SOCIETÀ

Il Mediterraneo conteso di Turchia e Grecia

Kastellorizo è un meraviglioso isolotto di 9 chilometri quadrati, l’ultima efelide dell’arcipelago greco, la più orientale, a poco più di un solo miglio marino dalle coste turche. E se in passato il suo nome (Castelrosso nella traduzione italiana) era diventato noto perché proprio qui Gabriele Salvatores aveva ambientato il film premio Oscar Mediterraneo, oggi l’isola è al centro di un’intricata vicenda geopolitica che racconta molto dell’attuale intraprendenza della Turchia e del ruolo che Erdogan vorrebbe assumere non soltanto nel Mediterraneo, ma come punto di riferimento dell’intero Medio Oriente. L’isola è greca, ma la Turchia contesta il divieto d’esplorazione delle sue acque: lì sotto c’è il gas, un tesoro immenso che fa gola a molti. E in ballo c’è il progetto del gasdotto EastMed, già approvato da Israele, Cipro e Grecia, che Ankara vorrebbe bloccare (e vedremo tra poco perché). La tensione è tornata altissima nei giorni scorsi quando Erdogan ha inviato navi, militari e non, in acque territoriali formalmente greche, per effettuare esplorazioni dei fondali per una “ricerca antisismica”. Atene ha reagito con durezza parlando di “missioni illegali” e richiamando i soldati in licenza, lasciando immaginare una risposta bellica. Per evitare l’escalation è dovuta intervenire la cancelliera tedesca, e presidente di turno dell’Ue, Angela Merkel. Mediazione riuscita: Ibrahim Kalin, portavoce del presidente Recep Tayyip Erdogan, ha annunciato alla Cnn turca che le attività saranno sospese «per un po’ di tempo». Per poi aggiungere: «Siamo pronti a discutere con la Grecia, nostro importante vicino, senza condizioni». Il ministro degli esteri greco, Nikos Dendias, ha parlato di “sviluppo positivo”: «La Grecia è sempre aperta al dialogo con la Turchia, ma non sotto un regime di minacce, insulti e tentativi di metterci di fronte a un fatto compiuto». Ma nulla si fa per nulla: la Turchia avrebbe fatto un passo indietro in cambio della garanzia da parte della Merkel (e dell’Ue) che la richiesta di sanzioni alla Turchia per “violazioni della sovranità di Grecia e Cipro”, avanzata dal presidente francese Macron («Non è accettabile che lo spazio marittimo di uno Stato membro della nostra Unione venga violato o minacciato»), non avrebbe avuto seguito.

Il gasdotto della discordia

La questione dunque non è risolta: è soltanto in pausa. A monte c’è la definizione delle cosiddette ZEE (Zone Economiche Esclusive) che garantiscono allo Stato costiero diritti sovrani per lo sfruttamento delle risorse naturali nel Mediterraneo, oltre all’installazione e l’utilizzo di strutture fisse. La ZEE si estende per 200 miglia marine dalla costa (il che, nel caso di Kastellorizo, porta la ZEE greca contigua a quella cipriota). Ma l’isolotto dista circa 2 chilometri dalla costa turca, che quindi contesta l’attribuzione di territorialità perché in conflitto con i diritti turchi. In questo quadro c’è il tema dei due gasdotti. Il primo, quello attuale e funzionante, è il gasdotto trans-anatolico Tanap, che dall’Azerbaijan (non proprio Russia, ma quasi) passando per la Turchia approvvigiona Grecia e Italia. L’altro è, appunto, EastMed: una linea (ancora teorica) di approvvigionamento di gas proveniente dai giacimenti israeliani che arriverebbe a Cipro, Grecia, Italia e altri paesi europei con l’accordo anche dell’Egitto: un tracciato di circa duemila chilometri con una capacità di trasporto di 11 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Il progetto (che per l’Italia sarebbe vantaggioso anche soltanto per avere un’alternativa al gas azero) è ancora sulla carta. La pandemia peraltro ha di molto frenato la tabella di marcia: difficile ipotizzare oggi se sarà realizzato o meno. Ma qualora si facesse, la Russia e la Turchia sarebbero tagliate fuori dal controllo della fornitura di gas al Sud Europa. Una partita di fondamentale importanza sia economicamente, sia per rimarcare una “sovranità” sull’area.

La strategia di Erdogan

E proprio l’intenzione di ostacolare con ogni mezzo il progetto EastMed sarebbe alla base dell’accordo firmato dalla Turchia con il governo libico di Fayez al-Serraj, che da mesi sta fronteggiando l’avanzata del generale Khalifa Haftar, inizialmente preponderante grazie anche al sostegno di Russia, Egitto e Francia, e che ora appare invece in difficoltà. L’accordo bilaterale turco-libico, firmato lo scorso novembre, puntava proprio a questo: ridefinizione dei nuovi confini marittimi con la Libia in cambio di protezione militare. Una mossa azzardata (ma efficace, a vedere gli attuali risultati)  che ha messo Erdogan e Putin (un altro che ha messo da parte le ideologie per puntare sul pragmatismo) su fronti diametralmente opposti, in un intreccio di interessi (amici di qua, nemici di là) che a volte si fa fatica a interpretare. Il vero obiettivo di Erdogan, per quanto riguarda l’argomento gas, è uno soltanto: aprire un negoziato e farne parte. Pretendere per la Turchia un ruolo, una presenza. «Per piazzare una bandierina nella contesa sulle acque territoriali del Mediterraneo Orientale in vista dello sfruttamento delle ingenti risorse di gas che in quelle acque si trovano», come sintetizza Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Erdogan, in soldoni, pretende di accreditare la Turchia come indispensabile hub della politica energetica tra Medio Oriente e Sud Europa del gas. Sembra dire: “qualsiasi cosa accada sul tema, in quest’area, non possiamo essere esclusi dalla trattativa”. Quasi un diritto geopolitico che trascende e scavalca i trattati internazionali.

Il nuovo Califfato

Che Erdogan sia un leader ambizioso e temerario non è una novità. Uno che non ha paura di andare contromano, anche a rischio di spezzare una coesione, un sentimento comune, una convivenza. Prova ne sia il recente esempio dell’ex basilica di Santa Sofia, che il “sultano” ha deciso di riconvertire da museo a moscheasuscitando ira e stupore in ogni angolo del mondo e mandando in frantumi il sogno di Mustafà Kemal “Ataturk”, che nel 1935 l’aveva trasformata in un monumento trasversale interculturale di tolleranza, simbolo laico della giovane repubblica turca nata nel 1929. Che bisogno aveva Erdogan di lanciare un attacco così violento e prepotente alla storia più recente della Turchia? C’è chi sostiene che la scelta di cavalcare il nazionalismo religioso serva al leader turco per proporre una nuova egemonia ai musulmani della regione, per “distrarli” dall’affrontare ben altri problemi, dovuti alle difficoltà economiche, peraltro aggravate dal diffondersi della pandemia. Quasi ad alimentare uno scontro di civiltàfuori dai tempi, fuori da qualsiasi logica. Scrive Riccardo Cristano su Globalist: « Erdogan ora minaccia di coprire con teli neri i mosaici di Santa Sofia. Sarebbe la logica conseguenza di una assurda decisione contro la storia e contro l’Islam, come tante altre ne sono state prese nei secoli da fanatici che si dicevano seguaci di Allah». 

Formalmente Erdogan ha spiegato così la sua scelta: accontentare le pretese dei partiti islamici, conservatori e nazionalisti, che sono lo zoccolo del suo consenso (in calo). Inoltre, per lanciare un monito al mondo esterno sulla supremazia della Turchia che non si fa spaventare da nessuno, tantomeno dalla storia. E tanto è bastato per riaccendere nuove pretese dalle frange più estreme del nazionalismo turco. La proposta (provocazione) arriva dal settimanale Gerçek Hayat, legato al quotidiano ultraconservatore e filogovernativo Yeni Şafak. Il titolo dell’ultima copertina recita: “Raduniamoci per il Califfato”. Seguito dal sottotitolo:  “Se non ora quando? Se non tu, chi?” Un messaggio scritto, oltre che in turco, anche in inglese e in arabo, quasi a voler inviare un appello su scala internazionale al mondo musulmano. Un eccesso perfino per il partito di governo Akp, che per evitare fraintendimenti è stato costretto a dichiarare ufficialmente: «La Repubblica di Turchia è uno Stato sociale e di diritto democratico e laico. La nostra Repubblica rimarrà per sempre». Intanto l’Unesco ha dichiarato che Santa Sofia potrebbe essere tolta dalla lista del patrimonio mondiale. Lo stesso Erdogan si è poi impegnato a conservare (e meno male) i mosaici d’ispirazione cristiana che si trovano all’interno della ex Basilica.

Censura sui social e la protesta delle donne

Ma la Turchia non smette di far parlare di sé, con la sua impostazione oscurantista, intollerante, da velo nero, da chiusura con il mondo esterno. L’ultima notizia riguarda l’emanazione di una legge da parte del Parlamento turco che consentirà al governo un maggior controllo sui social media. In pratica le grandi aziende, da Facebook a Twitter, da Instagram (molto diffuso nel paese) a Youtube dovranno avere un referente locale che vigilerà sui contenuti che dovranno essere “in linea” con le norme vigenti in Turchia. I contenuti fuorilegge dovranno essere eliminati. Se la società non nominerà un rappresentante ufficiale, la legge impone multe pesanti, divieti di raccolta pubblicitaria fino a “riduzioni della larghezza di banda”: oscurare, appunto. Amnesty International grida alla censura: «E' una chiara violazione del diritto alla libertà di espressione online».

Tutto questo mentre resta altissima la tensione interna sulla questione della violenza contro le donne. I gruppi islamisti, che proprio grazie all’attuale politica di Erdogan si sentono legittimati ad alzare le pretese, stanno chiedendo a gran voce al governo di ritirarsi dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, aperta proprio a Istanbul nel 2011 con la Turchia primo paese a ratificarla, nel 2012, quando il Parlamento era già controllato dall’Akp, il partito di Erdogan. Da qui le proteste che stanno dilagando nel paese, anche sulla scia dell’indignazione per l’omicidio di una ragazza di 27 anni, Pinar Gultekin, strangolata dal suo ex fidanzato (non sembra tuttavia ci siano legami con i milioni di foto in bianco e nero di donne pubblicate negli ultimi giorni su Instagram). Le frange più estreme dei partiti conservatori ritengono che la Convenzione di Istanbul sia “portatrice di valori contrari alla nazione turca”. 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012