SCIENZA E RICERCA

Il pianeta Terra: un osservato speciale

Era il 28 giugno 1978 quando gli Stati Uniti lanciarono un satellite che cambiò il modo di osservare la Terra. Si chiamava Seasat ed il suo obiettivo era quello di puntare uno sguardo costante sui nostri oceani. Il progetto della Nasa rimase operativo in orbita per soli 105 giorni, prima che un corto circuito ponesse fine prematuramente alla missione. 105 giorni che però cambiarono la storia delle rilevazioni satellitari. In quel breve periodo infatti Seasat raccolse numerose immagini, che a 35 anni dalla sua messa in orbita, sono state in parte digitalizzate e rese disponibli dalla Nasa.

Già all’epoca dli scienziati del JPL avevano utilizzato quelle immagini per scoprire un sottile rigonfiamento dei campi mentre assorbivano l’acqua per l’irrigazione. Lo strumento InSAR quindi, aveva creato un precedente positivo, tanto che, nel 1989, gli autori dell’articolo scientifico avevano dichiarato:"Non è difficile pensare a numerose applicazioni permesse dallo strumento"

Gli studiosi non avevano torto. Come ricordato in un articolo pubblicato su Science, un classico studio InSAR è stato condotto nel 1993, quando un team di scienziati in Francia ha utilizzato i dati del satellite europeo di telerilevamento abilitato SAR per studiare un potente terremoto accaduto in California l'anno prima. Analizzando le immagini scattate prima e dopo il terremoto, si legge su Science, gli studiosi sono riusciti a calcolare che la faglia era scivolata fino a 6 metri, confrontando e confermando i dati satellitari con le osservazioni dettagliate sul campo. I dati InSAR inoltre, avevano anche rivelato come il terreno avesse ceduto per chilometri attorno alla faglia, illustrando tutti gli effetti del terremoto su una scala senza precedenti.

La storia del SAR

Fino ad ora abbiamo parlato di InSAR, ma vediamo da dover deriva questo nome.  Il “SAR” da cui dipende InSAR, è nato negli anni '50 come strumento di ricognizione militare aerea. Come i radar tradizionali, gli strumenti SAR hanno catturato le immagini del pianeta inviando impulsi a microonde e registrando poi i loro echi, una tecnologia che poteva funzionare indifferentemente dal fatto che fosse giorno o notte.

Le immagini SAR, anche utilizzate da sole, sono sufficienti per molti tipi di sorveglianza, dall'antiterrorismo al monitoraggio delle fuoriuscite di petrolio nell'oceano. Ma “InSAR” va oltre a questo, cerca cioè le differenze tra più immagini SAR. Da qui quindi l’utilizzo per monitorare i cambiamenti terrestri.

Abbiamo visto quindi come già il primo Seasat, nonostante la breve vita, sia stato utile ad analizzare gli oceani. Da quel lontano 1978 le cose si sono evolute molto, passando dall’analisi dei terremoti in California del 1993 alla siccità nella San Joaquin Valley in California alla fine degli anni 2000, dove gli studiosi hanno scoperto che la superficie si stava abbassando a una velocità di 27 centimetri all'anno nei luoghi in cui gli agricoltori pompavano la maggior parte delle acque sotterranee, con la conseguenza del rischio cedimento dei canali di irrigazione. La tecnologia In SAR quindi è utilizzata in tutte le sue sfacettature, tra le quali non può certo mancare lo studio dei ghiacciai. Già ad inizio anni ’90  Ian Joughin, ricercatore del JPL, ha tracciato i movimenti, sia orizzontali che verticali, dei ghiacci polari.

Sentinel-1

Arriviamo ora agli anni più recenti. Il 2014 in particolare, dal punto di vista del monitoraggio satellitare della Terra è stato l’anno di svolta. Il 3 aprile 2014 infatti è stato lanciato il primo satellite Sentinel-1. ll rilevamento era di 250 chilometri con una risoluzione di 5 metri per 20 metri. Il satellite poi ripercorreva la stessa identica orbita ogni 12 giorni. Tutti questi dati quindi, erano perfetti per un’analisi In SAR. Nel 2016 poi, l'ESA ha lanciato un clone di Sentinel-1, che ha reso disponibili immagini ripetute ogni 6 giorni circa per molti luoghi della Terra. Il progetto Copernicus, ad oggi, è ancora una grande fonte di dati per monitorare i cambiamenti anche superficiali del nostro pianeta.


LEGGI ANCHE:

Ora una nuova prospettiva di satelliti utili al monitoraggio della Terra sta per diventare realtà. Italia, Giappone, Argentina e Cina hanno in programma di lanciare presto ulteriori satelliti SAR e NISAR. La missione NASA-ISRO dovrebbe prendere il volo tra la fine del 2022 e l'inizio del 2023. NISAR dovrebbe “fotografare” l'intera superficie terrestre in media ogni 6 giorni

I suoi due sensori radar aiuteranno i ricercatori a tenere traccia di innumerevoli cose, tra cui la crescita delle colture e i cambiamenti nella biomassa legnosa, fondamentali per la comprensione del sistema climatico. Con una vista migliore dell'Antartide rispetto ad altre missioni, NISAR potrà essere anche molto utile nel monitorare i cambiamenti nel ghiaccio.

Unendo Sentinel-1 (e 2), NISAR e gli altri satelliti civili potremo avere quindi una fotografia costante della maggior parte dei luoghi della Terra almeno ogni 12 ore, senza contare la miriade di satelliti di proprietà di società private.

Il 24 gennaio scorso, ad esempio, un razzo SpaceX Falcon 9 è decollato da Cape Canaveral, in Florida, trasportando tre satelliti, ciascuno delle dimensioni di un minifrigo e del peso inferiore a 100 chilogrammi. C’è poi anche la startup SAR finlandese che ha raccolto più di 150 milioni di dollari con l’obiettivo di “fotografare” ogni metro quadrato della Terra con un range temporale di un’ora.

LEGGI ANCHE:

- Le multinazionali alla conquista dello spazio


Gli anni ’20 quindi, segneranno un grosso passo in avanti nel monitoraggio del nostro pianeta da “piccoli” oggetti presenti nella sua orbita. Un’evoluzione, ed un abbassamento dei costi, che creano enormi possibilità di ricerca, non solo ad istituti pubblici. L’avanzamento tecnologico, l’aumento esponenziale delle possibilità che questi satelliti mettono in campo, è un’opportunità che verrà colta da molti. Il rischio però, è quello di un uso non corretto delle applicazioni. Monitorare ogni angolo della Terra infatti, significa anche monitorare i suoi cittadini, e qui entriamo in nel campo etico, che non può restare troppo indietro rispetto alla tecnologia.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012