SOCIETÀ

La salute sta nel portafoglio?

Gli italiani spendono sempre più di tasca propria per la salute, ma c’è chi sostiene che una corretta cultura scientifica possa aiutare i cittadini nella gestione della spesa sanitaria. Stando al rapporto Censis-Rbm Assicurazione Salute sulla sanità pubblica, privata e intermediata presentato recentemente al “Welfare Day 2018”, la spesa sanitaria privata che gli italiani hanno dovuto sostenere nel 2017 sarebbe stata di 37,3 miliardi di euro, somma destinata a raggiungere i 40 miliardi a fine anno. Con un aumento del 9,6% in termini reali tra il 2013 e il 2017. Nell’ultimo anno 44 milioni di persone hanno dovuto pagare prestazioni sanitarie per intero o in parte con il ticket.

A risentire maggiormente di questa situazione sono le famiglie a basso reddito. Secondo i dati presentati, solo il 41% degli italiani riesce a far fronte alle spese sanitarie esclusivamente con il proprio reddito, il 23,3% deve integrarlo con i propri risparmi e il 35,6% attinge ai propri risparmi o si vede costretto a fare debiti.  

"Sono 150 milioni le prestazioni sanitarie pagate di tasca propria dagli italiani – dichiara Marco Vecchietti, amministratore delegato di Rbm Assicurazione Salute – Nella top five delle cure, 7 cittadini su 10 hanno acquistato farmaci (per una spesa complessiva di 17 miliardi di euro), 6 cittadini su 10 visite specialistiche (per 7,5 miliardi), 4 su 10 prestazioni odontoiatriche (per 8 miliardi), 5 su 10 prestazioni diagnostiche e analisi di laboratorio (per 3,8 miliardi) e 1 su 10 protesi e presidi (per quasi 1 miliardo), con un esborso medio di 655 euro per cittadino".

Si viene a creare dunque, secondo gli autori dell’indagine, una situazione di disparità sociale e disuguaglianza nell’accesso alle cure, dovute alla diversa capacità di spesa delle persone, che spingono a riflettere sui motivi alla base del fenomeno. È la Costituzione a sancire che la “Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Un principio, l’articolo 32, che sta alla base dell’istituzione del Sistema Sanitario Nazionale nel 1978 proprio allo scopo di garantire a tutti i cittadini l’accesso alle prestazioni sanitarie.

Intervista a Fabio Zampieri, storico della medicina all'università di Padova

“Negli ultimi decenni – osserva Fabio Zampieri del dipartimento di Scienze cardiologiche, toraciche e vascolari dell’università di Padova – la medicina costa di più, perché è più efficace sia in termini di diagnosi precoce della malattia che in termini di cure. Il fatto che sia più efficace implica però spese maggiori e comporta uno stato di sofferenza della sanità pubblica, anche a fronte dei tagli degli ultimi anni. La sanità pubblica è perlomeno in parte congestionata e dunque è naturale che molti cittadini si siano trovati nelle condizioni di rivolgersi alle cure private”. La sanità privata non è più solo prerogativa dei benestanti, ma diventa una necessità, a fronte ad esempio di lunghe liste d’attesa che spingono anche a cercare espedienti come conoscenze o raccomandazioni per ridurre i tempi.

Zampieri pone l’accento anche su un aspetto culturale, una sorta di sfiducia nei confronti della sanità pubblica e, di contro, una maggiore fiducia nelle cure private, che indica come un fatto storico: prima delle riforme di metà Novecento, dall’istituzione del ministero della Sanità nel 1958, alla riorganizzazione del sistema degli ospedali nel 1968, fino alla costituzione del Sistema sanitario nazionale dieci anni più tardi, la salute pubblica era nelle mani di istituzioni caritatevoli e le qualità dell’assistenza erano sicuramente inferiori rispetto a quanto si potesse ottenere attraverso le cure private.  

“Rispetto a 40 anni fa è cambiato molto. È cambiata la medicina – sottolinea il docente –. Siamo mediamente più sani, ma siamo anche più malati di prima, perché attraverso la diagnosi precoce si possono individuare malattie che un tempo venivano diagnosticate magari troppo tardi”. Tutto questo influisce sul Sistema sanitario nazionale al punto che forse, secondo Zampieri, è giunto il momento di ripensare l’intera organizzazione sanitaria. Non senza tener conto di come oggi sia cambiato il concetto stesso di salute. “L’Organizzazione mondiale della sanità dichiara che la salute non è solo assenza di malattia, ma ‘benessere’. Si vuole stare bene, raggiungere uno stato di benessere psico-fisico. L’efficacia della medicina induce grandi aspettative, ma queste devono essere gestite e coltivate attraverso una corretta conoscenza scientifica. In questo senso, oltre che ripensare il Sistema sanitario nazionale si può anche considerare di diffondere una migliore cultura scientifica nel nostro Paese”. Educazione scientifica che, secondo lo studioso, potrebbe aiutare i cittadini nella gestione delle spese sanitarie qualora non sia possibile sostenerle attraverso la sanità pubblica.

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