SCIENZA E RICERCA

Non solo West Nile: i virus figli del cambiamento climatico

Da “nemici” lontani, agitatori dell'immaginario collettivo - magari a causa di qualche film catastrofista - a ricorrenti vicini di casa, con tutto il monitoraggio del caso necessario.

Non si parla delle ricorrenti epidemie di influenza o della recrudescenza (scellerata per come si è tornati indietro nella prevenzione) dei casi di morbillo. Ma di virus “orientali” che però abitano, o rischiano di abitare – nell’immediato – territori, come l’Italia, fino a poco tempo fa immuni da questi pericoli.

Il caso più eclatante, balzato alla cronaca locale, nazionale ed europea, è quello del virus del West Nile, veicolato dalle zanzare infette e che ancora, complice il clima, non tarda a mostrare casi di contagio in Veneto, in Italia e in Unione europea. Ma, ammonisce il professor Giorgio Palù, virologo all'università di Padova e presidente della Società europea e italiana di Virologia, “non si tratta dell’unico caso a cui prestare attenzione”. I cambiamenti climatici in atto, infatti, non inducono solo fenomeni legati in senso più stretto alla meteorologia, ma portano anche alla migrazione di virus nuovi, in grado di attecchire in ambienti finora vietati a causa delle condizioni climatiche avverse.

Il West Nile ormai è una vecchia conoscenza, isolato in un soggetto asintomatico ancora nel 2008, donatore di sangue. Era il primo caso di isolamento in un uomo: nel 1998 era comparso in una scuderia di cavalli in Toscana ed era prima circolato nel Nordest dell’Europa, in Romania, in Ungheria a partire dal 1990. Il virus era stato isolato in Uganda nel 1937, poi era arrivato in Nordafrica per poi essere trasferito in aereo da Israele a New York. E in dieci anni ha infettato più di 40mila persone negli Stati Uniti per poi diffondersi in altri Paesi. “Nel nostro territorio esiste dal 2008 e ci sono tutte le condizioni – spiega Palù – perché possa essere ormai autoctono in Italia”.

Si tratta di un arbovirus, cioè quel tipo di virus trasmessi dagli artropodi: “Fortunatamente – prosegue Palù – nell’uomo il livello plasmatico non è sufficiente per far raggiungere una carica virale tale da permettere una ritrasmissione uomo-zanzara-uomo, come invece capita con altri vettori come gli uccelli”. Ma esistono altri virus, sempre trasmessi da vettori, già arrivati in Italia. Nel 2007 è stato il caso di Chikungunya, appartenente alla famiglia togaviride, originario dell’Africa, arrivato in Riviera Romagnola e poi diffusosi grazie alla zanzara tigre. “Nel 2017 nel Lazio ci sono stati 300 casi di infezione da questo virus, il cui nome descrive una persona che cammina curva, con le ossa rotte”.

Ogni anno poi si presentano virus di importazione: le cosiddette febbre tropicali. Sono portate dai turisti che vanno nei Caraibi o nelle isole dell’Oceano indiano o in Sud e Centro America: “Sono la Dengue e Zyka, parenti stretti di West Nile, trasmessi non dalla zanzare culex ma da Aedes aegypti e potrebbero essere trasmessi anche da Aedes albopictus, cioè dalla zanzara tigre”. Questi virus sono diventati autoctoni non lontano dalle nostre coste in Croazia e poi in Francia e ora sono autoctoni anche nelle isole atlantiche del Portogallo. Zyka ha infettato decine di milioni di persone, ma Dengue ne infetta oltre 500 milioni ogni anno nei climi temperati tropicali: “Ci possiamo attendere che diventi autoctono anche in Italia perché il vettore esiste e basta che circolino più persone infette di quelle che abbiamo attualmente (sono una quindicina i casi d’importazione, Ndr), non sufficienti per una diffusione efficace del virus”.  

Ma in Italia rischia di tornare un’altra malattia, ormai dimenticata da anni: la malaria. “Era presente anche nei luoghi di bonifica del Veneto e morivano centinaia di persone. Era il cosiddetto paludismo, la “mala aria”, il nome italiano della malaria, trasmessa dalla zanzara anofeles”. In Grecia c’è stato un caso recente di malaria autoctona, in Italia solo casi importati dai turisti e casi di “malaria da valigia” in aeroporto, ma anche in questo caso non ci sono infettati a sufficienza per far ripartire un contagio su larga scala.

Per ultimo c’è da ricordare l’allerta anche per un altro virus, presente nei Balcani: “Si tratta di un bunyavirus che dà febbri emorragiche, il Crimea-Congo, trasmesso da una zecca presente anche nella nostra pedemontana. E visto che i serbatoi sono i lagomorfi, cioè lepri, caprini e pecore, non è remota la possibilità che possa fare la comparsa anche nel nostro Paese”. Il crimea-congo è un virus di classe 4, come Ebola: “Se Ebola è difficile che arrivi, Crimea-Congo può invece fare la sua comparsa – conclude Palù – per questo ho richiesto che a Padova venga attivato un laboratorio BL3-BL4, cioè quelli di massima sicurezza per lo studio di questi tipi di virus”. Le malattie infettive rimangono la prima causa di morte al mondo: “Con la globalizzazione, i cambiamenti climatici e i fenomeni migratori non possiamo far finta di dimenticarci di questi rischi”. A questi, ancora una volta, si aggiungono i virus da sempre circolanti in Italia, come il morbillo, che possono ritornare a essere un problema se si continuasse con campagne, false, contro l’uso dei vaccini, assieme a scelte politiche che non seguono le linee guida della comunità medica e scientifica

 

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