SCIENZA E RICERCA

I salti di fondo nei corsi d'acqua montani rilasciano grandi quantità di gas serra nell'atmosfera

È facile immaginare le attività antropiche presenti a livello globale che, emettendo gas serra, incidono negativamente sul cambiamento climatico: il traffico urbano, l’utilizzo di combustibili fossili per produrre elettricità, le trasformazioni d’uso del suolo… È un po’ meno facile, invece, immaginare che una parte considerevole di questi gas possa derivare da una sorgente “pura” come l’acqua, in particolare quella dei torrenti montani.

Il tema è stato affrontato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Padova nello studio dal titolo “Steps dominate gas evasion from a mountain headwater stream” pubblicato su «Nature Communications», svolto nell’ambito del progetto europeo “DyNET: Dynamical River Networks” e coordinato dal prof. Gianluca Botter, docente del dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (ICEA) dell’Università di Padova.

La ricerca ha dimostrato che le stime esistenti dei quantitativi di anidride carbonica rilasciati dalle acque dolci terrestri verso l’atmosfera potrebbero essere largamente sottostimate, poiché non hanno fino ad ora considerato in modo esplicito le emissioni localizzate in corrispondenza dei salti di fondo presenti nei torrenti montani. Abbiamo intervistato il prof. Botter per capire come questo risultato metta in discussione le stime esistenti anche a livello globale riguardanti le emissioni di CO2 dai corpi d’acqua dolce e ponga nuove basi per lo studio del delicato equilibrio dei gas serra in atmosfera e del complesso ciclo del carbonio del nostro pianeta.

Professore, in cosa consiste e cosa studiate nel progetto DyNET?

Il progetto si occupa di monitorare e in qualche modo “modellare” le dinamiche di espansione e di contrazione dei reticoli idrografici, che sono sempre stati visti come degli oggetti “statici”, che occupano una certa porzione del paesaggio come se fossero delle linee blu che si disegnano sulla mappa, anche se in realtà non è così. A livello universale viene invece osservato che quando un bacino diventa più umido in risposta alle precipitazioni, il reticolo si espande progressivamente occupando una porzione sempre più ampia del paesaggio, per poi subire una contrazione durante i periodi di siccità. Il reticolo fluviale quindi si allunga e si accorcia di continuo, mutando il suo assetto nello spazio e nel tempo.

Questo fenomeno è molto difficile da osservare perché richiede la presenza sul campo in diversi momenti – dai più umidi ai più secchi – con degli strumenti per mappare e capire come cambia la configurazione del reticolo nel tempo.

Le implicazioni di questo processo sono molte e riguardano sia questioni puramente idrologiche (la nostra capacità di prevedere come i fiumi variano il loro flusso nel tempo in relazione alle condizioni metereologiche in generale) sia la qualità dell’acqua, la composizione chimica dei deflussi e anche lo scambio di gas con l’atmosfera, ossia la capacità che hanno i fiumi di scambiare materia con il paesaggio circostante.

Quindi il progetto si sta occupando di monitorare come cambiano i reticoli idrografici nel tempo in risposta alla costante climatica, di individuare quali sono i processi attraverso cui questo cambiamento avviene, quali sono le conseguenze dei processi biogeochimici che avvengono e gli scambi gassosi con l’atmosfera.

Nella foto sopra:  a panoramica planare del segmento selezionato per questo studio, mostrato con un’ortofoto della parte orientale del bacino idrografico di Valfredda sullo sfondo. In questo caso, l’azzurro e il rosso indicano rispettivamente il tratto A, di lunghezza LA = 1060 m, e il tratto B, di lunghezza LB = 543 m. L’inserto all’interno della panoramica planare mostra il segmento di riferimento senza gradini di lunghezza ℓr = 13 m.

b Panoramica del segmento di riferimento indicato in (a).

c Esempio di gradino artificiale, creato forzando il torrente in un tubo e poi coprendo l’alveo a valle con una pellicola plastica.

d Esempio di gradino naturale raschiato. Gli inserti degli ultimi tre pannelli mostrano le serie temporali osservate della concentrazione di CO2 nell’acqua nelle sezioni trasversali a monte (linea blu) e a valle (linea arancione), le cui posizioni sono indicate come cerchi blu e arancioni nelle tre immagini.

Con la siccità degli ultimi tempi, il materiale di studio di sicuro non mancherà.

È proprio così. Nel lungo termine possiamo immaginare che il cambiamento dell’assetto climatico possa trasformare il modo in cui i reticoli si espandono o si contraggono cambiandone l’estensione e quindi i corsi d’acqua che siamo abituati a pensare come permanenti potrebbero diventare temporanei nel futuro, ossia sperimentare periodi di “secca”. Capire come questo processo sta avvenendo è particolarmente importante immaginando, con ogni probabilità, che il clima continuerà a cambiare in maniera significativa nei prossimi decenni.

Da quanto tempo state monitorando questi bacini idrologici?

Il progetto è stato avviato nel 2018 e si concluderà nel 2025. Abbiamo già raccolto diversi anni di dati in quattro bacini sperimentali localizzati in sud e centro Italia, nelle Alpi e in Svizzera, quindi in luoghi caratterizzati da climi diversi in modo da poter avere un’informazione che non sia specifica di un particolare sito ma che dia una visione generale dei processi e che possa essere rilevante su larga scala.

Lo studio principale è stato eseguito vicino al Passo San Pellegrino, nel bacino della Valfredda, dove le informazioni sono state raccolte nella maniera più completa possibile perché è il più vicino a Padova.

Da quali osservazioni siete partiti per la vostra ricerca sulle emissioni gassose? Cercavate proprio questi dati o è stato un risultato inaspettato?

L’idea di partenza era cercare di capire come la variazione di superficie cambiasse la quantità di gas scambiata con l’atmosfera nel tempo.

Quando siamo andati sul campo a misurare la concentrazione di anidride carbonica e i flussi scambiati, ci siamo resi conto che i reticoli idrici nell’ambiente montano – nel nostro caso il bacino della Valfredda – erano estremamente eterogenei nello spazio. Abbiamo concentrato l’attenzione sulle zone turbolente generate in corrispondenza dei salti di fondo e, tentando le prime misure, ci siamo resi conto che una parte importante del problema fosse dove venivano posizionati gli strumenti. Non essendo un processo uniforme, abbiamo cominciato a chiederci come riuscire a catturare questa eterogeneità nello spazio. I salti hanno mostrato fin da subito un ruolo chiave in questo: c’erano alcuni studi sperimentali che mostravano che l’ossigenazione del getto era molto pronunciata in presenza della formazione di bolle e quindi, accoppiando questi due dati, abbiamo capito che probabilmente i salti localizzati erano i principali attori di questa partita, anche se in realtà, proprio per l’impossibilità di misurare che cosa accade precisamente in quel punto (è molto difficile posizionare uno strumento esattamente in corrispondenza di un salto per via della sua conformazione), abbiamo cercato di capire come quantificare questo processo.

Da lì ci siamo chiesti quanto fosse concentrato questo processo e dove questo scambio avvenisse in maniera più o meno continua nel momento in cui la corrente accelerava o era sospesa in aria, o se avvenisse in corrispondenza del getto o, ancora, in maniera continua a valle del getto e in tutta la pozza dove si formano le bolle. Dopo molti tentativi, ci siamo avvicinati alla soluzione e abbiamo capito – grazie anche alle simulazioni numeriche – che in realtà il processo era del tutto localizzato: nel momento in cui il getto frange crea turbolenza e una marea di bolle e in quel momento lo scambio gassoso in quella particolare zona è molto pronunciato. Tutto il processo, di fatto, avviene in pochi millimetri o centimetri quadrati di superficie.

Abbiamo poi sviluppato un apparato sperimentale che consentisse di quantificare questa emissione andando a tracciare i profili di concentrazione di CO2 a monte e a valle del salto in diverse condizioni in modo da essere in grado, per differenza, di valutare la quantità di gas rilasciata in atmosfera. La cosa è stata particolarmente complicata perché noi per la prima volta abbiamo lavorato direttamente misurando l’anidride carbonica, che è una cosa che di solito non si fa perché l’anidride carbonica subisce una serie di trasformazioni biologiche mentre corre dentro il fiume; generalmente non si osserva solo lo scambio con l’atmosfera ma anche la quantità di anidride carbonica prodotta dai microrganismi, dal metabolismo fluviale in genere.

Quindi mi sta dicendo che isolare quanta CO2 derivasse dallo scambio è stato complicato?

Molto. In particolare, abbiamo dovuto “intubare” il corso d’acqua: per farlo abbiamo avvolto in una specie di pellicola trasparente 15 metri di un piccolo torrente montano, abbiamo tolto tutte le pietre depositate, temporaneamente deviato il corso d’acqua, steso il telo trasparente, riposizionato una a una tutte le pietre esattamente dove le avevamo trovate e abbiamo rilasciato fluire il corso d’acqua al di sopra della pellicola che avevamo steso in modo da essere sicuri che i processi che stavamo osservando riguardassero esclusivamente lo scambio tra la corrente e l’atmosfera. Infine, abbiamo creato con questo stesso sistema dei salti di altezza desiderata (20, 50, 60, 80 cm) semplicemente allungando questo tubo e creando un salto in cui l’acqua non fosse più a contatto con componenti biologici che alterassero la concentrazione di CO2. Questo lavoro sperimentale è durato un’intera estate.

A quanto emerge dalla sua ricerca le stime di anidride carbonica emessa in atmosfera dai fiumi potrebbero essere riviste di tre volte tanto. È un numero importante, vi aspettavate risultati così consistenti?

Mi rendo conto che sia un bel numero e in effetti questo è emerso progressivamente a mano a mano che abbiamo utilizzato “gli occhiali giusti” per guardarci intorno. Abbiamo mappato quanti salti ci fossero nel torrente specifico che abbiamo studiato: 270 salti in nemmeno 1 km di torrente. Oltretutto, io sono anche un appassionato di camminate in montagna e sviluppando questa ricerca ho cominciato a notare anche queste cose, a guardarmi attorno con una prospettiva diversa. Parlando con alcuni geomorfologi ci siamo resi conto che anche in letteratura la frequenza media di questi salti era all’incirca di 1 salto ogni 2-3 metri: questo significa che in diversi chilometri di fiume ce ne sono davvero tanti. Se ciascuno di questi emette un quantitativo significativo di gas in atmosfera, la somma diventa un numero rilevante, anche se finora nessuno lo aveva osservato nel dettaglio.

Quali sono i prossimi passi e le prospettive future di questa ricerca?

Per quanto riguarda lo scambio di gas vorremmo ripetere esperimenti simili a quello fatto su torrenti con portata maggiore perché, avendo dovuto deviare il corso d’acqua, abbiamo dovuto scegliere un piccolo affluente (con una portata di qualche litro al secondo). Adesso dovremo cercare di misurare effettivamente anche i corsi d’acqua un po’ più grandi attraverso tecniche diverse che richiedono l’iniezione di gas traccianti rari (argon o neon) in modo da poter valutare la variabilità nello spazio nella concentrazione di questi gas, quindi provare ad andare più nel dettaglio e capire il contributo dei salti in diverse condizioni di deflusso e in diverse parti del mondo per fare una stima più robusta a livello globale.

Per quanto riguarda il progetto in generale, ciò che vorremmo fare nei prossimi anni è sviluppare un modello che sia capace di prevedere come il reticolo idrografico si espande e si contrae in risposta alla costante climatica e capire come coevolve l’assetto spaziale della frazione bagnata del reticolo insieme alla portata, oltre a cercare di sviluppare dei modello ecologici e biogeochimici che ci raccontino come cambia la qualità delle acque in relazione a questo processo e quale sia l’impatto per le popolazioni che vivono all’interno del corso d’acqua.

a panoramica planare del segmento selezionato per questo studio, mostrato con un’ortofoto della parte orientale del bacino idrografico di Valfredda sullo sfondo. In questo caso, l’azzurro e il rosso indicano rispettivamente il tratto A, di lunghezza LA = 1060 m, e il tratto B, di lunghezza LB = 543 m. L’inserto all’interno della panoramica planare mostra il segmento di riferimento senza gradini di lunghezza ℓr = 13 m.

b Panoramica del segmento di riferimento indicato in (a).

c Esempio di gradino artificiale, creato forzando il torrente in un tubo e poi coprendo l’alveo a valle con una pellicola plastica.

d Esempio di gradino naturale raschiato. Gli inserti degli ultimi tre pannelli mostrano le serie temporali osservate della concentrazione di CO2 nell’acqua nelle sezioni trasversali a monte (linea blu) e a valle (linea arancione), le cui posizioni sono indicate come cerchi blu e arancioni nelle tre immagini.

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