SOCIETÀ

L’epidemia da coronavirus come fenomeno migratorio

Nella bella intervista all’ottimo professore storico della medicina Bernardino Fantini su epidemie del passato e del presente, qui pubblicata qualche giorno fa le affermazioni della parte conclusiva risultano particolarmente significative: “L'insegnamento più importante che non solo la storia della medicina ma anche più in generale la scienza ci possono dare è che la specie umana vive in un equilibrio instabile con il resto della biosfera. Facciamo parte della biosfera e abbiamo tra l'altro bisogno dei microbi, che sono anche dentro il nostro corpo e ci permettono di vivere, quindi dobbiamo comprendere che batteri e virus fanno parte della natura, evolvono come noi e ci sono sempre equilibri nuovi. Ogni qualvolta la popolazione umana entra in contatto con nuovi ambienti naturali è molto probabile che ci siano trasmissioni di nuovi patogeni. Dobbiamo forse passare a una visione più ecologica della nostra relazione con la natura e tenerne conto nelle nostre azioni”.


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Non è questione di rifiuto dell’antropocentrismo: pensiamo noi, noi umani, ci relazioniamo noi a nostro modo, sette miliardi e settecento milioni di individui umani, dobbiamo garantire la sopravvivenza nostra e la nostra capacità riproduttiva, non ci piove. Siamo antropocentrici tanto quanto ogni altra specie è centrata su se stessa, non c’è da vergognarsi. Visto che veniamo “prima noi” e gli altri (animali, vegetali, batteri, extraterrestri) li concepiamo con il nostro cervello, tanto vale riflettere un po’ di più e meglio su come funzionano, scientificamente, su noi rispetto a loro, sulle reciproche relazioni e migrazioni. Anche quando siamo arrivati noi (pure dove non c’erano mai stati prima umani viventi) abbiamo alterato delicati equilibri. Accade sempre quando si migra. Il fenomeno migratorio è unico, eppure diacronico, asimmetrico, biologico, evolutivo.

La migrazione è un cambio di residenza duraturo. I luoghi delle residenze di animali e vegetali sono perlopiù nicchie negli ecosistemi esterni, terrestri o aerei o acquatici, con maggiore o minore mobilità al loro interno e fra ecosistemi. La residenza di tanti diversi microrganismi sono, invece, individui animali e vegetali di altre specie compatibili, ci vivono dentro, facendoci nel tempo alcuni bene altri male altri ancora entrambe le cose (in una reciproca corsa agli armamenti e in un relativo continuo adattamento), nella nostra buona e cattiva sorte (che spesso seguono sia se ci spostiamo sia se periamo). Tanti virus come e prima del Sar-CoV-2 (causa della malattia Covid-19) passano da specifici animali, non solo da quelli cosiddetti selvatici, ai sapiens. Risiedono, si spostano, mutano al riparo di altre specie; non siamo già abituati alla loro presenza se e quando ci adocchiano e ci immigrano dentro, all’inizio in superficie poi in profondità all’interno; siamo permeabili, talora in difficoltà per lo squilibrio che si crea nel nostro ecosistema esterno in mezzo a tanti altri individui e alle altre specie, ma anche dentro di noi nel nostro ecosistema interno o microbiota. composto di milioni di batteri e funghi, microbi e virus, attivi e in movimento (soprattutto nell’intestino e nei polmoni), con un loro microbioma, ovvero propri genomi e proprie informazioni genetiche.

Restando agli ultimi decenni possiamo ricordare alcune origini della migrazione dentro tanti sapiens di virus patogeni e mortali per noi (e spesso non per loro): le galline e le anatre d’allevamento (influenza aviaria), i pipistrelli della frutta (Ebola), gli zibetti dell’Himalaya e i procioni (Sars). Non è sempre detto che il passaggio sia diretto, possono esserci stati transiti e trampolini di lancio attraverso altre specie. E, ovviamente, è frequente l’impossibilità biologica del salto di specie (la migrazione da quella specifica alla specifica altra). Sono comunque innumerevoli gli animali che possono trasmetterci malattie e la storia della medicina è ricca di esempi drammatici. Si chiama zoonosi quando risulta una malattia anche per gli animali da cui emigra un agente patogeno, capace di sopravvivere proprio perché si replica attivamente infettando l’individuo biologico ove immigra. In genere gli animali domestici non ne risentono e sembra sia raro che noi a nostra volta trasmettiamo loro il virus (una volta che i virus si sono adattati a noi, gli animali di compagnia non risultano recettori giusti). Tuttavia, leggendo saggi scientifici o articoli divulgativi i condizionali e i “forse” si sprecano, manca una completa organica teoria della migrazione fra individui e gruppi di specie diverse, o fra microbioti ed ecosistemi, ancor più se si considera essenziale aggiornarsi rispetto alle recenti acquisizioni della biologia evoluzionistica.

La rete di trasmissione del Sar-CoV-2 fra umani è stata molto indagata e, ormai, molto si sa rispetto alle dinamiche del contagio, dell’eventuale malattia Covid-19 e in merito alla prevenzione possibile con comportamenti individuali e collettivi coerenti. Purtroppo fin dal principio la percezione del rischio ha subito le dinamiche contemporanee dell’indifferenza o dell’odio, non è stata corretta. La stessa comunità scientifica è stata sottoposta all’enfasi giornalistica e alla semplificazione di messaggi, rispetto a un evento imprevisto e complesso, rispetto al quale la ricerca deve restare aperta e il dibattito scientifico indispensabile (qui). D’altro canto era giusto agire tempestivamente: le politiche sanitarie pubbliche questa volta sono in larga parte internazionali (quasi globali) e costituiscono in Italia un prezioso diritto collettivo prima che un dovere. Rispettiamo con serenità le indicazioni delle istituzioni competenti, per quanto stiano terremotando molti usi e costumi, impegni presi e abitudini consolidate e sia certo, anche quando sarà finita l’emergenza, che ne saremo condizionati per mesi e forse anni sotto tutti i punti di vista della convivenza economica e sociale. La politica più efficace per la malattia Covid-19 si sta mostrando la riduzione del danno

L’inizio del 2020 sarà ricordato come una svolta nel vivere civile in tutto il mondo, c’è subito chi ha pensato di approfittarsene (come sempre nelle crisi), comunque siamo ancor più consapevoli di stare tutti gli umani su una stessa barca planetaria: un piccolo essere inatteso e ostile sta immigrando in milioni dei nostri corpi, dobbiamo fronteggiarne la presenza e metterci nelle condizioni di limitare i contagi, di assisterci, curarci, tendenzialmente vaccinarci. Oltre che di gestire le conseguenze nel mercato del lavoro, nella produzione industriale, nel commercio internazionale, nel turismo diffuso, nella rete delle nostre relazioni sociali. Facendo ovviamente tesoro della letteratura scientifica, romanzata e poetica sulle analogie col passato.Vediamo come per ora sia complicato ricostruire esattamente tutta la filiera dalla Cina con furore (qui sono stati spiegati i precedenti).

Come è stato qui ben illustrato, grazie all’attività dell’Università di Padova, noi sapiens siamo divenuti una nuova nicchia ecologica per il virus, che sta mutando di continuo. Le incubazioni sono lunghe e diacroniche nei luoghi, la sintomatologia si differenzia da individuo a individuo e spesso manca, il virus dal paziente zero cinese ha inevitabilmente migrato già molto prima che qualcuno se ne rendesse conto e si potesse individuarlo. Si è diffuso, ha via allargato l’areale, tanto più che ormai non ci sono aree del pianeta Terra che non siano anche ecosistemi umani, perlopiù fortemente antropizzati. Sar-CoV-2 ha iniziato a emigrare e infettare prima che potessimo chiudere qualsiasi frontiera. Era una pericolosa novità e certo, ovunque, vi sono poi stati errori e ritardi. La costruzione sociale del rischio non è stata all’altezza della solidarietà fra umani (diversa dalla gestione sanitaria dei pericoli). Per quanto chiudiamo ora i confini, l’epidemia è e resterà in corso entro i territori di quasi tutti gli Stati del mondo, serve davvero solo adottare scelte coerenti e uniformi per rallentare la diffusione e ridurre i danni, mentre i sistemi sociosanitari si adeguano alla incipiente pandemia. E senza dimenticare i drammi umanitari di centinaia di migliaia di profughi (con diritto d’asilo) ai confini fra Grecia e Turchia e permanentemente nel Mediterraneo.

Si sente ripetere che nel futuro l’epidemia cambierà la mobilità umana, i flussi migratori in entrata e in uscita in ogni paese. È possibile, per certi versi il fenomeno è in corso e ha avuto pure un suo iter altalenante nei luoghi di vita e nell’evoluzione dei popoli durante la lunga preistoria e storia di noi sapiens. Da milioni di anni il movimento e la diffusione in ampi spazi sono connaturati alla nostra identità di umani bipedi, da centinaia di migliaia di anni la mescolanza e il meticciato sono connaturati alla forma sapiens degli umani (“La specie meticcia”, People, 2019). Ogni specie ha barriere negli spostamenti, noi le abbiamo tracciate e le usiamo per i rapporti fra gruppi, comunità, popoli, civiltà, Stati coi quali abbiamo antropizzato ogni ecosistema terrestre. Nessun umano confine può tener fuori tutto e tutti o contenere tutto e tutti quel che vogliamo. Talvolta siamo più aperti, talaltra più chiusi; talvolta abbiamo bisogno di tante emigrazioni, talaltra assistiamo a crescenti immigrazioni; talvolta costringiamo altre specie a emigrare, talaltra subiamo le loro immigrazioni; i vasi resteranno sempre inevitabilmente comunicanti. Fra di noi e fra i fattori biotici di ogni ecosistema. Facciamo parte della stessa biosfera, appunto.

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