SOCIETÀ

Le ripercussioni psicologiche post quarantena

Che l'emergenza sanitaria e il lockdown abbiano avuto un impatto psicologico importante sulla popolazione è una realtà che è stata più volte messa in luce. La preoccupazione per la propria salute e quella degli altri, il disagio di restare chiusi in casa, spaventati e impotenti davanti ai numeri che ogni giorno aumentavano sui giornali e in televisione, hanno avuto inevitabilmente degli effetti sul benessere psicologico di tutti.
In quella situazione più che mai era necessario un supporto psicologico da parte di esperti che fornissero gli strumenti necessari per affrontare nel modo migliore una situazione nuova e spiazzante.

In un articolo sull'argomento, infatti, la professoressa Alessandra Simonelli, docente di psicologia dinamica all'università di Padova e responsabile del punto di ascolto psicologico di emergenza attivato nel nostro ateneo subito dopo l'inizio del lockdown, aveva indagato la relazione psicologica tra stress, pandemia e reclusione, segnalando i principali motivi di disagio dovuti alla quarantena e puntualizzando come, una volta finita l'emergenza, sarebbe stato necessario analizzare le ripercussioni a lungo termine sulla popolazione a livello psicologico.

Nel periodo in cui ci troviamo ora, la situazione è cambiata. Non siamo più rinchiusi, certo, ma non possiamo ancora dire di essere al sicuro o che la vita sia tornata come la ricordiamo prima della pandemia. Per questo motivo abbiamo chiesto alla professoressa Simonelli quali siano le principali preoccupazioni che in questo periodo post-quarantena possano essere causa di disagio dal punto di vista psicologico.

“In linea generale, in questo momento, le richieste di aiuto che sono giunte allo sportello di ascolto psicologico sono diminuite. Sembra esserci quindi un miglior livello di benessere” spiega la professoressa. “Le persone ora hanno la possibilità di pensarsi in termini di tempo libero, anche grazie alla stagione estiva: possono uscire, avere vacanze e tempo libero. Nonostante questo, sembrano essere riemerse questioni pregresse.

Subito dopo la chiusura, infatti, le preoccupazioni principali riguardavano la mancata libertà di poter uscire, i diversi ritmi di vita, problemi di sonno e di alimentazione, e ovviamente la paura di ammalarsi e di essere contagiosi per le proprie famiglie. Adesso, invece, le richieste riguardano situazioni che il Covid ha risvegliato o modificato nell'aspetto di vita, piuttosto che la contingenza della malattia e del contagio.
Il timore legato al Covid sembra essere stato un po' messo da parte (anche se i dati ci dicono che non dovrebbe essere così), ma il periodo di chiusura ha risvegliato preoccupazioni continuative nella vita di alcune persone, che ora si sono ripresentate in maniera più evidente. Stiamo parlando, ad esempio, del disagio dovuto a situazioni familiari difficili, per esempio nella relazione tra genitori e figli, e di insoddisfazione coniugale, lavorativa, relazionale, o di mancata progettualità.

Questo è successo perché nella vita quotidiana è più facile distogliere l'attenzione da questi problemi, ma aver dovuto fermarsi e stare insieme nella stessa casa ha creato un concentrato dei loro effetti. In molti casi, la convivenza già difficile e difficoltosa che nel quotidiano veniva spazzata via, è stata complicata dall'obbligo di restare per lungo tempo tutti nella stessa casa. La chiusura quindi ha fatto riemergere questo genere di preoccupazioni”.

“La maggior attenzione che le persone hanno posto alle loro difficoltà ha fatto sì che queste si siano mostrate in maniera più esplicita”, prosegue la professoressa Simonelli. “Ora che la situazione è cambiata e c'è più libertà, i nodi vengono al pettine. Allo stesso tempo, la vita ora è inevitabilmente diversa da com'era prima della pandemia, e questo non consente di ritornare a una posizione mentale in cui si riusciva a passare sopra ai propri problemi.
Le preoccupazioni che affliggono molti adesso, quindi, sono quelle che in realtà c'erano già prima dell'emergenza, ma che, a causa di questo fermo, sono riemerse; e nonostante le persone siano più libere di muoversi e tornare alla loro vita, non possono più ignorare i loro problemi.

Inoltre, in questo momento non si possono dimenticare le preoccupazioni di coloro che si trovano in difficoltà economiche legate alla vita lavorativa. C'è molta paura, ad esempio, su aspetti concreti del futuro, come il lavoro, la casa, la vita. Sono richieste più strutturali, più complesse. Apparentemente questi non sono malesseri psicologici, ma il benessere anche organizzativo ed economico della propria famiglia può essere pressante. Non a caso, è stata attivata una collaborazione con la Camera di commercio di Padova. Lì è presente uno sportello finanziario-economico pronto a rispondere sulle questioni più pratiche, ma nel caso in cui ci fossero richieste di natura relazionale o psicologica, possiamo intervenire anche noi e prendere in carico chi ne avesse bisogno”.

Per quanto riguarda le preoccupazioni legate propriamente al Covid, invece, possiamo dire che quindi ora ci troviamo in una fase in cui la paura e la percezione del rischio sono diminuiti? Abbiamo superato la paura del contagio?

“Sì, ci sono più preoccupazioni strutturali, cioè non legate alla contingenza, come il timore di ammalarsi, la paura del contagio e dell'altro come portatore del pericolo. C'è poi un diffuso atteggiamento di negazione, accompagnato dalla convinzione di aver superato il pericolo, nonostante i dati ci dicano il contrario.
Quindi certo, le preoccupazioni riguardo alla malattia ci sono ancora, ma mediamente le persone stanno meglio. Resterà da capire cosa succederà dopo l'estate, quando torneranno tutti ai loro posti. Ora le scuole sono chiuse e si lavora ancora molto da casa, quindi non ci sono ancora situazioni che rimettano in una vicinanza un po' coatta. Resta perciò da vedere, quando la vita ricomincerà nei canali che stiamo ipotizzando, se riemergeranno le paure legate alla malattia”.

Il punto di ascolto psicologico attivato dall'università di Padova si è rivelato uno strumento efficace nell'aiutare coloro che avevano bisogno di aiuto. Com'è nato questo progetto e com'è stato portato avanti?

“Abbiamo aperto lo sportello online e telefonico il 23 di marzo, in piena emergenza, subito dopo la chiusura. Fornivamo fino a 4 colloqui gratuiti per ogni persona, e le richieste sono state parecchie: abbiamo fatto, in tre mesi, oltre 300 colloqui. Le persone potevano chiamare per sé stesse, oppure per i propri figli, se dovevano affrontare, ad esempio, situazioni scolastiche.
Allo sportello hanno chiamato persone non solo da Padova, ma da tutto il Veneto e anche da altre regioni italiane. Anche le pagine instagram e facebook, che avevano scopo informativo, sono state molto apprezzate.

È stato tutto svolto a livello volontario con docenti e allievi delle scuole di specializzazione in psicologia dell'università di Padova. Il nostro scopo era proprio quello di essere una realtà nel territorio, e ci siamo riusciti. Ci hanno chiamati, per esempio, molti assessori dei servizi sociali di diversi comuni del territorio. A eccezione del mese di agosto, perciò, lo sportello resterà attivo per tutti coloro che ne avranno bisogno. Il rientro dopo le vacanze sarà un momento in cui le persone avranno bisogno di confrontarsi sulla modalità con cui si ritornerà alla vita quotidiana.
L'idea, perciò, è quella di esserci e che gli allievi dell'area psicologica, in analogia a quelli di area medica, siano sul campo, anche per dimostrare come tutta la formazione e tutta la ricerca che si fa all'interno dei nostri dipartimenti e delle nostre scuole sia a disposizione della popolazione”.

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