SCIENZA E RICERCA

Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /02

I microchip sono nati in America, sulla costa Est, alla fine della seconda guerra mondiale e sono stati poi prodotti in diversi paesi del mondo. Ma se nei primi decenni questa è una storia soprattutto occidentale, dagli anni ‘70 in poi nel campo della microelettronica entrano ben altri protagonisti che animano la competizione sia a livello scientifico che economico e geopolitico. 

Stiamo raccontando la storia dei microchip, muovendoci tra geopolitica, scienza, ambiente e questioni economiche assieme ad Alessandro Paccagnella, fisico e docente di elettronica al Dipartimento di ingegneria dell’informazione, e David Burigana, storico del Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali, all’Università di Padova. Lo facciamo dalle sale di due musei dell’Università di Padova, il Museo di Geografia e il Museo di Fisica, che ci hanno permesso di utilizzare i loro spazi e le loro collezioni come sfondo e come complemento alla storia che vogliamo raccontare. 

In questa seconda puntata partiamo dall’impegno americano, sintetizzato in un documento strategico scritto da Vannevar Bush al presidente americano subito dopo il secondo conflitto mondiale. Protagonista del periodo bellico, Bush viene messo nel 1940 alla guida del National Defense Research Committee ("Comitato di ricerca per la difesa nazionale"), ed è poi nominato direttore dell'Office of Scientific Research and Development ("Ufficio per la ricerca e lo sviluppo in ambito scientifico") diventando così uno degli scienziati chiave nel progetto Manhattan per lo sviluppo della bomba atomica. Alla fine della guerra, Vannevar Bush scrive un report per il governo degli Stati Uniti intitolato Science, the endless frontier, in cui individua nell’investimento in ricerca scientifica e tecnologica la chiave per lo sviluppo democratico ed economico degli Stati Uniti. La strategia americana è quella di sostenere nella ricerca sia le università che le imprese, lasciando ampia libertà di scelta e anche un grande ruolo al mercato, ma al contempo coinvolgendo nella pianificazione i principali esperti accademici. Esperti che capiscono che la futura leadership americana deve basarsi proprio sullo sviluppo della scienza e della tecnologia.

L'Unione sovietica e lo sviluppo della sua elettronica

Contemporaneamente, la ricerca è molto sostenuta anche oltre cortina. L’Unione Sovietica ha una propria linea di sviluppo in ambito elettromeccanico iniziata negli anni ‘30. È innegabile però che un periodo di slancio sia proprio il conflitto mondiale durante il quale ci sono molti contatti e scambi anche con il mondo tecno-scientifico occidentale, in particolare proprio con gli Stati Uniti, di cui l’Unione Sovietica è alleata in chiave anti-nazista.

A partire dagli anni ‘50 dunque anche l’URSS sviluppa intensamente il settore elettronico, avendo come obiettivo e campo di azione l’ambito militare e non quello commerciale. Per farlo, spinge sullo sviluppo dei calcolatori e arriva a risultati molto importanti, testimoniati anche attraverso il programma Buran, avviato a fine anni ‘70 in risposta alla progettazione e costruzione degli Space shuttle americani, percepiti come pericolosi nel contesto della guerra fredda. Dopo diversi voli di prova, nel 1988 Buran parte da Bajkonur e fa un volo orbitale completo, senza equipaggio, atterrando perfettamente.

Il successo di questo volo, sottolinea David Burigana in questa seconda puntata, dimostra che effettivamente l’URSS aveva messo a punto componenti elettroniche molto sicure. Burigana vuole anche sfatare un mito. “Non è vero che la cortina era impenetrabile - dice - perché c’erano territori di scambio dove la comunità scientifica si incontrava. La Cecoslovacchia, ad esempio, era sotto il controllo sovietico ma è innestata in piena Europa. E lì, in questo centro osmotico, c’era uno scambio intellettuale e scientifico continuo.” Grazie a questi contatti, dunque, il mondo scientifico e tecnologico sapeva bene che la miniaturizzazione e lo sviluppo delle tecnologie elettroniche stava avvenendo a buon ritmo anche nel mondo sovietico.

E oggi chi sono i protagonisti?

“Le aziende che si occupano dell'assemblaggio del packaging sono tipicamente in Estremo Oriente. - spiega Alessandro Paccagnella - Quelle che gestiscono tutto il ciclo produttivo sono sparse tra Stati Uniti, Sud Corea, Giappone e altrove. Poi ci sono i pure players, quelle che fanno una cosa sola. Tra queste, un caso tipico è quello di Taiwan con aziende dedicate alla produzione dei microchip. Oppure di nuovo gli Stati Uniti con aziende che si occupano solamente del design, della progettazione”. L’Europa per ora ha poche aziende attive. Uno dei settori in cui l’Europa ha la possibilità sperabilmente di crescere è proprio quello della progettazione più che nella produzione. Ovviamente, come per altri settori, anche per la microelettronica c’è molta attenzione adesso alla situazione di guerra in Ucraina, un paese ricco non tanto dei componenti fondamentali dell’elettronica di base, quelli che entrano nei chip. L’Ucraina è però uno dei più importanti produttori di neon, e il neon è necessario per la produzione dei laser che a loro volta sono necessari in alcuni passaggi della filiera della produzione dei microchip. E dunque la guerra sta agitando soprattutto le piccole aziende che rischiano di trovarsi senza questo elemento importante, creando un collo di bottiglia piuttosto inatteso.

“C'è un un punto fondamentale che si chiama sovranità tecnologica - aggiunge Paccagnella, - su cui altri Paesi avevano già focalizzato la propria attenzione. Uno per tutti, la Cina”. Ed è proprio per far fronte a questi soggetti potenti che l’Europa ha approvato a febbraio il Chips Act, di cui abbiamo scritto anche qui (per approfondire: European Chips Act: la corsa europea ai microchip). Sostanzialmente, lo EU Chips Act si traduce in un investimento di circa quaranta miliardi di euro da impiefare per favorire non tanto le singole industrie produttrici di semiconduttori ma un intero ecosistema industriale e di ricerca europeo che dovrebbe consentire all’Europa di essere meno dipendente dalle tecnologie che in questo momento sono prodotte a Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Cina e Stati Uniti. 

In tutto ciò, l’abbiamo già detto, la Cina sta giocando un ruolo di primissimo piano. Fin dagli anni ‘80, la Cina investe in questo settore con la creazione di un’industria molto fiorente. È chiaro che il gigante asiatico ha tutto l’interesse a contrastare la presenza americana in oriente, che pure c’è ed è molto rafforzata dal supporto e dalle politiche di collaborazione tra Stati Uniti e Taiwan. Una collaborazione, è chiaro, che non si limita a questioni di mercato ma che rappresenta, ancor più nell’attuale contesto geopolitico e di rapporti tra grandi potenze, un territorio potenzialmente molto controverso. 

Infine, un altro gigante dell’elettronica, ben chiaro nella testa di chi era giovane negli anni ‘80 e ‘90 perché in quegli anni era il paese che ci ha portato tutti i prodotti elettronici da intrattenimento che abbiamo imparato ad amare, è il Giappone. Un paese che ora fa parlare di sé su scala globale meno frequentemente, ma che ha impresso un fortissimo sviluppo a questo settore proprio a partire dagli anni ‘80. Parte del suo successo, sostiene David Burigana, è dovuto alla sua capacità di innestarsi molto bene nel mercato e nel contesto occidentale di quegli anni. La crisi del 2008 ha però colpito anche il Giappone e oggi è indubbio che il posizionamento di questo paese non è così preminente nel settore della microelettronica, dove il ruolo di punta è giocato appunto dagli altri attori asiatici. 

Nello spazio e in fondo al mare

Parlare di geopolitica dei microchip non significa però parlare solo di stati. Anzi, significa allargare lo sguardo anche su quei territori, e quegli ambiti, che statali non sono e sui quali, al momento, ci sono immensi interessi internazionali. I fondali marini, e lo spazio, per esempio. O le zone polari. La gestione della ricerca in Antartide e quella nella Stazione spaziale internazionale rappresentano due casi di intenso lavoro nel contesto del diritto internazionale sia per una corretta gestione e sfruttamento delle risorse che per la creazione di norme che consentano di lavorare, collaborare e dunque avere degli obiettivi comuni. Per ora però, nei casi dell’esplorazione polare o di quella spaziale, parliamo di contesti normati maggiormente con finalità di ricerca.

La questione centrale della microelettronica invece è il controllo dei materiali, per esempio delle terre rare e degli altri elementi necessari a costruire i vari componenti della filiera produttiva. E qui non ci sono norme e quadri di riferimento per capire come mettersi d’accordo. Sappiamo ad esempio che i fondali oceanici sono ricchi di questi elementi. Capire e accordarsi su come eventualmente gestirli all’interno di un quadro internazionale condiviso di norme e pratiche è una vera sfida, una sfida che è necessario iniziare ad affrontare subito anche per evitare speculazioni e pratiche insostenibili. 

La prima puntata di questa serie la trovi qui:

Scienza e geopolitica del microchip. Storia di un oggetto che usiamo tutti i giorni /01

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