SOCIETÀ

Papa Francesco, sei anni oltre i bastioni

Erano le 19:06 del 13 marzo 2013 quando, dal comignolo sulla cappella Sistina, usciva la fumata bianca attesa dai cattolici di tutto il mondo. Dopo poco più di un’ora una folla di 100.000 persone accoglieva Jorge Mario Bergoglio nella sua prima uscita da romano pontefice. I modi semplici e diretti, l’accento sulla comprensione (la famosa uscita sul “Chi sono io per giudicare?”) e sulla misericordia (a cui nel 2016 fu dedicato un giubileo straordinario) sembrarono in un primo momento portare al nuovo vescovo di Roma molte simpatie all’interno e al di fuori della Chiesa cattolica. Oggi, a sei anni da quel giorno, il quadro appare sicuramente meno idilliaco, oscurato sia dalle critiche di chi vede in ogni apertura un pericoloso cedimento dottrinale, sia dalla delusione di chi forse sperava in passi ancora più dirompenti. Nel mezzo, il periodico ritorno dello scandalo sulla pedofilia nel clero sembra minare sempre più irrimediabilmente la credibilità della Chiesa di Roma. Sei anni insomma pieni di difficoltà ma anche di speranze, su cui chiediamo un’analisi a Paolo Bettiolo, docente emerito di storia del cristianesimo all’università di Padova.

A sei anni dall’elezione è possibile fare un primo bilancio, sia pure parziale, del pontificato di papa Francesco?

“Credo sia sensato tentarlo a patto, tuttavia, di aver chiaro il contesto entro cui prospettarlo – quello, cioè, dell’‘esplosione’ del cristianesimo (come si è detto) che probabilmente il concilio Vaticano II voluto da Giovanni XXIII, sia nel suo svolgersi sia nei suoi esiti, ha portato a compiuta manifestazione. Questo significa che la Chiesa cattolica non era più in grado di tenere, se si vuole, di vivere negli assetti istituzionali, dottrinali e pastorali in cui si era venuta definendo nella modernità, che la rendevano sempre più simile a una cupa fortezza assediata, come si scriveva già a fine ‘700… Abbattere i bastioni è stata allora una parola d’ordine ampiamente recepita, evidentemente a un tempo necessaria, salutare e rischiosa (il riferimento è a un’espressione coniata dal teologo Hans Urs von Balthasar, ndr). Aggiungerei: profondamente coerente, tuttavia, con la storia tutta della vicenda cristiana (non nella sua sola variante ‘cattolica’), per nulla lineare e sempre segnata dall’esigenza di una fedeltà creatrice a quanto aveva fatto e detto il suo ‘fondatore’”.

Come descriverebbe la chiesa di Francesco?

“Penso la si possa descrivere da una parte riprendendo una pregnante formula proposta nella stagione conciliare, quella di una chiesa ‘servante et pauvre’ – una chiesa che si fa serva e povera; dall’altra, ed è a mio avviso un apporto di Francesco, come una chiesa misericorde, testimone della misericordia di Dio”.

Al fondo c’è una decisiva e irrinunciabile tesi teologica, saldamente iscritta nel Vangelo: quella di un Dio di misericordia

Quali sono i tratti salienti del pontificato francescano, sia dal punto di vista della pastorale che della dottrina?

“Credo che i due tratti che prima rilevavo siano davvero quelli che meglio caratterizzano il pontificato o, per riprendere il titolo di un bel saggio di Giovanni Miccoli dedicato a Francesco d’Assisi, la ‘proposta cristiana’ di papa Francesco. E insisto: non si tratta solo di un tratto ‘pastorale’, come spesso si ripete, né, come si vuole da parte di alcuni, di un maldestro e infine addirittura vile cedimento e allineamento alla modernità. Al fondo c’è una decisiva e irrinunciabile tesi teologica, saldamente iscritta nel Vangelo: quella di un Dio di misericordia, di un Dio che vive ed è uno nell’amore che si accende ed effonde tra Padre, Figlio e Spirito santo, traboccando poi liberamente nella creazione. Un Dio che solo attraverso la carità ‘attira’ a sé tutto, patendo dileggio e umiliazione, patendo morte e sepolcro – perché solo così è il Dio vivo e vivificante. Certo, parole che producono resistenza e scandalo, ma conosce un altro Vangelo? Meditare, pensare, mettere in pratica questo è lasciarsi fare cristiani – da Dio, per sé e il mondo”.

Negli ultimi tempi, nonostante un sinodo appositamente convocato, c’è stato un revival degli scandali sulla pedofilia, con la condanna di due cardinali, uno dei quali – l’australiano George Pell – considerato molto vicino al pontefice. Questa piaga rischia di travolgere anche Francesco e il suo progetto di riforma?

“Vede, poco meno di vent’anni fa un anziano amico, attento osservatore dei percorsi del cattolicesimo novecentesco, titolava un suo contributo sullo stato della chiesa: PraevalebuntPrevarranno. Faceva riferimento al versetto del Vangelo di Matteo in cui Gesù afferma a proposito della chiesa fondata su Pietro: E le porte degli inferi non prevarranno su di essa. Prevarranno, invece – annotava – perché essa si adeguava al mondo, in particolare nell’uso spregiudicato dei media che ne esaltavano la (solo apparente) potenza… Opinione che si può sensatamente discutere, ma che qui m’interessa riportare solo per suggerire che è difficile dire con sicurezza: Prevarranno. Certo, gli scandali aggravano ulteriormente, se possibile, la percezione divenuta comune di un’istituzione che non ha più alcuna grandezza e al cui interno le tensioni divengono sempre più laceranti, a ogni livello, rendendola opaca e ‘troppo umana’. Probabilmente Francesco può poco – e forse se ne sta sempre più accorgendo. Forse a poco a poco si avvedrà di non poter far altro che ripetere in modo monotono, come l’apostolo Giovanni a Patmos nei suoi ultimi giorni, quando i discepoli lo interrogavano insistentemente per averne una parola forte, profonda: Figlioli, amatevi a vicenda. Del resto, si legge in Luca: Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora fede sulla terra?”.

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