SOCIETÀ

Onu: tagliati i fondi per la protezione dei Diritti umani

È di pochi giorni fa la notizia che sei dei 10 comitati delle Nazioni Unite per i Diritti umani, istituiti in virtù di altrettante convenzioni giuridiche internazionali, non potranno riunirsi nel prossimo autunno, tra questi il comitato per i diritti dei bambini e delle bambine nel 30° anniversario della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, e il comitato sui diritti della donna, nel 40° anniversario della Convenzione internazionale contro la discriminazione nei confronti della donna.

Questo accade per due ragioni fondamentali. La prima, perché gli stati membri dell’ONU hanno deciso, irresponsabilmente, un taglio significativo del bilancio ordinario dell’Organizzazione mondiale. La seconda, perché molti stati sono in ritardo nel versare i contributi ordinari. Le Nazioni Unite devono ancora ricevere più di 1 miliardo di dollari di arretrati, in gran parte dagli Stati Uniti.

Tagliare i fondi ai meccanismi delle Nazioni Unite per la protezione dei diritti umani significa togliere ossigeno vitale per i Difensori dei diritti umani

Le Convenzioni giuridiche internazionali sui diritti umani e i collegati sistemi di garanzia da esse messi in funzione costituiscono l’ultima sponda su cui fare affidamento per garantire su scala globale il rispetto dei diritti umani e difendere il principio della dignità umana, della eguale dignità di tutti gli esseri umani.

I diritti umani, insieme al mantenimento della pace e allo sviluppo, sono uno dei tre pilastri sui quali si fondano le Nazioni Unite. Sono fra loro interdipendenti e indivisibili. I diritti umani non possono essere realizzati senza la pace e lo sviluppo e la pace e lo sviluppo non possono essere realizzati senza il pieno rispetto dei diritti umani.

Soltanto il 3,7% del bilancio ordinario dell’ONU, ovvero poco meno di 100 milioni di dollari, è assegnato all’Ufficio dell’Alto Commissario per i Dritti umani delle Nazioni Unite, l’organismo che ha il compito di gestire il sistema universale di protezione dei diritti umani. Va peraltro ricordato che la sua creazione è il principale follow-up della Dichiarazione e del Piano d’azione adottati nel 1993 alla Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna.

È del tutto evidente che si tratta di una cifra che non è in corretto rapporto di scala con l’ordine di grandezza della sfida che le estese e reiterate violazioni dei diritti umani in ogni parte del mondo pone all’intera comunità internazionale.

Domandiamoci, come possono gli stati pensare di raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile contenuti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite se contestualmente decidono di tagliare drasticamente i fondi per il settore dei diritti umani dell’Organizzazione mondiale?

Il potenziamento del pilastro “diritti umani” delle Nazioni Unite è lasciato alla volontà politica dei governi attraverso i cosiddetti “contributi volontari”. Ad aprile di quest’anno ammontavano a 85 milioni di dollari. Nel 2018 i contributi versati sono stati di 187 milioni di dollari, la cifra più alta dal 2010 ad oggi.

In questa gara di solidarietà l’Italia non si è mai distinta per generosità. Negli ultimi dieci anni ha versato poco più di 7 milioni di dollari. La Norvegia, soltanto negli ultimi due anni, ha versato 42 milioni di dollari.

Significativo è il confronto tra i contributi versati nel 2018 e quelli versati nel 2019 dai 10 paesi più grandi donatori e dalla Commissione europea. Come si piò notare dalla tabella 2, la riduzione dei contributi va oltre il 50%. Un dato allarmante, soprattutto se si considera che si riferisce agli stati di più antica tradizione democratica.

Perché i governi hanno deciso di tagliare i fondi per il funzionamento dei Comitati creati in virtù di Convenzioni giuridiche internazionali? La risposta la troviamo nelle funzioni che sono state assegnate a questi Comitati, composti da un numero di membri che varia dai 10 ai 18. Sono esperti indipendenti dai governi che li hanno nominati e svolgono il loro mandato senza percepire alcun compenso.

La funzione principale è diverificare l’attuazione, nel paese contraente, delle norme sancite a livello internazionale. Come? Attraverso i rapporti periodiciche gli Stati hanno l’obbligo di presentare. Ricevendoinformazioni sulla situazione dei diritti umani di un Paese da altre fonti, quali ONG, Agenzie delle NU, altre organizzazioni internazionali, istituzioni accademiche, media. Adottando raccomandazioni, sotto il nome di “osservazioni conclusive”. Svolgendo azioni di monitoraggio attraverso altri tre meccanismi: la procedura di indagine; l’esame di comunicazioni interstatali; l'esame di comunicazioni individuali. In quest’ultimo caso il Comitato non ha il potere di emettere sentenze, ha però quello di entrare nel merito e dichiarare se c’è stata violazione di diritti nonché di intimare allo stato di riparare all’illecito compiuto. I Comitati inoltre pubblicano la loro interpretazione del contenuto delle norme sui diritti umani, conosciuta come general comment.

Attualmente, operano i seguenti Comitati: Comitato per l'eliminazione della discriminazione razziale, Comitato per i diritti umani (civili e politici), Comitato per i diritti economici, sociali e culturali, Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, Comitato contro la tortura, Sottocomitato per la prevenzione della tortura, Comitato sui diritti dell'infanzia, Comitato per i lavoratori migranti, Comitato per i diritti delle persone con disabilità, Comitato per le sparizioni forzate.

Il blocco delle attività di questi Comitati ha conseguenze gravissime per l’attuazione del Diritto internazionale dei diritti umani. Le revisioni già programmate con gli stati, nonché l'esame delle denunce delle singole vittime di gravi violazioni dei diritti umani - incluse torture, uccisioni extragiudiziali, sparizioni forzate - non potranno aver luogo come programmato. E’ una scelta cheminerà seriamente il sistema di protezioni che gli stessi stati hanno messo in atto a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948) e dai due Patti internazionali rispettivamente sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali (1966).

Questa decisione arriva in un momento in cui i diritti umani sono sotto crescente minaccia. E’ soltanto l’ultimo atto di una strategia politica che molti governi hanno messo in campo non soltanto per impedire ai meccanismi internazionali di protezione dei diritti umani di svolgere le loro funzioni, ma anche per delegittimare il multilateralismo - rappresentato nella sua espressione più alta dalle Nazioni Unite - e ciò che esso significa in termini di costruzione della pace.

Senza le legittime istituzioni internazionali multilaterali non c’è futuro per la governance mondiale democratica e per i diritti umani. Si ritorna all’anarchia, allo stato di natura, alla legge del più forte.

Chi attacca l’ONU, in particolare i principi sui quali è stata fondata nel 1945 e cioè pace e diritti umani, attacca la stessa idea delle “Nazioni Unite”, termine usato per la prima volta nella Dichiarazione di Washington del 1° gennaio 1942 su proposta del Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt.

Chi attacca l’ONU vuole colpire al cuore l’ordine internazionale creato all’indomani della seconda guerra mondiale e fondato appunto sui principi e sui valori enunciati nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Sono gli stessi principi e valori che troviamo negli articoli 2, 3, 10 e 11 della nostra Costituzione repubblicana. Con essi infatti si ribadisce:

  • il rispetto dei “diritti inviolabili dell’Uomo”,
  • i principi della “pari dignità sociale di tutti i cittadini”, della non discriminazione e dell’eguaglianza,
  • il ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali”,
  • la volontà di “conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” e di accettare “le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”,
  • l’attiva partecipazione alle “organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

L’Italia dal 1° gennaio 2019 è entrata nel Consiglio Diritti Umani delle Nazioni Unite. La sua elezione da parte dell’Assemblea generale è avvenuta a seguito della candidatura presentata dal governo. E’ il Consiglio diritti umani, fatto di rappresentanti di stati, che nomina i relatori speciali contro i quali recentemente il nostro governo ha usato parole poco consone con un linguaggio istituzionale che dovrebbe sempre essere rispettoso nei confronti di iniziative di autorità indipendenti dai governi nel delicato campo dei diritti fondamentali della persona.

Per garantire lo svolgimento delle sessioni dei sei Comitati per i diritti umani previste per il prossimo autunno servono 2 milioni di dollari.

Il governo italiano ha la possibilità di dare un segnale forte, in contro tendenza rispetto alle scelte fatte dalla gran parte dei governi degli stati membri dell’UE e dagli Stati Uniti, versando subito un ulteriore contributo volontario dell’importo necessario a coprire le spese per riunire i sei Comitati per i diritti umani.

Questo gesto sarebbe pienamente coerente con uno degli obiettivi della politica estera dell’Italia indicato nella lettera di candidatura al Consiglio Diritti Umani, nella quale il governo riconosce che “i difensori dei diritti umani sono attori chiave nella promozione e protezione dei diritti umani e riconosce l'importanza del ruolo della società civile, poiché una vivace società civile contribuisce alle società democratiche, alla stabilità e alla prosperità. L'Italia è impegnata a salvaguardare la sicurezza e i diritti dei difensori dei diritti umani e continuerà a supportarli attivamente e ad intensificare i propri sforzi contro tutte le forme di rappresaglia. L'Italia continuerà a sostenere il Relatore speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani”.

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