SCIENZA E RICERCA

Il ritorno dei lupi nel Nord Italia

Sono 3.307 i lupi che abitano l’Italia, dalla punta meridionale alle montagne valdostane. Questo dato è uno dei principali risultati del censimento commissionato nel 2018 all’ISPRA dall’allora Ministero dell’Ambiente, e presentato a maggio 2022. Il monitoraggio, come ha recentemente spiegato su queste pagine Piero Genovesi, responsabile del Servizio Coordinamento Fauna Selvatica dell’ISPRA, è un tassello fondamentale nella conoscenza e nella gestione di questa specie, che negli ultimi decenni sta vivendo un periodo di decisa espansione in tutto il continente europeo.

Attraverso un imponente lavoro coordinato su scala nazionale, più di 3000 ricercatori hanno mappato gli areali di distribuzione, le abitudini comportamentali, di riproduzione, e le dinamiche di gruppo di tutti i lupi italiani. Tra gli aspetti più interessanti di questa ricerca – senza precedenti in Italia per estensione e accuratezza – vi è la suddivisione della popolazione nazionale di lupo in due sottogruppi in base alla loro distribuzione geografica: un gruppo peninsulare e un gruppo alpino. Il primo, più numeroso e mai scomparso del tutto dal territorio, conta oggi circa 2.388 individui; il secondo, invece, meno longevo, è il risultato del recente ripopolamento delle aree alpine (fenomeno riscontrato solo a partire dagli anni 1990).

Come riferisce Renato Semenzato, biologo e membro del progetto di ricerca LifeWolfAlps EU, «la decisione di dividere in due il territorio italiano è motivata dal fatto che le due aree presentano caratteristiche ecologiche e geografiche diverse. Nell’Appennino la popolazione è costituita dalla sottospecie Canis lupus italicus – il cosiddetto lupo dell’Appennino; dalla Liguria in su, invece, e lungo tutto l’arco alpino, si aggirano popolazioni transfrontaliere. Da una parte, dunque, vi è una continuità di distribuzione; nelle Alpi, al contrario, vi sono popolazioni che si distribuiscono anche nei Paesi d’oltralpe, e che dunque scambiano materiale genetico con popolazioni francesi, slovene, austriache e di altri territori».

Guarda l'intervista completa a Renato Semenzato. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar

«Nonostante questa suddivisione interna – prosegue Semenzato – abbiamo seguito nel censimento metodologie omogenee: l’Italia è stata suddivisa in griglie di 10x10 km, e all’interno del territorio delimitato da ogni riquadro le indagini sono state condotte sia in modo intensivo, sia in modo opportunistico. Tali metodi sono stati mutuati dagli studi effettuati sulle popolazioni alpine dal Centro Grandi Carnivori del Parco Regionale delle Alpi Marittime in Piemonte, dove i censimenti sui lupi sono una prassi sin dal 1999».

Concentrandosi sulle popolazioni di lupo presenti nel Nord Italia, dunque, i dati relativi al 2020/2021 (il periodo in cui sono stati condotti i monitoraggi) restituiscono l’immagine di una specie in rapida diffusione: rispetto all’ultimo censimento, relativo agli anni 2017-2018, la popolazione appare raddoppiata. Dei circa 946 individui presenti, 680 sono situati nell’area centro-occidentale, e i restanti 266 nella zona centro-orientale. L’areale geografico in cui è stata riscontrata la presenza del lupo è pari a 41.600 km2, che corrisponde al 37% della superficie dell’intera regione alpina. La popolazione di questa macroregione si divide in 102 branchi, per un totale di 124 unità riproduttive. La suddivisione geografica riflette la dinamica di ripopolamento, che ha interessato dapprima le aree occidentali, e solo in un secondo momento le aree alpine di Veneto, Trentino e Friuli.

Il ritorno di questo grande predatore nell’arco alpino ha riportato alla luce le antiche difficoltà di convivenza tra il lupo e la nostra specie. «Per quasi un secolo i lupi sono completamente scomparsi da queste zone», ricorda Semenzato. «Mentre nell’Italia centrale il lupo non si è mai estinto, e quindi modalità e strategie di convivenza sono state tramandate da una generazione all’altra, rimanendo vive nelle abitudini delle popolazioni locali, nelle Alpi l’attuale espansione della popolazione dei lupi è molto recente, ed è tuttora in corso. Questo secolo di totale assenza del lupo ha fatto sì che gli umani dimenticassero come relazionarsi con un grande carnivoro, ad esempio nella gestione degli animali domestici. È dunque essenziale lavorare per trovare un nuovo equilibrio con questo grande predatore».

E per rispondere a questa necessità serve, in primo luogo, una conoscenza approfondita dei comportamenti, delle abitudini, degli spostamenti dei lupi. I progetti LifeWolfAlps e LifeWolfAlps EU nascono con l’intento di riempire questo vuoto di conoscenze, per poi condividere i risultati con i decisori politici e soprattutto con le popolazioni locali, che spesso faticano a trovare un equilibrio di coesistenza con il lupo anche a causa della mancanza di conoscenze adeguate, dell’ostilità e dell’atavica paura che questo predatore incute, e spesso anche per via della diffusione, purtroppo, di fake news che rendono la trasformazione culturale più lenta e difficile.

Comprendere le dinamiche ecologiche che hanno plasmato il territorio italiano negli ultimi decenni è un importante elemento di conoscenza, anche per pianificare gli interventi necessari: «Negli ultimi vent’anni abbiamo osservato un deciso aumento della superficie boscata, che si è estesa per milioni di ettari», precisa il biologo. «Questo ha permesso agli ungulati (cervi, cinghiali, caprioli) di prosperare; con l’aumento di questi animali, che sono le prede naturali del lupo, è tornato anche il loro predatore. L’aumento del lupo a cui oggi assistiamo era stato previsto dai biologi conservazionisti: il lupo, infatti, completa la catena ecologica, e svolgerà un ruolo essenziale, in questi anni, per limitare il numero dei cinghiali, questione che presenta gravi problemi di gestione».

È fondamentale che a seguire, monitorare e guidare le interazioni tra attività umane e dinamiche naturali siano figure professionali adeguatamente formate, che sappiano applicare con competenza un approccio scientifico specificamente calibrato per affrontare una situazione in rapido cambiamento. Il master di II livello “Mammiferi e uccelli. Approcci scientifici per il controllo delle popolazioni e per la riduzione e prevenzione degli impatti ecologici e socio-economici”, diretto da Lorenzo Zane, ecologo dell’università di Padova, e da Renato Semenzato, si propone proprio di formare questo tipo di professionisti, dotati di solide conoscenze biologiche ed ecologiche ma anche in grado di affrontare dinamiche socio-economiche complesse, come quelle che si stanno verificando nelle Alpi italiane, dove le popolazioni di lupo in rapida espansione entrano sempre più spesso a contatto con le attività zootecniche umane, generando inevitabilmente rapporti conflittuali.

«Per ridurre la dinamica conflittuale – afferma Semenzato – la prima arma a nostra disposizione è la conoscenza. Le osservazioni, le analisi genetiche e le stime popolazionali sono strumenti di grande utilità in tal senso: conoscere le abitudini del lupo permette di prevedere le possibili situazioni di conflitto, così da mettere in atto misure per proteggere gli animali domestici – anch’essi prede d’elezione per il lupo – e anche per gestire in maniera corretta i cani da guardiania».

Queste azioni sono importanti non solo per tutelare le attività economiche e la sicurezza delle popolazioni locali, ma anche per salvaguardare i lupi stessi, che – ricordiamo – sono una specie protetta a livello europeo. Ridurre le occasioni di incontro con le attività umane, ad esempio, consente di evitare i conflitti uomo-lupo (come riporta il WWF, ogni anno tra i 200 e i 500 esemplari sono uccisi da fucilate, avvelenamenti o investimenti d’auto) e di ridurre al minimo le occasioni di ibridazione con i cani domestici. Renato Semenzato avverte, infatti, che conflitti e ibridazione sono, attualmente, tra le maggiori minacce per la conservazione di questa specie: «L’ibridazione, in particolare, è un problema molto diffuso, di cui abbiamo avuto modo di studiare gli effetti soprattutto nelle regioni dell’Italia centrale. Nel nord Italia, stiamo notando con preoccupazione la formazione di branchi ibridi: oggi ne esistono quattro, di cui uno in Piemonte e uno a Tarvisio, in Friuli-Venezia Giulia. Tale fenomeno è una diretta conseguenza del rapido aumento della popolazione di lupi, che approfitta di una condizione ottimale, caratterizzata dalla presenza di boschi, grandi quantità di prede e flusso genico che assicura la salute della prole. L’ibridazione, tuttavia, influisce proprio sul patrimonio genetico della specie: gli ibridi tra cane e lupo, essendo fertili, potrebbero incrociarsi con altri lupi dando vita a popolazioni ‘miste’ nelle quali vi è il rischio che si perdano alcuni caratteri peculiari della specie».

Di fronte a una situazione così complessa e sfaccettata, Semenzato è convinto che la risposta più efficace sia innanzitutto la conoscenza e, in secondo luogo, la comunicazione e la sensibilizzazione. La convivenza non può essere evitata: bisogna perciò attrezzarsi. D’altronde, così come i lupi, anche noi umani facciamo parte degli ecosistemi che ci ospitano, e – tanto quanto noi – questi ultimi hanno diritto ad abitarvi. Affrontare la questione da una prospettiva ecologica può aprirci nuovi orizzonti, ad esempio mostrando quanto un’oculata gestione possa rendere la nostra coesistenza con il lupo una fonte di benefici, piuttosto che di conflitti.

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