CULTURA

La nuova edizione delle Lettere dal carcere di Gramsci

Antonio Sebastiano Francesco Gramsci nacque ad Ales (Cagliari, Sardegna) il 22 gennaio 1891 e, a 46 anni dopo lungo penosa malattia, il 27 aprile 1937 morì a Roma. L’8 novembre 1926 il dittatore fascista ordinò di fermarlo, da deputato comunista in carica, e venne subito rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, in immediato stato di isolamento. Passò poi oltre un decennio in prigione, fino alla fine. Sopravvisse, continuò a pensare, lesse, studiò un poco, tradusse, scrisse quanto più possibile. Il 20 novembre 1926 poté scrivere la prima lettera, subito rivolta alla moglie Giulia Iulca Schucht (Ginevra, 1896 – Mosca 1980), iniziando con il ricordo di lei che poco tempo prima lo aveva rincuorato, potendosi incontrare raramente: “siamo ancora abbastanza giovani per poter sperare di vedere insieme crescere i nostri bambini”. Il primo figlio Delio Delka era nato il 10 agosto 1924, non si incontrarono più; il secondo figlio Giuliano Iulik Julik il 30 agosto 1926 e non era ancora riuscito a tenerlo in braccio, non si incontrarono mai. Sono state rintracciate finora 489 lettere di quelle che fu consentito a Gramsci di scrivere da prigioniero del regime fascista, l’ultima del 23 gennaio 1937, destinata proprio a Iulik (che nelle sue gli si rivolgeva come “caro babbo”). Poi non ne ebbe più la forza, dai primi del successivo febbraio non riuscì più ad alzarsi dal letto, chiese alla cognata Tatiana Tania di scrivere lei a moglie e figli per suo conto; era in libertà condizionata da pochi mesi e riacquistò una formale libertà il 21 aprile 1937; morì sei giorni dopo. 

Le lettere di Gramsci (vergate di getto a mano da un individuo per un altro individuo legato affettivamente o amico, poi spedite tramite non amici, e molti giorni o mesi dopo forse recapitate, lette, commentate, sottoposte a replica) costituiscono una unilaterale straordinaria testimonianza di laica dignità umana, un autoritratto concepito nelle condizioni concesse, compromesso dalla censura, dalla vigilanza del carcere, dai tempi di scrittura, dalle cadenze obbligate degli spazi e degli invii, dai disagi e dalle malattie, e riescono di rado a far luce sulla vita quotidiana del carcerato. Sono un capolavoro assoluto della letteratura italiana di tutti i tempi e del Novecento in particolare, considerato tale dalla critica e dal pubblico (non solo nazionali) fin dall’uscita della prima antologica edizione critica nel 1947 (218 lettere), confermato con la seconda del 1965 (428) e arricchito via via dai nuovi inediti rintracciati fino alla magnifica nuova edizione ufficiale (489), dopo innumerevoli ristampe e altre raccolte, che contiene anche dodici assoluti inediti: Antonio GramsciLettere dal carcere, Einaudi Torino, 2020, a cura di Francesco Giasi, pag. CXIV + 1257 (+ album fotografico), euro 90. La storia di questo magnifico classico, un godimento stilistico ora edito fra “I millenni” (collana ideata da Pavese nel 1947), ha inizio all’indomani della morte del comunista Gramsci e si svolge per qualche decennio all’interno della democratica pluralista vita politica, culturale e letteraria dell’Italia repubblicana. Il partito che aveva fondato e diretto contribuì a divulgarne l’eredità prima possibile meglio possibile, pur con incertezze e controversie. 

Le strade che condussero alla pubblicazione dei numerosi inediti di Gramsci furono imprevedibilmente accidentate, Gramsci entrò ben presto a far parte del patrimonio condivisibile di tutto il paese, dell’ampio fronte costituzionale antifascista e dell’immaginario collettivo, un uomo politico di rara tempra morale e intellettuale, di cui l’intera Italia poteva andar fiera in Europa e nel mondo; la gestione della sua memoria non poteva essere delegata ai suoi congiunti o a un singolo partito, nemmeno solo ai suoi eredi familiari (in Sardegna e in Unione Sovietica) e al segretario della sua organizzazione politica (Togliatti). Loro stessi se ne resero ben presto conto, dopo i primi convulsi mesi. Quasi nessuno sapeva davvero molto della sua esistenza in Sardegna prima dell’università, dei rapporti con i genitori, del suo “privato” dopo l’ingresso nel gruppo dirigente del movimento comunista internazionale. E, quel che si sapeva del suo pensiero e delle sue azioni “pubbliche”, rischiava di essere oggetto di divisioni, conflitto e strumentalità, si collocava ancora dentro le lotte sociali, ideologiche, elettorali del paese che usciva dalla seconda guerra mondiale e delle nazioni in competizione dentro l’incipiente guerra fredda. 

L’introduzione alla recente edizione critica delle Lettere dà conto delle vicende culturali ed editoriali con sobrietà, attenzione e dovizia di particolari, riavvolgendo gli ultimi tre quarti di secolo attraverso la “fortuna” di Gramsci (non costante, non lineare), le discussioni e le scoperte, i convegni e gli altri libri che ne hanno arricchito la conoscenza. Come noto, fin da aprile 1947 le Lettere divennero un caso letterario, il valore dell’opera venne rilevato senza titubanze e unanimemente da scrittori e critici. Entusiaste furono le recensioni di Carlo Bo, Italo Calvino, Oreste Del Buono, Vittorio Santoli, Massimo Mila, Benedetto Croce, Carlo Muscetta e tanti altri, quattro mesi dopo vinse il Premio Viareggio, le ristampe furono continue già quell’anno (e continue le correzioni rispetto a qualche omissione o confusione di troppo rispetto agli originali), nei decenni successivi in versione integrale o parziale sono state tradotte nelle principali lingue. Subito dopo, iniziarono ad uscire anche i Quaderni dal carcere, la modernità e l’intima coerenza del suo marxismo e del suo umanesimo hanno conquistato milioni di donne e uomini sul pianeta, Gramsci è divenuto il pensatore italiano più studiato e tradotto al mondo. La presente edizione è essenziale perché, nel frattempo, sono state raccolte e divulgate anche le lettere dei corrispondenti (fra i quali spicca l’amico carissimo Piero Sraffa, 1898-1983, economista torinese di famiglia ebrea, che lo visitò fino agli ultimi giorni), quanto gli si era scritto o gli si rispondeva, testi che hanno reso più intellegibili l’epistolario a sua firma, i riferimenti contenuti nelle repliche reciproche e i salienti momenti carcerari. Inoltre, sono stati accuratamente ricontrollati i manoscritti autografi e le riproduzioni meccaniche, completate e affinate le datazioni, uniformati i criteri di editing (massimamente rispettosi degli originali), sviscerate meglio allusioni e riferimenti impliciti, Leggerlo bisogna!

Per chi legge almeno un libro l’anno (una minoranza dei concittadini italiani) è una lettura periodica obbligatoria, il consiglio scritto suggerisce una volta l’anno per chi studia ancora oppure non lavora tanto o comunque legge abbastanza, circa una volta ogni cinque anni per gli altri. Non sarebbe male, anzi, raddoppiare: in prima battuta leggere solo le lettere, una dietra l’altra, commuovervi se volete (come a me sempre capita), senza pensare troppo; in seconda battuta contestualizzare con l’ottima introduzione di Giasi e con le relative accurate aggiornate note a ogni lettera, oltre che con il frutto delle ricerche di altri studiosi della Fondazione Gramsci e dello storico editore Einaudi, contenuto nel volume: la cronologia dell’esistenza, le note biografiche dei corrispondenti, la documentazione d’archivio, gli inserti fotografici, l’appendice delle richieste ufficiali di Gramsci ai carcerieri nazionali e locali, l’indice dei nomi citati (scegliendo quelli a voi cari). Tuttavia, anche chi non legge ha qualche obbligo verso Gramsci, il consiglio orale è di farselo leggere (meglio da conoscenti, cementa le relazioni sensoriali, fa sopravvivere e riprodurre meglio), di cercare audiolibri o videosussurratori (a tanto cospetto); se si è fascisti non lettori o indulgenti verso il fascismo il consiglio è pressante, fa parte delle pene da scontare per aver privato l’Italia e il mondo di un ingegno libero, quando lui ancora viveva, pensava, amava, militava, lottava. 

Dello scrittore e saggista Gramsci abbiamo solo libri postumi, in vita non aveva pubblicato propri sistematici volumi, aveva scritto articoli e saggi pubblicati su quotidiani e riviste, in carcere vergò note su quaderni e lettere contingenti, nulla di organico e conchiuso. Lo stesso epistolario è dialogico e dialettico, stilisticamente mirabile ma motivato e fertile solo quando l’interlocutore era riuscito a scrivergli di sé; da sempre l’autore ben distingueva le varie forme della comunicazione umana, il far sapere ad altri diverso dal relazionarsi in quello specifico rapporto. Fra l’altro, è noto e in larga parte pubblico anche l’epistolario precedente al carcere. Da quando è morto alcuni importanti studiosi (all’inizio che lo conoscevano, poi tanti altri) hanno dedicato gran parte della vita a garantire la conoscenza e la fruizione della sua memoria, molti dei quali hanno curato le precedenti edizioni ed altre opere in edizione critica ufficiale o antologiche.Francesco Giasi (Policoro, Matera, 6 aprile 1971) è uno di loro, attendiamo con ansia e stima l’annunciata sua nuova biografia di Gramsci.

Non è raro che accada per le grandi personalità in ogni campo, tanto più che emergono sempre opinioni e novità; uno o più studiosi posteriori fanno coincidere il proprio percorso di ricerca con la dedizione a un singolo autore del passato. Vale da quasi un secolo per Gramsci (c’è un pantheon di curatori memorabili cui dobbiamo i suoi testi postumi) e varrà anche in futuro, visto che qualcosa ancora non si conosce negli eventi e nelle scritture, che tutto comunque va discusso e confrontato rispetto agli indirizzi politici e culturali che scelse, che il carattere “incompiuto” della memoria gramsciana è un dato permanente. Le lettere mancanti sono ancora molte decine (soprattutto nel periodo di Ustica e di San Vittore). Del resto, Gramsci non concepì saggi tematici o enciclopedie o dizionari, espresse così alta qualità di pensiero e di spunti su molteplici discipline che si tende a considerare indispensabile citarlo sempre (talora malamente) e consultarlo su ogni aspetto (talora acriticamente). Allora meglio avere a casa in bella vista questo splendido volume rilegato (anche per chi non legge, fosse mai l’occasione per cominciare o ricominciare, servisse mai a congiunti e visitatori). Costoso, è vero, un investimento meritorio ma non a tutti possibile. Suggeritene allora l’acquisto alla biblioteca della scuola, del quartiere, della città, del vostro circolo o associazione o ordine, andrete a trovarlo lì. La lettura periodica è obbligatoria, un consiglio da amico. 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012