SOCIETÀ

La pandemia Covid-19 come fenomeno diacronico

Da quando il tempo viene diviso per anni (millenni ma non ovunque, né permanentemente né allo stesso modo), da quando la Terra viene divisa per fusi orari (prima che esistessero molti Stati attuali, convenzionalmente dal 1884) il passaggio temporale fra un anno e l’altro viene segnalato con clamore e spesso in vario modo festeggiato: è un evento di significato planetario, Capodanno. Eppure a mezzanotte di ciascun nostro 31 dicembre, nella maggioranza degli altri Stati ove risiede la maggioranza degli individui è già iniziato il nuovo anno (da 13 ore circa dalle parti di Kiribati e Nuova Zelanda) oppure si sta ancora completando la fine del precedente (12-13 ore prima nella Samoa americana o all’Isola Howland). Il Capodanno è un evento globale eppure diacronico. Anche la pandemia Covid-19 è un evento diacronico. La malattia è sincronicamente ora presente in quasi tutti gli ecosistemi umani, ma il suo arrivo migratorio, la diffusione, la velocità e la curva del contagio, i picchi, le cure e le intubazioni, i decessi con o per Covid-19 (anche il computo è diverso fra paese e paese) sono avvenuti e stanno avvenendo diacronicamente. In parte, lo scarto di tempo dipende da ecosistemi e biomi, in parte da scelte umane precedenti e inconsapevoli, come le differenze politiche e sanitarie, demografiche e sociali fra gli Stati e le comunità del pianeta. In parte prescinde da noi, è proprio di quello specifico virus, di quella specifica malattia, di quella specifica epidemia, fra l’altro tutti aspetti parzialmente inediti (come la stessa letalità), comunque in fase di studio o ricerca. E in ultima parte dipende poi ancora da noi, una volta acquisitane umana consapevolezza, collettiva e individuale, a come gli Stati e le comunità reagiscono, a quali rallentamenti e contenimenti siamo in grado di mettere in azione per fronteggiare un agente nuovo che può infettarci, sulla base delle esperienze e delle competenze preesistenti e operanti. Nessuno si salva da solo.

Si tratta di pandemia, era prevedibile, era evidente da settimane, adesso è acquisito istituzionalmente. Ovvero in questa fase storica sincronicamente in quasi tutti gli ecosistemi umani del pianeta, a causa del virus SAR-CoV2, la malattia Covid-19(ormai con molti indipendenti focolai) sta pregiudicando la salute di centinaia di migliaia di sapiens, la vita di quasi tutti. Vi sono casi crescenti in due terzi degli Stati dell’Onu (e, fra i restanti, per molti si tratta di piccole isole-Stato). L’Oms ha subito aggiunto che quel che più preoccupa la salute mondiale è l’inazione di molti governi. Pur in assenza di una tempestiva unitaria attività dell’Unione Europea, il governo italiano ha scelto opportunamente progressivamente di ridurre i danni (in corso e potenziali) costringendo quanti più cittadini possibile a restare a casa propria, in modo quasi totale dalla mattina del 12 marzo 2020. Ma attentia prevedere una sincronica fine della crescita dei numeri (l’arrivo prima del picco, poi del plateau), attentia fissare date per il ritorno alla normalità, attenti a fare i conti temporali con presunti modelli come Wuhan! Il picco ha avuto e avrà date diverse per Codogno e per la Lombardia, per il Veneto e per la Puglia, per il Piemonte e per la Sardegna. Per l’Italia e per gli altri paesi europei, per i meticci residenti in Europa e per i meticci residenti nel resto del mondo. Mentre in alcuni comuni lodigiani qualcuno sta finalmente ricominciando a uscire, occorre evitare che coloro che non erano stati contagiati in quel territorio, vengano infettati in aree dove la diffusione della malattia è ancora alta. L’origine è avvenuta prima che ogni blocco migratorio fosse possibile e anche in futuro è improbabile confinare il contagio. Fu, è e sarà sempre così. E anche la quarantena, il contingentamento a casa, il coprifuoco notturno non possono isolare completamente. La malattia immigra ed emigra, è un fenomeno migratorio.

In Cina hanno avuto il primo e interno focolaio. Comunque sia avvenuto l’innesto, lì è iniziata l’epidemia e i cinesi non hanno reagito con trasparenza e tempestività, per almeno un mese hanno commesso gravi errori di politiche sanitarie e informative (anche se successivamente le politiche sanitarie sono state efficienti e generosa risulta ora la collaborazione con paesi lontani come il nostro). Comunque, sono riusciti a contenere e a ridurre, anche quando si sono verificati casi di contagio rientrati dall’esterno, da altri paesi (come la stessa Italia), un accadimento che dobbiamo dare per probabile anche in futuro. Dalla Cina l’epidemia si è diffusa diacronicamente in più aree geografiche del mondo (in Europa forse per il tramite della Baviera in Germania), è divenuta pandemia. Tanto in Cina quanto ovunque si tratta di un coronavirus nuovo (conosciuto un poco per le analogie), non era semplice confrontarsi con le accelerate pessime dinamiche dell’infezione, all’inizio hanno teso a prevalere reazioni di sottovalutazione diffusa e egoismi individuali. Lo si è visto con le contraddittorie differenziate reazioni di alcuni esponenti politici, dei club sportivi professionistici, degli operatori finanziari, come anche degli speculatori e dei truffatori. Comunque, le reazioni umane collettive sono state diacroniche nel tempo e nello spazio. E gli effetti dell’inevitabile contagio e del giusto stare ora a casa saranno di lungo periodo, taluni irreversibili. Le scuole e le università di Belgio, Francia, Portogallo, Spagna e Baviera risultano chiuse un mese dopo quelle italiane, in altri paesi deve ancora accadere. Ciò purtroppo vale anche per gli stadi e i teatri, per i luoghi di quasi tutte le manifestazioni sociali, anche se ora giustamente Spagna, Francia, Repubblica Ceca e Austria stanno seguendo la traccia delle scelte italiane (ma domenica 15 marzo si è votato per le municipali in Francia e Regno Unito). Il decorso e la possibile riapertura non avranno una medesima cronologia (basti pensare al turismo, alle competizioni internazionali, al commercio, alle gite scolastiche o agli scambi interculturali). 

Siamo dentro uno sconvolgimento globale e duraturo. Le dichiarazioni attribuite alla cancelliera tedesca e al premier inglese guardano lontano nel tempo, prefigurando scenari valutati ora come probabili solo per opportunismo. Merkel sembra aver accennato al fatto che tra il 60 e il 70% della popolazione si infetterà, Johnson ha chiesto ai concittadini di mettere in conto la perdita di qualche caro nel proprio ambito familiare. Non è chiaro se intanto stanno davvero facendo di tutto affinché si perdano quanto meno vite umane possibile. Per ora certo comunicano un salto diacronico invece che un’emergenza seria, per quanto possa essere utile scegliere e dosare le politiche in contesti diversi. L’effetto di massa e l’eventuale conseguente “immunità di gregge” (termine pessimo in bocca a rappresentanti pubblici) ci sarà fra molti molti mesi, lo indicano gli studi epidemiologici su casi forse simili di altri virus. La questione è cosa accade nel frattempo per rallentare la crescita rapida e ubiquitaria del contagio, per evitare quanti più morti possibile fra i relativi malati (anche in relazione a fasce d’età, genere, altre patologie), per assistere a casa sia chi sta in quarantena sia che non è infetto ma anziano o disabile, per accrescere il numero delle unità territoriali di terapia intensiva (e sub-intensiva) rispetto alle eccessive chiusure di questi decenni (soprattutto in Italia, Inghilterra, Usa), per avviare eventualmente una verifica dei tamponi a largo raggio, per consentire ai sistemi ospedalieri (a metà marzo l’epicentro della pandemia è l’intera Europa) di reggere rispetto a ricoveri e intubazioni e, parallelamente, rispetto a incidenti di diverso tipo e a malattie gravi che affliggono quote rilevanti della popolazione. Le scelte rispetto alla Convenzione di Schengen andavano prese tutti insieme e, comunque, un conto appare impedire il viaggio di persone per un tempo contingentato, un conto chiudere al trasporto di merci (che hanno peraltro bisogno di lavoratori della logistica). Tutti soli e sempre chiusi nei nostri confini (di quartiere, comune, regione, stato, continente) staremmo peggio, non meglio. Misuriamo pensieri e azioni con una coscienza di specie meticcia.

Nessuno si salva e si salverà da solo. La distanza di tempo fra un’azione o un fenomeno e i suoi effetti c’entra poco con la diacronia. La diacronia riguarda un fenomeno o un’azione in corso che ha velocità e modalità di manifestazione sfalsate nel tempo da luogo a luogo. Il termine viene soprattutto dalla linguistica. Fino a metà Ottocento, prima dello studioso svizzero Ferdinand de Saussure (1857-1913), era predominante un’analisi del linguaggio fondata sull’esame del divenire storico degli elementi della lingua. Grazie a lui fu posta maggiore attenzione al binomio sincronico-diacronico. Cronico riguarda il tempo. Il prefisso sin- significa con/insieme, e ci dice che gli oggetti del discorso avvengono insieme nello stesso tempo; una visione sincronica prende in considerazione le posizioni reciproche degli oggetti in un certo momento, senza considerarne il movimento.Il prefisso dia- indica attraverso: una visione dia-cronica implica gli stessi oggetti in viaggio attraverso il tempo, l’esistenza di più tempi per i vari luoghi dello stesso fenomeno “contemporaneo”. 

In riferimento alla biologia, ogni cellula adotta un determinato comportamento quando “sente” segnali interni (istruzioni originarie) ed esterni (intercellulari, soprattutto ormonali); tutti i segnali sono condizionati poi dal funzionamento dei ricettori e dalle condizioni esterne delle risposte, sempre parzialmente inedite e diacroniche. Questo vale sia per l’ecosistema interno o microbiota degli individui,composto di milioni di batteri e funghi, microbi e virus, attivi e in movimento(soprattutto nell’intestino e nei polmoni), con un loro microbioma, ovvero propri genomi e proprie informazioni genetiche, sia per gli innumerevoli mutevoli differenti interconnessi ecosistemi esterni (oggi tutti interessati da cambiamenti climatici antropici globali che condizionano tutti i fattori biotici, compresi i virus). Ovviamente, esistono all’interno dell’ecosistema terrestre diacronie cicliche come il succedersi delle stagioni nei due emisferi. E diacronie non cicliche nello sviluppo biologico di ciascun individuo. In realtà, sussistono molteplici tempi storici, non coincidenti né con la cronologia, né con un deterministico progresso: sincronie e diacronie, cicli e stalli, inversioni e svolte, (maggiori) equilibri o squilibri da una parte; dall’altra parte storie connesse e parallele di attività e fenomeni umani, talora contraddittori o diacronici come lo stare e il muoversi, il comunicare e l’essere comunicati, il pensare e l’agire, l’adattarsi e il morire. Uno sguardo evoluzionistico è sempre consigliabile.

Non è per adesso che l’emergenza finisce. Dovremo convivere molto a lungo col virus, con le sue mutazioni e gli eventuali ceppi, forse ormai per sempre, restare vigili e potenziare sanità e ricerca pubbliche, mantenere costante attenzione per il rispetto dei diritti civili e sociali (ed evitare il contagio della stessa democrazia). Forse è pure opportuno che introiettiamo il significato di diacronia, ora e per sempre. Rispetto alla malattia Covid-19, i sistemi sanitari possono riuscire e in parte stanno riuscendo (nonostante i tagli degli ultimi decenni, pure in Italia, a prezzo di enormi fatiche del personale motivato) a curare molti e bene, in prospettiva emergeranno altre cure e tendenzialmente i vaccini. Diacronicamente, anche se una oggettiva spinta a una organizzazione mondiale pubblica della salute può rendere le differenze istituzionali e sociali meno gravose per tanti. Però, attenti ai modelli! Il modello Wuhan prima, il modello Codogno poi, tra un po’ si enfatizzerà il “modello” di dove finalmente si raggiungono picco e poi plateau, s’inverte la tendenza della campana della crescita cumulativa dei contagi e poi il numero dei contagi non cambia più. Evviva, prima e ovunque sarà! Attenzione comunque: non è che là prima erano tutti untori e successivamente tutti eroi. Errori e ritardi ci sono stati innanzitutto là, non è una colpa, perlopiù non c’era dolo, nemmeno nei sistemi non democratici. Occorre distinguere i fenomeni biologici e scientifici dalle isterie politiche del negazionismo alla Sgarbi o Brigliadori o del “chiudere tutto”, “riaprire tutto”, “richiudere tutto” detto dalla stessa persona a poca distanza di giorni. Chissà come saremo evoluti il prossimo Capodanno? Se si saranno già svolti gli europei di calcio a Roma e le Olimpiadi a Tokyo? Chissà se saremo individui sapiens tutti un pochino più sapienti di essere una parte vitale della biosfera e del vantaggio speciale di agire più solidalmente? Non è per adesso?

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