SCIENZA E RICERCA

Microchip: storia e geopolitica di un oggetto che usiamo tutti, ogni giorno /03

Continua il nostro viaggio nella microelettronica e nel mondo dei microchips. Abbiamo dato uno sguardo alla storia e abbiamo capito chi sono i protagonisti, a livello globale in questo settore. Stati Uniti, Cina, Taiwan, a modo suo il Giappone, la Corea del Sud. Nel contesto geopolitico e nel corso degli ultimi decenni ci sono equilibri diversi che vanno consolidandosi. E l’Europa, che ruolo gioca? L’8 febbraio scorso l’Europa ha approvato il suo EU Chips Act (ne abbiamo parlato anche qui: European Chips Act: la corsa europea al microchip) che delinea un quadro di interventi sia legislativi che finanziari a supporto di un settore che necessita di ricerca ma anche di riorganizzazione a livello produttivo, di formazione e di creazione di competenze. L’Europa ha oggi una presenza molto ridotta nel mercato mondiale: il Chips Act segna l’ambizioso obiettivo di arrivare a occuparne un 20% entro il 2030, dal 10% scarso di oggi.

La storia europea nel campo della microelettronica segue le vicende della storia generale: nel 1945, mentre gli Stati Uniti decidevano di puntare tutto sullo sviluppo scientifico e tecnologico per rilanciare la propria economia e l’Unione Sovietica faceva una scelta analoga per sostenere il proprio progetto di sviluppo e di difesa, l’Europa usciva distrutta da una guerra che aveva consumato moltissime risorse, sia materiali che umane. 

Forse il limite principale però è che in Europa non c’era un mercato strutturato, ci spiega David Burigana, storico del Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali, dell’Università di Padova, uno dei due esperti che ci sta accompagnando in questo percorso in cinque puntate, assieme a Alessandro Paccagnella, fisico del Dipartimento di ingegneria dell’informazione dello stesso ateneo.

“Il mercato unico” - dice Burigana - “arriverà solo solo con l'atto lanciato con la Commissione Delors nell'87 e poi con la nascita dell'Unione europea. Fino a quel momento lì l'Europa è divisa. E anche nella produzione dell'elettronica gli stati procedono da soli.” 

In testa c’è la Francia, che vede avvicendarsi una serie di presidenti molto interessati a puntare sulla modernità. La Francia decide di stanziare finanziamenti in un progetto di sviluppo della propria compagnia nazionale di elettronica e informatica. Però si muove in una direzione di accordi bilaterali con gli Stati Uniti. Una via, quella dei consorzi bilaterali, che poi prendono anche altri paesi.

I visionari europei

“Anche l’Italia si attiva” - aggiunge Alessandro Paccagnella - “ma rispetto alla situazione americana le condizioni sono molto diverse. Non avevamo la potenza economica e la capacità di attrarre persone, come gli Stati Uniti che si erano portati dopo la guerra ricercatori da tutto il mondo nelle proprie università e aziende.” In ogni caso, alcune aziende europee si muovono, ci sono Philips e Siemens, c’è poi la storia di STMicroelectronics che da inizio anni ‘90 è una protagonista di questo settore. Nel 2000 l’Europa aveva effettivamente - aggiunge Paccagnella - il 20% del mercato dei chip, ma poi la percentuale è calata e oggi siamo attorno al 9%. 

Se l’America del secondo dopoguerra vede in azione personaggi come Vannevar Bush, ideologo della necessità di investire in scienza e tecnologia per promuovere lo sviluppo del paese, in Europa ci sono diversi statisti che giocano un ruolo di primo rilievo. C’è Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione Europea, primo presidente della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), un modernizzatore che vede nell’integrazione europea la chiave dello sviluppo della regione. “Proprio nella Ceca, Monnet ha fatto passare un articolo dedicato alla ricerca scientifica e tecnologica” continua Burigana, nel quadro del trattato sull’elettromeccanica. “E poi, a metà degli anni 70 - aggiunge Burigana - un altro padre della costruzione europea, Altiero Spinelli, che diventa commissario per gli affari scientifici, industriali e tecnologici, cerca di varare un piano di sviluppo tecno-scientifico”.

Visioni e pratiche europee

Negli stessi anni, all'insaputa di Spinelli, i governi di Bonn, Londra e Parigi scelgono però di privilegiare la cooperazione bilaterale con gli Stati Uniti invece di puntare su un’operazione tecno-scientifica all'interno della Comunità europea. Si deve arrivare alla fine degli anni ‘80 con il lancio del I programma quadro inserito nell’atto che apre al mercato e alla moneta unici, per sentire nuovamente parlare di una politica industriale e tecnologica integrata. In quel periodo, intanto, conclude Burigana, l'Europa perde dei pezzi anche nel settore dell'elettronica

Dei mesi scorsi è l’annuncio dell’interesse dell’americana Intel di investire in Europa. Senza dubbio c'è un interesse privato ma che ha dietro, secondo quanto afferma Burigana, anche un’attenzione politica. Quello che sembra emergere, sottolinea lo storico, è il ritorno di un asse americano, o meglio tra gli Stati Uniti ed alcuni paesi storici dell'Unione europea, prima fra tutti l'Italia, la Francia, l'Olanda. Questo, nel quadro globale, è molto interessante, sia nell’ottica degli equilibri tra Cina e Stati Uniti, anche nei confronti della questione di Taiwan e del ruolo di altri paesi, come Singapore e come la Corea del Sud. 

Nella serissima crisi che stiamo attraversando, nel quadro della guerra russo-ucraina, c’è forse il tentativo di trovare una sorta di nuova unità, di prospettiva comune. Si tratta però di una compattezza molto fragile, in cui è chiaro che giocheranno un ruolo centrale i vari legislatori europei. Lo EU Chips Act dà una possibilità ma non è ancora chiaro chi effettivamente riuscirà a cogliere le opportunità lavorando in modo integrato e chi invece rischia di rimanere escluso. 

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Gli episodi precedenti li puoi leggere qui:

Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /01

Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /02

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