CULTURA

Quando a naufragare erano i veneziani. Infelice e sventuratta “coca Querina”

Nel dar voce a un marinaio colombiano – approdato nelle acque in cui i naufraghi perdono la nozione dello spazio e del tempo, recuperando al contrario paure primordiali fino all’inaspettata salvezza – nel 1955 Gabriel García Márquez pubblicava a puntate nel giornale “El Espectator” il Racconto di un naufrago, destinato a diventare un volumetto autonomo nel 1970. Mosso da un profondo impegno civile, l’allora giovane cronista, che non si limitava al resoconto del naufragio ma evidenziava pesanti responsabilità da parte del governo colombiano, ricordava le parole di un autore portoghese del XVI secolo: “Gli uomini vanno sul mare giocati ai dadi”.

Proprio così: quando l’acqua era il mezzo di comunicazione e di trasporto delle merci più diffuso, il rischio diventava molto elevato. Chi affrontava il mare ne era consapevole. La storia ci consegna numerosi racconti di naufragi, legati per lo più ad attività commerciali o alla volontà di spingersi alla scoperta del “nuovo”, mentre oggi le ragioni sono altre. Pochi racconti ci restituiscono, tuttavia, stati d’animo ed emozioni: quelle stesse trasmesse da Garcìa Márquez nel suo Racconto, oppure recentemente evocate da Cristina Cattaneo nel volume risultato vincitore del Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica 2019, con riferimento ai familiari delle vittime dei più recenti naufragi nel Mediterraneo (Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo, Raffaello Cortina Editore 2018).

Per questa attenzione per gli stati d’animo, risultano particolarmente significativi i racconti originali del naufragio subito nel 1431 da Pietro Querini e dei suoi compagni nei mari del Nord, recentemente pubblicati (“Infeliçe e sventuratta coca Querina”. I racconti originali del naufragio dei Veneziani nei mari del Nord, edizione e note a cura di Angela Pluda, Viella 2019). Ancora più significativi perché a loro volta suscitano emozioni, ponendoci di fronte alla tragedia vissuta da chi si gioca la vita ai dadi e alla gratitudine e alla felicità verso chi generosamente presta loro soccorso e accoglienza.

Partita da Candia (sull’isola di Creta, allora veneziana) sulla rotta delle galere di Fiandra, l’imbarcazione di Pietro Querini (la “coca Querina”) viene sorpresa nel 1431 sull’Atlantico da una violentissima tempesta e spinta fino a un’isola deserta delle Lofoten, lungo la costa settentrionale della Norvegia, oltre il circolo polare artico. Solo pochi superstiti approderanno su uno scoglio di queste isole: i naufraghi saranno salvati e accolti dalla popolazione del luogo. La percezione della nuova realtà e l’atteggiamento nei confronti delle donne e degli uomini che abitavano quelle terre sono indubbiamente condizionati dallo status dei veneziani. Uomini liberi, che non giudicano gli ospiti norvegesi sulla base di pregiudizi o logiche di civilizzazione verso i “selvaggi”, al contrario di quanto ad esempio trapela dal giornale di bordo circa la “scoperta delle Indie” di Cristoforo Colombo. Dal racconto di Querini emerge la visione di un mondo innocente e paradisiaco che, sebbene produca una sensazione di disagio e di estraneità (“a confuxione et obrobrio de costumi italiçi”), suscita ammirazione e desiderio di conoscenza.

Il racconto del naufragio di Pietro Querini ci invita a riflettere su temi come quello del soccorso in mare e dell’accoglienza ai naufraghi/profughi

Ne esce un racconto etnografico ante litteram delle usanze, religiose e comunitarie, ma anche la riconoscenza, impressa nel ricordo e nella certezza che, “se non fosse stata una così amorevole e pietosa accoglienza”, la compagnia avrebbe trovato morte certa. Nell’apprezzare la generosa ospitalità, lo spirito di carità e infine i costumi dei pescatori norvegesi che prestano soccorso ai naufraghi (“fummo trattati umanamente…”), i sopravvissuti ci invitano in un certo senso a riflettere su temi di grande attualità come quello del soccorso in mare e dell’accoglienza ai naufraghi/profughi, nel momento in cui al centro della narrazione non è tanto l’azione di salvataggio, quanto la riconoscenza e la gratitudine di chi la subisce per di più in maniera del tutto inaspettata. Ci accolsero come “forestieri in bisogno”: il racconto ritorna più volte sulla percezione dello sconosciuto da parte di chi si trova ad accoglierlo.

Dello sventurato viaggio, in cui morirono 35 dei 47 componenti dell’equipaggio, possediamo diverse testimonianze: due relazioni manoscritte (una del capitano Pietro Querini, l’altra dell’umanista fiorentino Antonio di Corrado de Cardini, che raccoglie il racconto di Cristoforo Fioravante e Nicolò Michiel, rispettivamente consigliere e scrivano a bordo dell’imbarcazione), una a stampa, inserita da Giovanni Battista Ramusio nel secondo volume delle Navigationi et viaggi (1559) replicata a distanza di tempo da edizioni in lingua tedesca (Lipsia 1615, Francoforte 1784) e in francese (Parigi 1788). Troviamo eco del viaggio di Querini anche nelle carte nautiche (come nell’Atlante di Andrea Bianco, 1436, che segnala “stocfis” nella zona delle Lofoten) e nel famoso mappamondo di fra’ Mauro (1457-1459), che scrive: “Questa provincia di Norvegia scorse misier Piero Querino come e noto”. Il naufragio della “coca Quirina” è stato raccontato più volte in forma romanzata o evocato come premessa alla diffusione del baccalà sulle tavole degli Italiani, sebbene le diverse redazioni del diario di viaggio non siano mai state pubblicate integralmente né messe a confronto.

Se la restituzione della veste originale del racconto rende disponibile la lingua veneziana del XV secolo, evidenziando gli interventi apportati al testo da Ramusio, la fonte resa ora disponibile nelle sue diverse varianti getta nuova luce sulla storia del commercio veneziano, sulla storia delle città e dei “paesi” attraversati dai naufragi sulla via del ritorno, sulle reti di soccorso e di solidarietà attivate a loro favore, sulla scoperta di nuovi “mondi”. Quello di Pietro Querini non è solo un diario di bordo: è un racconto a tratti commovente delle relazioni tra il Mediterraneo e il Baltico, un racconto che mostra una realtà europea solidale e senza barriere, da Nord a Sud.

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