SCIENZA E RICERCA

Mediterraneo. Il nuovo modello ENEA stima l'aumento del livello del mare fino al 2100

Il livello del mare nel bacino del Mediterraneo potrebbe essere più alto di ben 80 cm entro la fine del secolo. Questo è quanto emerge da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell'ENEA e pubblicato su Climate Dynamics. Gli autori, guidati da Gianmaria Sannino, responsabile del Laboratorio di modellistica climatica e impatti, hanno sviluppato un modello matematico altamente avanzato, chiamato MED16, che permette di stimare la variabilità del livello del mar Mediterraneo nei prossimi 100 anni. Si tratta di un modello climatico unico al mondo, il primo capace di riprodurre in maniera efficace l’evoluzione della circolazione delle correnti nel bacino del Mediterraneo che, a causa della sua scala ridotta e della complessità dei fenomeni oceanografici che lo interessano, è molto difficile da rappresentare fedelmente nei modelli globali. Il percorso scientifico che ha portato allo sviluppo di MED16 è iniziato più di 10 anni fa e ha permesso, passo dopo passo, di rispondere ad alcune domande che un tempo sembravano impossibili da affrontare.

“Le prime ricerche che hanno costituito la base per la realizzazione di questo modello riguardavano la circolazione nello stretto di Gibilterra”, racconta Sannino a Il Bo Live. “Questo è un luogo estremamente affascinante per l’oceanografia perché, nonostante le sue dimensioni ridotte, vi si verificano fenomeni idrodinamici particolarmente interessanti. Possiamo infatti considerare lo stretto di Gibilterra come una sorta di imbuto che filtra la maggior parte delle maree provenienti dall’oceano Atlantico. Sono proprio queste maree che determinano un’accelerazione del flusso d’acqua nei pressi dello stretto. Si tratta dello stesso principio per cui, quando si innaffia il giardino e si vogliono raggiungere le piante più lontane con il getto d’acqua, bisogna strizzare il tubo. Lo stretto di Gibilterra ha lo stesso effetto: accelera di molto l’intensità delle correnti, che negli oceani si aggirano attorno a qualche centimetro al secondo e che invece in questo luogo superano il metro al secondo.

Le maree, l’intensa velocità delle correnti e la presenza di un altissimo rilievo sottomarino chiamato Soglia di Camarinal, determinano nello stretto di Gibilterra un altro singolare fenomeno: il mescolamento delle acque atlantiche e mediterranee. In questo luogo si incontrano infatti una corrente di superficie proveniente dall’Atlantico e una opposta che lascia il Mediterraneo e va verso l’oceano. Quest’ultima è particolarmente salata poiché il bacino del Mediterraneo è altamente evaporativo e causa ogni anno la perdita di circa un metro di spessore d’acqua. Noi, naturalmente, non ce ne accorgiamo, perché quest’acqua viene rimpiazzata da quella proveniente dall’Atlantico. Con l’evaporazione dell’acqua resta però il sale, che tende quindi a concentrarsi nel Mediterraneo e che viene poi “sputato” nell’oceano.

La complessità di fenomeni oceanografici che interessano lo stretto di Gibilterra è da sempre poco rappresentata all’interno dei modelli climatici globali; non perché non sia importante da studiare, ma perché è difficile da riprodurre utilizzando gli strumenti di cui disponiamo oggi. Il problema riguarda la risoluzione spaziale: il livello di dettaglio che bisogna rappresentare è così alto che un modello globale, come quelli attuali e i precedenti, non erano in grado di fare. In alcuni casi, il Mediterraneo era addirittura rappresentato come un lago, come se lo stretto di Gibilterra non esistesse”.

Per questo motivo, negli ultimi anni, Sannino e il suo gruppo di ricerca hanno cercato di capire se fosse possibile rappresentare più fedelmente il bacino del mediterraneo utilizzando i principali modelli sviluppati fino a quel momento. “Abbiamo considerato un modello che fino a 10 anni fa era uno dei più affidabili e matematicamente raffinati, il MIT General Circulation Model (allo sviluppo del quale Sannino aveva contribuito in prima persona durante il suo periodo di lavoro al MIT, ndr.), e abbiamo scoperto che questo strumento consentiva di rappresentare tutti i fenomeni che avvengono all’interno dello stretto di Gibilterra, compresa la propagazione dei solitoni, onde interne alte 250 metri che costituiscono le viscere stesse dello stretto di Gibilterra. Si tratta di un fenomeno fisico molto particolare che si verifica solo in pochi luoghi in tutto il pianeta. Sono quindi necessari modelli matematici molto sofisticati per rappresentarlo.

Il passo successivo è stato quello di semplificare il modello quel tanto che bastava per poterlo utilizzare in una simulazione climatica della durata di ben cento anni. Abbiamo anche studiato per capire quale fosse la risoluzione spaziale minimale che permettesse di rappresentare correttamente i fenomeni in questione e il loro impatto sul clima.

Nel frattempo, poiché questo procedimento scientifico è stato apprezzato anche da alcuni colleghi che lavorano in Turchia, abbiamo collaborato con loro per costruire altri due modelli che rappresentassero le caratteristiche idrodinamiche di altri due stretti fondamentali per il Mediterraneo: quello dei Dardanelli e il Bosforo.

Ebbene, abbiamo poi unito questi modelli e ci abbiamo costruito attorno il resto del Mediterraneo, creando un modello unico al mondo e completamente innovativo, in grado di rappresentare il trasporto d’acqua attraverso lo stretto di Gibilterra, il Bosforo e i Dardanelli in maniera corretta dal punto di vista fisico su un modello di clima mediterraneo.

A questo punto, avendo a disposizione un modello che riproduceva al meglio il clima del Mediterraneo e le sue connessioni con l’Atlantico da una parte e il Mar Nero dall’altra, abbiamo deciso di rispondere a un ulteriore quesito scientifico e indagare quindi la variabilità del livello del mare all’interno del bacino.

È così che si arriva allo sviluppo del modello MED16, grazie al quale gli autori hanno potuto accertare che il livello del mare non sale in modo omogeneo all’interno del bacino. “L’innalzamento del livello del mare come conseguenza del cambiamento climatico varia a seconda delle specifiche regioni”, spiega Sannino. “Le differenze non sono macroscopiche, stiamo parlando di pochi centimetri, però sono oggettivamente esistenti; poterle osservare a un livello di dettaglio mai raggiunto finora è sicuramente un grande traguardo. Abbiamo scoperto che lo stretto di Gibilterra rende la risalita dell’acqua nell’Atlantico un po’ più veloce rispetto al Mediterraneo, per quanto, è importante sottolinearlo, questo non significa certo che l’innalzamento del mare non costituirà un grosso problema anche in quest’area, nel giro dei prossimi cento anni”.

In particolare, Sannino e il suo team hanno utilizzato il modello MED16 per condurre tre diverse simulazioni: una retrospettiva, una storica, e una proiezione futura. “Quella del clima è una scienza rigorosa”, sottolinea il ricercatore. “Si tratta di un procedimento standard: ogni modello matematico ha delle limitazioni intrinseche, perciò deve essere testato in almeno tre simulazioni per essere considerato valido. In altre parole, per poterci fidare di ciò che il modello predirà riguardo al futuro, dobbiamo innanzitutto dimostrare che sia capace di ricostruire il passato.

Quella retrospettiva è una simulazione di controllo che serve proprio a validare il modello. Si svolge forzando il sistema a lavorare solo sulla base di dati climatici raccolti dall’osservazione empirica per un determinato periodo e si verifica che sia in grado di ricostruire gli eventi metereologici accaduti in quel lasso di tempo nel miglior modo possibile, compresa la loro cronologia.

Dopo aver svolto questa fase di controllo, si passa alla simulazione storica, che serve anch’essa a ricostruire il passato, ma non sulla base dei dati osservati, bensì su quelli tratti da un modello climatico globale. In questo caso, non è importante che il modello riesca a riprodurre l’esatto numero degli eventi metereologici che si sono verificati (come ad esempio i cicloni, le tempeste e le inondazioni), né la loro esatta sequenza. È invece importante che sia in grado di rappresentare la rilevanza statistica di tali fenomeni nel corso del tempo”.

Il confronto tra i risultati della simulazione retrospettiva e di quella storica serve a individuare eventuali errori sistematici nel modello. Scongiurata la presenza di tali inesattezze, si può procedere alla simulazione futura.

“Abbiamo scelto di utilizzare, nella nostra proiezione futura, lo scenario peggiore in assoluto tra quelli che ci potremmo aspettare da oggi fino alla fine del secolo: l’RCP 8.5, caratterizzato da un aumento elevato delle emissioni di gas serra fino al 2100”, continua Sannino. “È bene però sottolineare che la differenza tra la realizzazione di questo scenario e quelli meno tragici è solo una questione di tempo. È ormai certo che perderemo migliaia di chilometri di costa da qui fino alla fine del secolo. Il livello del mare, a differenza di altre variabili climatiche, è già inevitabilmente condizionato dagli effetti del cambiamento climatico. Per questo motivo, l’innalzamento del livello del mare di almeno 60 cm avverrà in ogni caso. Potrebbe succedere entro la fine del secolo oppure tra cento anni, a seconda degli sforzi che verranno fatti per mitigare il cambiamento climatico, ma è comunque destinato ad accadere.

Un altro aspetto interessante che emerge da questo lavoro riguarda il ruolo che giocano le maree, i cicloni e gli anticicloni nel bacino del Mediterraneo. Se dovesse crearsi quella sorta di “tempesta perfetta” che combina la presenza di alta marea, venti da sud e un sistema di alta o bassa pressione, il livello del mare potrebbe salire anche di 80 cm in più rispetto a quello attuale con qualche decennio di anticipo rispetto alla fine del secolo.

Gli eventi metereologici estremi, come tempeste e inondazioni, oggi arrecano molti più danni rispetto a cinquant’anni fa, e ne produrranno anche il doppio tra altri cento anni, proprio a causa dell’innalzamento del livello del mare dovuto al cambiamento del clima. Per questo motivo, avere a disposizione modelli predittivi altamente sofisticati che ci permettono di guardare al futuro è un vantaggio non indifferente per l’umanità. La scienza ha compiuto passi da gigante da questo punto di vista. Eppure, lo sviluppo di questi strumenti è perfettamente inutile se non riusciamo ad approfittarne. Purtroppo, questo è esattamente quello che sta accadendo”.

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