SOCIETÀ

Padova femminista. Le lotte per il salario domestico contro il “lavoro invisibile”

Nel luglio 1972 Padova diventò per due giorni la meta di diversi gruppi femministi provenienti dall’Italia, dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti e dalla Francia che si incontrarono nella città del Santo per riunirsi in un convegno internazionale. Lo scopo era quello di condividere idee e azioni da perseguire per portare avanti una difficile battaglia: quella per l’istituzione di un salario domestico che ripagasse tutto quel lavoro tanto indispensabile quanto invisibile svolto delle donne dentro le mura di casa per garantire il funzionamento della famiglia e, soprattutto, per crescere gli adulti di domani. La rivendicazione del valore del lavoro domestico si fondava anche sugli ideali anticapitalisti abbracciati da questi gruppi che, proprio per questo motivo, sentivano l’esigenza di organizzarsi in una rete internazionale. Fu in quell’occasione, infatti, che nacque il Collettivo internazionale femminista.

Siamo negli anni Settanta, nel pieno di quella che viene solitamente definita la “seconda ondata” del femminismo. In quel periodo, le attiviste non rivendicavano più gli stessi diritti civili e politici degli uomini (in primis, il diritto al voto) che erano stati già in parte ottenuti grazie alle battaglie combattute dalle femministe della prima ondata, tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Si battevano invece per la costruzione e il riconoscimento sul piano culturale, giuridico e istituzionale di un’identità femminile nuova e specifica, che fosse paritaria a quella degli uomini in termini di diritti e dignità ma che, allo stesso tempo, tenesse conto di quelle caratteristiche proprie della condizione femminile in cui le donne si riconoscevano in quanto donne e che dovevano perciò essere tutelate e valorizzate. In altre parole, lottavano per essere considerate non inferiori, non uguali, ma diverse.

Militante del gruppo Lotta femminista attivo a Padova a partire dall’inizio degli anni Settanta, la sociologa e scrittrice Mariarosa Dalla Costa, già professoressa associata alla facoltà di scienze politiche dell’università di Padova, è stata un’esponente di spicco dei movimenti per il salario domestico e co-fondatrice del Collettivo internazionale femminista. A lei abbiamo chiesto di raccontarci questa storia.

Quali erano i principali movimenti femministi attivi a Padova tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso e per cosa si battevano?

“Non mi risulta che a Padova negli anni Sessanta e Settanta ci fossero movimenti femministi tranne quello che fondammo noi nel 1971 come Movimento di Lotta Femminile che presto prese il nome di Lotta Femminista per essere in seguito rinominato rete dei Gruppi e Comitati per il Salario al lavoro domestico. Mano a mano che crescevamo come numerosità, visibilità e incidenza delle lotte si formavano anche Gruppi di donne che preferivano muoversi in autonomia, ad esempio il Gruppo Femminista Medie (Gruppo delle studentesse delle scuole medie) che, pur mutuando ogni aspetto della nostra analisi, preferiva decidere autonomamente obiettivi e momenti di lotta, con noi o senza di noi. Il tutto è perfettamente comprensibile. Le studentesse si affacciavano per la prima volta a una vita militante e dovevano trovare gli strumenti e i modi per far sentire la loro voce e non essere intimidite dalle donne più anziane o dagli uomini. Oppure vi erano gruppi che si formavano attorno a un progetto preciso come il Centro di documentazione di Padova che svolse la funzione di raccogliere e conservare i documenti che accompagnavano i momenti di mobilitazione come quelli di riflessione nella vita quotidiana: volantini, fascicoli, pamphlet, manifesti. Questi erano i principali mezzi di comunicazione di allora, molto disomogenei e molto fragili. Anche il Centro di documentazione sposava la linea del Salario al lavoro domestico, ne condivideva l’analisi e partecipava alle lotte. Come disse in un pubblico dibattito una nota esponente del Centro, che si fosse a favore o contro il salario al lavoro domestico, comunque tutte si derivava da un’unica casa madre, quella di Lotta Femminista”.

Perché il convegno organizzato a Padova nel 1972 ha rappresentato un momento importante per la storia del femminismo italiano e internazionale? Sulla base di quali ideali si costituì in quell’occasione il Collettivo internazionale femminista?

“Quel convegno fu molto significativo perché testimoniò come donne provenienti da paesi diversi avessero una comune determinazione a cambiare radicalmente la loro vita a partire dalla questione del lavoro domestico. Nel marzo dello stesso anno era uscito Potere femminile e sovversione sociale edito da Marsilio, piccolo libro che funzionò come un manifesto nel movimento femminista internazionale e fu subito tradotto in molte lingue. Ancora adesso se ne richiede la possibilità di traduzione mentre sono già uscite le versioni in lingua coreana e cinese. Recentemente Ombrecorte ha pubblicato una nuova edizione italiana in occasione dei cinquant’anni dal debutto di questo testo che segnò il decollo a livello internazionale della discussione sulla salarizzazione del lavoro domestico. Durante il convegno del 1972 a Padova si decise di costituire il Collettivo Internazionale Femminista. La promozione del dibattito e il coordinamento dell’azione sarebbero stati i principali compiti di questo collettivo formato da me (Italia), Selma James (Gran Bretagna), Silvia Federici (Stati Uniti) e Brigitte Galtier (Francia). Si decise di lanciare una campagna per la salarizzazione del lavoro domestico”.

Quali iniziative furono portate avanti dal Collettivo internazionale femminista e per quanto tempo continuò la sua attività?

“Per capire il modo di funzionare di un collettivo come il CIF bisogna anzitutto mettere in conto che il modo di agire del movimento femminista complessivo e quindi anche di Lotta Femminista non era subordinato ad alcuna burocrazia né formalità. Quindi attuare un progetto o un altro dipendeva solo dal grado di convinzione delle militanti e questo dipendeva dalle discussioni in sede e fuori dalla sede. In ogni gruppo si formava poi una spontanea leadership che vedeva riconosciute le capacità analitiche, organizzative, propositive e, soprattutto, la continuità di presenza. Iniziò così una serie di lotte, di cui alcune più legate a una dimensione locale, altre nazionale, altre internazionale. Queste lotte le militanti le concepivano come articolazioni della lotta sulla retribuzione del lavoro domestico e tutta la documentazione relativa a queste lotte è reperibile nell’Archivio Mariarosa Dalla Costa presso la Biblioteca Civica di Padova. Alla luce di queste specificazioni si può capire che l’attività del CIF non era concepita come attività altra ma le donne che lo formavano erano fortemente impegnate negli obiettivi comuni e nell’attività organizzativa assieme alle altre. Avevano però un’esperienza di attivismo politico in una dimensione internazionale che permetteva loro di tradurre in realtà diverse le iniziative che si prendevano”.

L’ottenimento di un salario per il lavoro domestico non rischiava di diventare “controproducente”, per certi versi? Questa misura non avrebbe forse disincentivato le donne a liberarsi dalle mura di casa per conquistarsi anche loro un posto nel mondo del lavoro esterno?

“Il ruolo di casalinga era già fortemente istituzionalizzato proprio per la mancanza di un salario. E per questo il lavoro domestico era divenuto sempre più invisibile. Il compito che ci proponevamo era anzitutto di dargli visibilità. Come per la violenza, il lavoro domestico doveva essere “scoperto”, si doveva scoprire che era un lavoro e non una missione. Non si trattava di concepire il salario per questo lavoro come un obiettivo tra gli altri ma come una nuova prospettiva dalla quale leggere la realtà in cui le donne erano immerse. Se era un lavoro a tutti gli effetti come si poteva dare per scontata la sua non retribuzione? Come si poteva non collegare il dramma della mancanza di denaro per le donne al fatto che questo lavoro, che erano obbligate a svolgere, condizionava anche la ricerca di un lavoro esterno, ma non era retribuito? Da allora un grande dibattito ha coinvolto attiviste/i e studiose/i nelle aree più diverse del pianeta ed è un dibattito che nelle nuove coordinate socioeconomiche continua a crescere, legato anche alla forte caduta della natalità. Altrettanto è fondamentale ricordare che la richiesta di salarizzazione si accompagnava alla richiesta di una drastica riduzione dell’orario di lavoro esterno per tutti e per tutte. Si volevano 20 ore la settimana perché la riproduzione non dovesse risolversi in un carico lavorativo per un soggetto solo, la donna, bensì potesse costituire un’incombenza per entrambi unitamente al piacere dello stare assieme. Negli anni Settanta come oggi la tematica salariale vede nuovi soggetti e nuove rivendicazioni: studenti, disoccupati, precari. E le donne?”

La lotta per l’ottenimento del salario domestico non è mai stata vinta, ma l’aver combattuto non è stato vano. Quali importanti cambiamenti culturali, istituzionali e legislativi sono stati raggiunti grazie alle battaglie combattute dalla Lotta Femminista per il salario al lavoro domestico?

“Non ritengo che non si sia vinta alcuna battaglia nella prospettiva del salario al lavoro domestico. Considero invece che la concessione dell’assegno unico e universale con cui lo stato italiano si accolla una parte del costo dell’allevamento dei figli costituisca una risposta alla lotta delle donne sul fronte domestico e in particolare alla loro lotta tesa a ridurre il numero dei figli. Fatto di cui si dicono fortemente preoccupati i politici. Era ora che anche in Italia si mettesse a punto una misura di welfare per aiutare la donna nel suo lavoro di madre. È, per la prima volta, un riconoscimento sostanziale della fatica e dei costi di allevare figli. Va sottolineato che il varo di misure dirette a sostenere le donne con bambini, specialmente donne sole, aveva rappresentato una politica portata avanti praticamente da tutti gli stati europei e del Nord America, solo l’Italia restava fanalino di coda. Quanto all’influenza che il movimento femminista, non solo Lotta Femminista, ha avuto su rilevanti mutamenti legislativi posso citare vari ambiti: divorzio, consultori, aborto, diritto di famiglia, violenza, parità. Complessivamente si può dire che l’emergere della donna come persona passa anzitutto attraverso le lotte degli anni Settanta”.

L’emergere della donna come persona passa anzitutto attraverso le lotte degli anni Settanta Mariarosa Dalla Costa

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