SCIENZA E RICERCA

Gli scienziati del mondo fanno il punto sul clima: verso AR6

Forse l’estate 2021 sarà monitorata come l’estate più calda che noi e i nostri progenitori abbiamo mai conosciuto, presto lo sapremo. Intanto il mese di luglio è stato con certezza il mese mediamente più caldo mai registrato al mondo, secondo il rapporto (pubblicato il 13 agosto) dal NOAA (Centro Nazionale Informazione Ambientale del Dipartimento del Commercio americano). Le temperature della superficie terrestre e degli oceani sono state di 0,93 gradi centigradi superiori a quelle registrate nel XX secolo, rendendo luglio 2021 il mese più caldo da 142 anni, superiore a quelli del 2016 e del 2019 che avevano segnato il precedente record. Nel nostro emisfero nord terrestre, la temperatura è stata superiore addirittura di 1,54 gradi (record precedente nel 2012).

Luglio è sempre il più caldo dei mesi, ma la tendenza al riscaldamento del pianeta non comporta una crescita lineare: capiterà in futuro un luglio un poco più fresco di quello del 2021; prima o poi, abbastanza presto, ve ne saranno altri ancor più caldi. Meglio per alcuni sapiens, peggio per altri; meglio per alcune attività umane, peggio per altre; meglio per alcune zone del pianeta, peggio per altre. Peggio per tutti e tutte, dal punto di vista dell’accelerazione di fenomeni sconvolgenti per la vita sul pianeta, effetto dei cambiamenti climatici antropici globali, alteranti vari equilibri biologici degli ecosistemi globale e locali. Fenomeni sia lenti, come l’innalzamento del mare o la desertificazione, sia più rapidi come l’aumento di frequenza e intensità degli eventi meteorologici estremi o l’acidificazione degli oceani; fenomeni che provocano anche flussi migratori di specie vegetali e animali, compresa la nostra, poco liberi e gestibili.

Da oltre trenta anni scienziati di varie discipline e di quasi tutti gli Stati hanno costituito un panel o network o gruppo di esperti, migliaia in accordo pratico e concordanza di obiettivi, sotto l’egida dell’Onu, per offrire un quadro completo e consensuale di valutazioni scientifiche sul clima del pianeta. Aspettatevi fuochi d’artificio fra agosto 2021 e maggio 2022, sono via via previsti i vari rapporti che costituiscono il nuovo aggiornamento della situazione, il cosiddetto AR6! Pochi giorni fa, il 9 agosto il primo è stato reso noto a Ginevra, ne hanno parlato con clamore gli organi d’informazione, per confermare purtroppo un quadro non rassicurante. Seguiamo da anni costantemente l’evoluzione, la struttura istituzionale si chiama IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) e qui, fra gli altri articoli, se ne è già parlato con attenzione.


LEGGI ANCHE:

 

Clima, nuovo rapporto dell'Ipcc: "Conferma del global warming"

Clima: il tempo sta per scadere

L'editoriale. Un manuale per il cambiamento climatico

Salviamo il mare (e il suo ecosistema): il nuovo rapporto dell'IPCC

Il cambiamento climatico farà crescere fame e migrazioni nel mondo

 

Addio a John Houghton, cofondatore dell’IPCC che lanciò l’allarme sui cambiamenti clima

Clima 2021, un anno davvero "caldo"

La scienza del clima e della biodiversità: il rapporto congiunto di IPBES e IPCC


Il 1990 è l’anno del primo rapporto IPCC, l’anno di svolta per l’ONU (dopo il crollo della potenza sovietica), l’anno base per definire industrializzato uno Stato nazionale, l’anno zero per contabilizzare crescita e riduzione delle emissioni clima alteranti. L’IPCC è un organo intergovernativo di consulenza scientifica, che era stato costituito nel 1988 attraverso un’iniziativa del sistema ONU promossa dalla World Meteorological Organization (WMO) e dall’UN Environment Programme (UNEP), per coordinare i risultati della letteratura scientifica disponibile, attraverso il contributo di esperti e scienziati. L’IPCC non conduce ricerche in proprio né effettua osservazioni climatiche autonome. Valuta in modo trasparente e obiettivo, con rapporti di periodicità non contingente (prima ogni 5, poi ogni 6 o più anni), analisi e ricerche sul clima: secondo rapporto nel 1995, terzo nel 2001, quarto nel 2007, quinto nel 2013-2014, il sesto nel 2021-2022, un poco slittato causa pandemia. L’IPCC pubblica anche altri rapporti tematici e fornisce, su specifica richiesta, pareri scientifici, tecnici e socio economici alla Conferenza delle Parti (COP) dell’UNFCCC (la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, ora orfana del protocollo di Kyoto) o alla Conferenza delle Parti di altre Convenzioni ONU. Finora si sono svolte 25 conferenze annuali sul clima, la prossima e 26° è prevista a Glasgow, in Scozia, dall’1 al 12 novembre 2021, sotto la presidenza del Regno Unito.

Il 1990 è l’anno del primo rapporto IPCC, l’anno di svolta per l’ONU

L’IPCC è governato dall’Assemblea plenaria, in cui sono rappresentati tutti i paesi ONU (e i paesi WMO e UNEP, nel caso non siano anche paesi ONU). Organo di assistenza all’Assemblea Plenaria ed esecutivo è il Segretariato generale.

Le attività sono svolte da tre gruppi di lavoro:

Gruppo I - scienza del clima, novità e aggiornamenti rispetto ai rapporti precedenti;

Gruppo II - impatti, vulnerabilità e adattamento ai cambiamenti del clima;

Gruppo III - mitigazioni dei cambiamenti climatici e questioni socio economiche.

I tre gruppi sono costituiti da ricercatori (oltre duecento ciascuno, due italiane e un italiano per AR6), su base volontaria e non retribuita, scelti per i loro meriti scientifici, principalmente sulla base delle proposte presentate da governi, accademie e istituti. I gruppi interagiscono con altri scienziati e ricercatori attraverso i punti focali nazionali. Il lavoro svolto dagli studiosi subisce poi varie revisioni scientifiche (anche da parte di esperti indipendenti) prima di essere discusso e approvato dall’Assemblea. Ad agosto 2021 è appena uscito il testo del primo gruppo di lavoro, che in sette anni ha condotto e comparato l’esame critico di circa 14.000 lavori scientifici pubblicati. I successivi due testi sono previsti nei primi mesi del prossimo anno, infine ci sarà il rapporto di sintesi finale.

I rapporti dell’IPCC riportano le migliori e più aggiornate analisi della scienza a livello internazionale e interpretano tali conoscenze nel modo più condiviso e globale possibile, riducendo al minimo la possibilità di errore (errori ci sono stati e ci saranno, comunque, tanto più che lo scibile odierno è tutto coinvolto). Il negazionismo non ha argomenti, se non i noti interessi privati. Metodi e pratiche IPCC sono unitari, si tratta di raccogliere, coordinare, bilanciare, incrociare, revisionare, verificare, riassumere ai governi e, con il loro consenso, all’opinione pubblica tutto quanto in ogni parte del mondo viene studiato in materia di cambiamenti climatici, gli scenari che si aprono, le opportunità d’interventi umani per favorire o scongiurare in parte quegli scenari. E la terminologia IPCC è scientificamente e politicamente sofisticata, in particolare per quanto riguarda impatti e scenari.

Dall’approvazione della Convenzione nel 1992 o dalla sua entrata in vigore nel 1994, il quadro di fondo non è sostanzialmente mutato, drammatico fin da allora, trentanni sono un minuto nei tempi lunghi dei processi evolutivi: è sempre più evidente che l’influenza umana ha riscaldato l’atmosfera, l’oceano e le terre emerse. Si sono verificati cambiamenti diffusi e rapidi nell’atmosfera, nell’oceano, nella criosfera e nella biosfera. Gli aumenti osservati circa dal 1750 nelle concentrazioni di sei gas serra (fra i quali l’anidride carbonica) sono inequivocabilmente causati da attività umane. Dal 2011 le concentrazioni in atmosfera hanno continuato ad aumentare, raggiungendo nel 2019 medie annuali di 410 ppm (particelle per milione) per l’anidride carbonica (CO2), 1.866 ppb per il metano (CH4), e 332 ppb per il protossido di azoto (N2O). La temperatura superficiale globale nel periodo 2001-2020 è stata di 0,99°C superiore a quella del periodo 1850-1900, ed è stata più alta di 1,09°C nel periodo 2011-2020 rispetto al periodo 1850-1900, con aumenti maggiori sulla terraferma (1,59°C) rispetto all’oceano (0,88°). Le precipitazioni globali medie sulla terraferma sono aumentate dal 1950, più rapidamente a partire dagli anni ’80 (attenzione: non le precipitazioni globali e in ogni ecosistema).

L’influenza umana ha molto probabilmente contribuito al cambiamento della salinità dell’oceano superficiale ed è stata la causa principale del ritiro dei ghiacciai a livello globale dagli anni ’90, ha contribuito alla diminuzione della copertura nevosa primaverile dell’emisfero settentrionale dal 1950 e allo scioglimento superficiale osservato della calotta glaciale della Groenlandia negli ultimi due decenni. Lo strato superficiale dell’oceano (0-700 metri) si è riscaldato a partire dagli anni ’70 e le emissioni di CO2 causate dall’uomo sono la causa dell’attuale acidificazione globale dell’oceano superficiale. Il livello medio del mare globale è aumentato di 0,20 metri tra il 1901 e il 2018 e il tasso medio di innalzamento è stato di 1,3 millimetri per anno tra il 1901 e il 1971. Recentemente, tra il 2006 e il 2018, il tasso di innalzamento ha raggiunto i 3,7 millimetri per anno. Le zone climatiche si sono spostate verso il polo in entrambi gli emisferi, il periodo vegetativo si è allungato in media fino a due giorni per decennio dagli anni ’50 alle medie latitudini in entrambi gli emisferi.

L’aumento del riscaldamento è stato finora di circa 1,1 gradi e già sono evidenti gli effetti. I cambiamenti climatici stanno influenzando molti estremi meteorologici e climatici, come ondate di calore, precipitazioni intense, siccità e cicloni tropicali, in ogni regione del mondo, e il rapporto 2021 del primo gruppo di lavoro indica che si sono ulteriormente rafforzate rispetto al precedente 2014 le prove che attribuiscono all’influenza umana queste variazioni negli estremi. Gli scenari futuri riguardano cinque differenti ipotesi legate all’influenza umana eventualmente realizzata in direzione opposta, verso la riduzione delle emissioni e verso adattamenti sostenibili che contengano il più possibile la velocità del riscaldamento, da un primo immediato estremo (contenere l’aumento all’1,5 per cento come suggerito dall’Accordo di Parigi del 2015) se faremo bene e velocemente, all’ultimo pessimo estremo (un aumento superiore al 4 per cento entro il 2100) se non faremo nulla o quasi.

Nei prossimi mesi l’Italia potrà svolgere un ruolo significativo nel negoziato: c’è il G20 a nostra presidenza (pur giustamente concentrato su quanto è accaduto in Afghanistan); c’è a Milano a fine settembre l’appuntamento Onu con quasi 400 giovani provenienti da 197 paesi, Youth4Climate: Driving Ambition (dal 28 al 30, quando si svolgerà anche l’ultima conferenza preparatoria di Cop26 sempre a Milano); c’è l’annunciata nomina di un inviato speciale del nostro governo; ci sono gli innumerevoli interessanti propositivi appuntamenti promossi da ragazze e ragazzi di Friday for Future da venerdì 17 settembre dopo la riapertura delle scuole, e ci sono alcune necessità urgenti su cui abbiamo maturato invece un certo ritardo: aumentare il nostro contributo finanziario verso i paesi emergenti e più vulnerabili, includere un bilancio delle emissioni in ogni nostro piano economico e infrastrutturale, approvare entro l’anno una legge “per il clima”, anticipare la decarbonizzazione ovvero la fine dell’uso di combustibili fossili (carbon neutrality), escludere nuove licenze per esplorazione e produzione di gas e petrolio, promuovere un vero piano di carbon neutrality per l’intero Mediterraneo.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012