a questo approccio sono passati dai 2.500 del 2003 ai 4.000 del 2015. I medici specializzati in medicina tradizionale sono 420.000 e sono aumentati del 50 per cento rispetto al 2011. Mentre l’Agenzia cinese per i farmaci e l’alimentazione ha approvato l’utilizzo di almeno 60.000 sostanze dell’antica medicina. Sostanze che, nel 2017, rappresentavano un terzo del mercato cinese dei farmaci: il secondo al mondo dopo quello degli Stati Uniti. Nel 2015, infine, sono state somministrate 910 milioni di prestazioni con la medicina tradizionale cinese: pari al 16% del totale (erano il 14% nel 2011). Ma, secondo la rivista scientifica Nature il governo di Pechino punta a una copertura della domanda sanitaria a opera della medicina tradizionale compresa tra il 26 e il 30 per centro entro l’anno prossimo il 2020. 

Un discorso analogo può essere fatto per l’India e per altri paesi dell’Asia. Andrebbe invece modulato in maniera diversa per l’Africa e il Sud America. Ma il dato sostanziale è che le svariate medicine tradizionali interessano una vasta parte della popolazione mondiale

E non solo fuori dal mondo occidentale e dai centri di ricerca e/o clinici dove si pratica la medicina scientifica. Facciamo qualche esempio. In Italia ci sono svariate università pubbliche dove vengono tenuti corsi di medicina tradizionale, agopuntura compresa. A Roma, Bologna, Verona, Siena e tante altre. In Olanda ci sono corsi di formazione presso la Universiteit Leiden. A Londra il Royal London Hospital for Integrated Medicine, che fa capo anche al prestigioso UCL (University College London) eroga trattamenti integrati di medicina scientifica e tradizionale. Ed è solo da tre anni che questi trattamenti non sono più coperti dal sistema sanitario nazionale. Detto per inciso (anche se non c’entra molto), è solo due settimane fa che la Francia ha riconosciuto non scientificamente validata l’omeopatia e ha sospeso il rimborso pubblico delle spese di chi si rivolge alla medicina omeopatica. 

C’è molta confusione, anche in Occidente.

Ma c’è di più. La WHO, la massima istituzione mondiale della sanità, non è affatto drastica nell’approcciarsi alla medicina tradizionale. Di recente, nel WHO Global Report on Traditional and Complementary Medicine 2019, il direttore generale dell’Agenzia che ha sede a Ginevra, Tedros Adhanom Ghebreyesus, dopo aver preso atto del crescente revival delle medicina tradizionali e complementari, ha sostenuto che: «La medicina tradizionale e complementare (T&CM) è un’importante e spesso sottostimata risorsa con molte applicazioni, soprattutto nella prevenzione e nella gestione di malattie croniche legate allo stile di vita e nel soddisfare i bisogni di salute delle popolazioni anziane». 

Lo diciamo (anzi, lo ripetiamo) con tutto il rispetto (peraltro dovuto) per la WHO e per il suo direttore generale: tutto ciò non conferisce in nessun modo validità scientifica alle medicine tradizionali.

Ma data l’ampia diffusione – non solo tra la popolazione di svariati paesi ma anche in centri scientifici e di alta formazione molto accreditati – il tema delle medicine tradizionali è di estremo interesse, anche perché potrebbe creare (e crea) molti problemi epistemologici, etici e soprattutto sanitari. Di qui la domanda: potrebbero essere queste medicine, talvolta antiche di millenni, in qualche modo utili ed efficaci?

La risposta a questa domanda non è semplice: soprattutto per mancanza di conoscenze scientifiche adeguate. Lasciamo, dunque, che a rispondere siano gli insospettabili NIH, i National Institutes of Health, l’agenzia federale degli Stati Uniti che finanzia la (migliore) ricerca medica al mondo.

Quanto conosciamo della medicina tradizionale cinese, si chiedono gli NIH?

Risposta. «Gli approcci della medicina tradizionale cinese (come l’agopuntura, il tai chi e le erbe con i loro prodotti) sono stati oggetto di molti studi clinici e di review scientifiche». Malgrado ciò, aggiungiamo noi, conosciamo abbastanza poco. 

Cosa conosciamo dell’efficacia della medicina tradizionale cinese? 

«Alcune pratiche che riguardano la mente e il corpo nella medicina tradizionale cinese, come l’agopuntura e il tai chi, potrebbero essere d’aiuto nel miglioramento della qualità della vita e in certe condizioni di dolore. Gli studi sui prodotti delle erbe usati nella medicina tradizionale cinese per una gamma di condizioni mediche hanno generato risultati non chiari (libera nostra traduzione della parola inglese mixed, ndr)».

Cosa sappiamo, infine, sulla sicurezza di queste pratiche?

«Alcuni prodotti delle erbe usate nella medicina tradizionale cinese sono stati contaminati da composti tossici, metalli pesanti, pesticidi e microorganismi e potrebbero avere seri effetti collaterali. Anche errori nella manifattura, in cui alcune erbe sono state sostituite con altre, hanno generato serie complicazioni». 

Per saperne di più, rimandiamo al sito degli NIH.

Riassumendo. Pochissimi delle decine di migliaia di prodotti delle medicine tradizionali, cinesi e non, sono stati analizzati con metodo scientifico. Una quota molto piccola dei pochissimi prodotti testati ha dimostrato in maniera inoppugnabile di essere in qualche modo efficace (più efficaci di un placebo e/o più efficaci di farmaci industriali scientificamente validati), in casi non trascurabili questi prodotti possono arrecare danni. 

Ricordiamo, a questo punto, che c’è almeno un caso in cui gli estratti di un’erba, l’Artemisia annua – una pianta originaria della provincia cinese dello Hunan – ha dimostrato, in termini scientifici inoppugnabili, di essere in grado di combattere in maniera molto efficace la malaria. Questo prodotto ha consentito di salvare decine di milioni di vite umane ed è un esempio riuscito di quella integrazione della medicina tradizionale cinese con la medicina scientifica di cui si fa promotrice in qualche modo la WHO. La donna che ha realizzato questa integrazione, dimostrando con analisi scientifiche rigorose l’efficacia degli estratti dall’Artemisia annua, dopo aver studiato una ricetta di 1600 anni della medicina tradizionale del suo paese, si chiama Youyou Tu, ed è stata la prima cinese a vincere un Nobel, nel 2015.

L’esempio di Youyou Tu e dell’Artemisia annua ci dice poco, anche se è accompagnato da altri esempi utili di erbe e loro estratti che sembrano avere efficacia medica. Tuttavia fornisce un’indicazione interessante a chi intende affrontare il tema delle medicine tradizionali in termini laici. Senza preconcetti.

Possiamo partire da una certezza: tutte le teorie, antiche e moderne, che cercano di spiegare perché queste pratiche funzionano (quando funzionano) sono paccottiglia. Frutto di un sapere magico o al più di un’empiria abbastanza ingenua. Non è sul piano teorico che può avvenire una qualche forma di integrazione.

L’unica integrazione possibile è l’analisi empirica specifica, prodotto per prodotto, tecnica per tecnica, applicazione per applicazione. Tutto il resto non ha validità alcuna. 

Bene, la domanda a questo punto è: vale la pena spendere grandi risorse per testare migliaia e migliaia di prodotti, tecniche e applicazioni? La risposta è: forse sì. Perché i principi attivi presenti nella farmacopea scientificamente validati vengono quasi tutti dalle erbe e o da altri organismi viventi. D’altra parte le grandi aziende biotech sono a caccia di molecole presenti in natura e spesso le vanno a cercare negli ecosistemi (per esempio le foreste tropicali) frequentati per lo più da popolazioni che utilizzano la medicina tradizionale.

Dunque, sempre per non dar adito a equivoci, diciamo che l’integrazione della medicina scientifica con quella tradizionale può avvenire solo sulla base della verifica basata sull’evidenza, appunto, scientifica. Nulla di più. Ma anche nulla di meno.

Come muoversi nel mare magnum delle offerte della medicina tradizionale per validarle? Un indicatore, forse utile (solo un indicatore, per carità) è la storia della medicina. Un’analisi storica molto approfondita delle infinite proposte delle medicine tradizionali può essere un primo filtro. Non esaustivo. Non predittivo, ma forse utile per non muoversi del tutto a caso. 

Un’ultima notazione. Sono molti anni che un farmacologo italiano di grande fama e rettitudine, Silvio Garattini, va dicendo che molti dei farmaci presenti nel prontuario non provenienti dalla medicina tradizionale ma autorizzati da commissioni scientifiche, sono in realtà inutili e talvolta persino dannosi

Non è per fare ingiustificate comparazioni. Ma non è, per caso, che occorrerebbe sottoporre anche questi farmaci a test di efficacia scientificamente validi, evidence-based?

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