SCIENZA E RICERCA

Riscaldamento globale: gli ultimi 12 mesi al di sopra di +1,5°C

Il mese di giugno appena trascorso ha segnato il dodicesimo mese consecutivo in cui la temperatura media del pianeta è rimasta al di sopra di 1,5°C rispetto al periodo pre-industriale (1850 – 1900). La temperatura media della superficie dell’aria degli ultimi 12 mesi è stata più alta di 1,64°C rispetto a questo periodo, secondo i dati forniti da Copernicus, il servizio di monitoraggio satellitare dell’Unione Europea, mentre è stata più calda di 0,76°C rispetto alla media degli ultimi 30 anni (1991 – 2020).

Il superamento del grado e mezzo, soglia critica indicata dall’accordo di Parigi, non indica che gli obiettivi climatici siano saltati, poiché non conta la temperatura di un singolo anno, bensì quella media di un periodo di più decenni, idealmente quelli che vanno dal 2021 al 2050. Tuttavia senza una drastica riduzione delle emissioni climalteranti non vi sarà modo di rimanere al di sotto nemmeno dei 2°C di riscaldamento globale.

Giugno 2024 è stato anche il tredicesimo mese consecutivo in cui sono stati battuti i record di tutti i mesi precedenti nella storia delle rilevazioni climatiche: giugno 2024 a livello globale è stato il giugno più caldo di sempre, così come maggio 2024 è stato il maggio più caldo mai registrato, aprile 2024 è stato l’aprile più caldo e così indietro fino a giugno 2023, che prima del giugno appena trascorso era stato quello più caldo della storia umana.

Un altro preoccupante record che negli ultimi 15 mesi è stato sfondato è stato quello relativo alla temperatura della superficie del mare. Da aprile 2023 fino a fine giugno 2024, ogni mese e ogni giorno sono stati più caldi di tutti gli stessi mesi e giorni di tutti gli anni precedenti. Secondo Copernicus, a queste anomalie termiche ha contribuito El Niño, la periodica oscillazione delle correnti dell’oceano Pacifico, che ora sembra aver iniziato a lasciar il posto alla sua oscillazione gemella, La Niña, che dovrebbe portare a un abbassamento delle temperature oceaniche.

Le acque però sono rimaste calde a lungo, tanto che hanno generato un fenomeno ritenuto eccezionale: la formazione di un uragano di categoria 5, tra fine giugno e inizio luglio. Beryl, questo il suo nome, si è abbattuto sulle isole caraibiche, dove ha distrutto gran parte delle abitazioni di Grenada e dell’arcipelago di St. Vincent e Grenadine. Si è poi ridotto a categoria 4 quando è arrivato in Jamaica, ha lambito le coste del Messico e del Venezuela come categoria 3 e si è abbassato a categoria 1 quanto ha raggiunto il Texas, dove ha comunque messo in ginocchio la rete elettrica di Houston. Il bilancio provvisorio è di almeno una quindicina di morti.

Mai si era vista una tempesta di tale forza così presto in estate e quella che si prospetta potrebbe essere una delle stagioni degli uragani più intensa di sempre: fino a novembre le coste americane dovranno prepararsi al peggio.

Un altro catastrofico episodio verificatosi lo scorso giugno è stata l’ondata di calore che ha investito il Medio Oriente e che ha ucciso 1.300 persone in Arabia Saudita durante un pellegrinaggio a La Mecca. Le temperature hanno sfiorato i 52°C e uno studio di Climate Central ha stabilito che il cambiamento climatico ha reso tre volte più probabile questo caldo estremo.

Ondate di calore rese più probabili e intense dagli effetti dell’accumulo in atmosfera di gas a effetto serra, prodotti dal consumo di gas, petrolio e carbone, riporta Climate Center, tra il 16 e il 24 giugno hanno colpito 5 miliardi di persone nel mondo, circa il 60% della popolazione mondiale: più di 600 milioni di persone solo in India, ma anche Pakistan e Corea hanno affrontato ondate di calore tra le più calde della loro storia.

Anche in Europa sud-orientale, in particolare Turchia e Grecia, le temperature sono state elevate, anche sopra i 40°C. Al contrario, molte aree dell’Europa occidentale, tra cui Portogallo, Spagna, Irlanda, Regno Unito, hanno registrato temperature inferiori alla media. Allo stesso modo l’Italia è stata testimone di questa spaccatura climatica: piogge, anche intense al nord come quelle che si sono abbattute sul Piemonte e la Valle d’Aosta, facendo esondare torrenti e isolando paesi come Cogne, e una grave siccità al sud, specialmente in Sicilia.

I dati sulle precipitazioni in Europa riflettono infatti un continente diviso in due nel mese di giungo, che complessivamente è stato più umido del solito. Oltre che in nord Italia, precipitazioni anche estreme sono avvenute in Germania, Francia e Svizzera, spesso associate a esondazioni e frane. Si sono avute invece condizioni più asciutte del solito in Irlanda, Regno Unito e gran parte dell’Europa orientale.

Negli ultimi 12 mesi le precipitazioni in Europa sono state complessivamente al di sopra della media nelle regioni occidentali, centrali ed orientali, mentre sono state al di sotto della media in Islanda, attorno al Mar Nero, nella Spagna orientale e nell’Italia peninsulare.

Gli effetti del cambiamento climatico sull’Europa, che finora si è riscaldata a una velocità doppia rispetto alla media del pianeta raggiungendo +2,6°C rispetto al periodo pre-industriale, non sono semplici da interpretare, perché regioni diverse possono vivere condizioni molto differenti. Complessivamente, l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) si aspetta che nel tempo le precipitazioni saranno più abbondanti nel nord e che la siccità e gli incendi colpiranno più duramente il sud. L’intensità delle tempeste aumenterà in tutto il continente ma anche in questo caso ci potranno essere significative differenze regionali. Tenderanno a calare le precipitazioni nevose in Europa centrale e meridionale, mentre sono attesi cambiamenti non uniformi in quella settentrionale. Il livello del mare, così come la sua temperatura, salirà in tutta Europa a eccezione delle regioni del Baltico settentrionale.

Secondo una valutazione dell’Agenzia europea per l’ambiente, molti di questi rischi hanno già raggiunto un livello critico e sono destinati a peggiorare nel tempo, a meno che non si intervenga con decise politiche di adattamento, oltre che di riduzione delle emissioni. L’Europa meridionale, e il Sud Italia in particolare, sono tra le regioni più esposte in termini di calo della produzione agricola, scarsità d’acqua, ma anche danni alle infrastrutture, oltre che quelli diretti sulla salute. È solo con una coordinata risposta tra Paesi membri e con una cooperazione tra livelli comunitario e locale, sottolinea la EEA, che questi rischi possono essere affrontati e mitigati.

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