SOCIETÀ

Quirinale: pro e contro di un bis

Per sessant’anni nessun presidente è stato confermato per un secondo mandato: neppure una figura amata come Pertini, che pure forse lo avrebbe gradito. Lo stesso Pertini che fu eletto a larghissima maggioranza ma solo al sedicesimo scrutinio, senza che peraltro nessuno gridasse allo scandalo. Negli ultimi anni invece l’elezione del presidente è diventata una specie di ordalia, seguita per mesi da media e politica in un crescendo di parossismo. Così, dopo sette votazioni a vuoto, lo scorso 29 gennaio Sergio Mattarella è stato rieletto con 759 voti, al termine di una settimana a dir poco concitata.

“Non è una bella notizia per i partiti, che non sono stati in grado di elaborare una candidatura alternativa”, spiega a Il Bo Live Selena Grimaldi, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e di Studi Internazionali (SPGI) dell’Università di Padova, dove insegna politica comparata. “La Costituzione permette senza alcun dubbio la rielezione del presidente – continua la studiosa –: più che un limite costituzionale c’era forse un problema di opportunità, come ha evidenziato lo stesso Mattarella. Qui entra in gioco il fallimento delle forze politiche, anche se, rispetto al precedente di Napolitano, in questo caso l’opzione della riconferma era in qualche modo sul tavolo fin dall’inizio”.

Cosa ci dice l’ultima elezione sullo stato di salute delle nostre istituzioni?

“Non c’è dubbio che la situazione politica sia molto complicata: in particolare dal 2013, quando con il successo del Movimento 5 Stelle si è imposto un tripolarismo che ha creato non pochi problemi nella formazione delle maggioranze governative. Tra l’altro il M5S non è un partito con una struttura tradizionale nemmeno nella leadership: spesso non si capisce chi detta la linea, dentro o fuori il palazzo, e questo comporta anche problemi nella formazione di accordi con altri soggetti. Era comunque evidente fin dall’inizio che nessuna delle forze in campo avrebbe potuto eleggere un ‘suo’ presidente: su questo punto il centro destra ha forse insistito troppo e alla fine è andato a sbattere”.

…E così si è arrivati a un’altra rielezione, dopo quella di Napolitano nel 2013.

“Da noi desta sorpresa, ma se andiamo oltre il cortile di casa e guardiamo tutto da una prospettiva più ampia i secondi mandati ci sono un po’ dappertutto, anche in democrazie dove l’elezione del capo dello Stato è indiretta: ad esempio è accaduto in Germania senza che questo destasse troppi problemi. Da noi prima non succedeva per una serie di ragioni, a partire dal fatto che storicamente eleggiamo presidenti molto anziani: l’età media è di 72 anni, contro un limite minimo di 50 fissato dalla Costituzione. Questo chiaramente finora ha reso improbabile la rielezione, anche perché in Italia rispetto al contesto europeo c’è uno dei mandati più lunghi. Anche in Irlanda però, dove il mandato è sempre di sette anni, su nove presidenti cinque sono stati rieletti. La questione della fattibilità della rielezione dunque non esiste: vero è che essa denuncia l’attuale difficoltà dei partiti, costretti ancora una volta a tirare la giacca al presidente uscente.

Cosa rappresenta quello che è successo per l’evoluzione del ruolo del presidente?

“Fin dall’inizio della seconda Repubblica nella nostra democrazia il capo dello Stato si è rafforzato assumendo poteri non solo formali ma soprattutto informali, in un contesto in cui partiti non riuscivano più a funzionare come prima. L’intervento nella formazione dei governi non nasce con Napolitano: già Scalfaro iniziò a varare ‘governi del presidente’ perché si trovò a gestire l’implosione dei partiti. Si tratta dunque di un ruolo che cresce quando partiti si indeboliscono. Non va comunque dimenticato che ogni governo si regge su una maggioranza parlamentare: il presidente non decide autonomamente ma in collegamento con le forze politiche, alle quali a volte può anche far comodo un intervento esterno”.

Fin dall’inizio della seconda Repubblica il capo dello Stato si è rafforzato, assumendo poteri non solo formali ma soprattutto informali

Cosa pensa del dibattito intorno all’elezione di una donna?

“Di donne ‘presidenziabili’ potevano essercene molte dentro entrambi gli schieramenti politici. In questi casi si guarda all’esperienza istituzionale e alla storia politica, fondamentale per sapersi muovere in momenti turbolenti come quelli che stiamo vivendo: il problema è che con questi numeri in parlamento qualsiasi donna di partito, o comunque riconducibile a uno schieramento, avrebbe ricevuto veti. Anche all’interno della sua stessa formazione, com’è accaduto a Casellati: la situazione sarebbe però stata presumibilmente simile anche per una candidata di centrosinistra. La questione è anche quella di una classe politica tendenzialmente patriarcale: a questo riguardo si deve riconoscere che, laddove il capo dello Stato viene eletto direttamente, le donne finora hanno avuto più opportunità. Probabilmente si tratta di un’innovazione particolarmente difficile per una classe politica ancora soprattutto maschile, in particolare nelle posizioni di vertice”.

Anche per questo da tempo si parla di elezione diretta del capo dello Stato.

“Lo trovo un falso problema, anche se ritorna insistentemente. I presidenti di Finlandia e Austria vengono eletti direttamente ma hanno meno poteri e margini di azione rispetto a quello italiano: la questione non è dunque la modalità di elezione, quanto di fare un ragionamento complessivo sulla riforma del nostro sistema costituzionale”.

Pensa sia all’orizzonte una nuova stagione di riforme?            

“Non ci sono le condizioni e al momento è anche abbastanza inutile discuterne. Si figuri, non riescono a fare neppure una legge elettorale”.

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