SCIENZA E RICERCA

Migrazioni ed epidemie hanno plasmato le antiche popolazioni siberiane

Il contatto con agenti patogeni ha da sempre segnato la storia umana. Epidemie e pandemie, infatti, non sono solo un problema recente: di esse si hanno tracce che si perdono nella notte dei tempi. A gettare nuova luce sul rapporto tra le vicende demografiche delle antiche popolazioni umane e le malattie è uno studio condotto da un gruppo di ricerca internazionale composto da archeologi e genetisti e pubblicato da Science Advances, nel quale, grazie all’analisi del genoma di 40 individui fossili della regione siberiana circostante il lago Baikal, sono stati ricostruiti i movimenti delle popolazioni umane nella regione dalla fine dell’Ultimo Massimo Glaciale, circa 20.000-18.000 anni fa, fino a circa 550 anni fa.

Nonostante la Siberia nord-orientale non sia oggi densamente popolata, i reperti archeologici e gli studi genetici mostrano che, nel corso dell’Olocene, molti gruppi umani si avvicendarono in quella regione. Lo studio genetico comparativo condotto dai ricercatori sui 40 individui considerati, i cui resti risalgono a varie epoche, dal Paleolitico superiore al Medioevo (il più antico ha 16.900 anni, il più recente 550), racconta una storia di migrazioni, ripopolamenti e ibridazioni tra popoli e culture provenienti da luoghi diversi, dall’Eurasia occidentale all’Asia centrale e orientale.

Un dato interessante che è emerso dalle rilevazioni è la maggiore affinità genetica riscontrata, per il genoma dell’individuo più antico, con alcune popolazioni di nativi americani rispetto agli attuali Selcupi, una popolazione indigena nord-siberiana. I risultati dell’analisi condotta su sette individui, datati da 6.800 a 2.490 anni fa, suggeriscono una grande mobilità lungo tutto il periodo Neolitico, con l’emergere di numerosi modelli culturali. Tra questi, è di particolare interesse il complesso culturale di Belkachi, situato a nord-est del lago Baikal, per il quale si era da tempo ipotizzata una parentela con i gruppi Paleoinuit, colonizzatori della Groenlandia e delle zone orientali del Canada a partire da circa 5.000 anni fa. L’indagine genetica condotta su un individuo appartenente alla cultura Belkachi dà per la prima volta una prova di questo legame, confermando l’esistenza di un’associazione genomica con un individuo paleoeschimese di cultura Saqqaq, datato a circa 4.000 anni fa.

Le analisi genomiche dei reperti evidenziano, in generale, un’evidente differenza tra la zona a est e quella a ovest del lago Baikal: mentre nella regione orientale, infatti, la variazione genetica sembra mantenersi a livelli molto stabili per lunghi periodi, suggerendo l’assenza di grandi movimenti di popoli, nella zona a occidente del lago, al contrario, il quadro demografico che la genetica restituisce è molto più variegato e complesso. In questa zona, gli avvicendamenti di popoli evidenziati dai cambiamenti genetici sono numerosi, e si susseguono dal Neolitico fino a poche centinaia di anni fa.

Valutando i livelli di eterozigosità e di omozigosità delle popolazioni a ovest del Baikal, gli studiosi hanno ricostruito le probabili dimensioni dei gruppi presenti: gli alti tassi di eterozigosità rilevati in individui di 6.000-5.000 anni fa indicano che, in quel periodo, le popolazioni del luogo erano abbastanza estese; sembra, tuttavia, che si sia verificato un improvviso crollo demografico tra 4.700 e 4.400 anni fa. A questo evento potrebbero aver concorso numerose cause, tra cui – ipotizzano gli autori della ricerca – cambiamenti climatici globali, come il raffreddamento del Periodo Sub-boreale.

Tuttavia, in alcuni dei 40 individui studiati, provenienti proprio dalla zona a ovest del lago Baikal e risalenti a circa 4.400 e 3.800 anni fa, sono state individuate tracce del genoma del batterio Yersinia pestis, il patogeno che tante epidemie e pandemie ha causato nel corso della storia umana. La seconda occorrenza del batterio, la più recente tra le due, è stata individuata in resti funerari appartenenti a tre individui tra loro strettamente imparentati, probabilmente genitori e figli. Si tratta, con ogni probabilità, del più settentrionale caso di Yersinia pestis nell’antichità.

L’ipotesi, a partire da questi dati, è che possa esservi stata, in questa regione settentrionale dell’Asia, un’epidemia di peste che abbia decimato la popolazione presente, plasmando il patrimonio genetico delle generazioni successive: “Il batterio – si legge nelle conclusioni del lavoro – potrebbe aver influito sulla dinamica delle popolazioni umane di entrambe le regioni [la Jacuzia e l’area a ovest del lago], con un effetto evidente nella riduzione della dimensione delle popolazioni e dei livelli di diversità genetica, intorno a 4400 anni fa”. Certamente, le evidenze raccolte sono ancora insufficienti per confermare questa eventualità: come affermano gli autori stessi, serviranno ulteriori studi in questa direzione.

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