SOCIETÀ

Sindacati: le ragioni di una lenta disaffezione

Sindacati in crisi? Se ci affidiamo ai numeri, la risposta sembrerebbe essere positiva. Negli ultimi decenni, la sindacalizzazione del lavoro in Europa è gradualmente diminuita. Si è scesi in media dai 52 milioni di iscritti nel 1990 ai 37 milioni nel 2015, con un calo dunque di quasi il 30%. La diminuzione maggiore, del 20%, è stata registrata negli anni Novanta per la rapida caduta delle adesioni al sindacato dei Paesi dell’Europa centrale e orientale. Negli anni 2000 questo trend ha subito un rallentamento, attestandosi sul 3,6%, per risalire però dal 2010 al 2015, periodo in cui il numero di iscritti a una organizzazione sindacale è sceso di quasi il 10%.

Questa situazione è dovuta a un insieme di fattori – sottolinea Lorenzo Mechi, docente di storia delle relazioni internazionali all’università di Padova –. Innanzitutto alla fine di un certo tipo di organizzazione del lavoro. Le grandi fabbriche che costituivano il nerbo centrale del lavoro organizzato e del sindacato sono diminuite, soprattutto sul territorio europeo, si sono trasferite altrove, in altre parti del mondo, dove hanno trovato condizioni migliori e minori costi di produzione. In secondo luogo ha inciso la frammentazione del lavoro all’interno degli stessi stabilimenti: esistono figure professionali molto diverse una dall’altra, con retribuzioni differenti, che gradualmente hanno ottenuto contratti di lavoro specifici a seconda della mansione: ciò ha reso molto più difficile trovare delle posizioni unitarie tra i lavoratori e molto meno interessante per i singoli lavoratori iscriversi a un sindacato".

Secondo Mechi va considerato infine il fatto che, soprattutto negli ultimi dieci anni – anche se si tratta di un trend che inizia ben prima –, il lavoro è diventato sempre più precario, basato su contratti a tempo determinato e questo ha contribuito a indebolire ulteriormente il sindacato. “Il tasso di sindacalizzazione tra i lavoratori precari è davvero ridotto. Si ha la sensazione che i sindacati difendano solo un certo tipo di categoria, e cioè quei lavoratori che hanno avuto la possibilità di trovare un impiego a tempo indeterminato e che, tendenzialmente, arrivano al momento della pensione iscritti a una organizzazione sindacale. Ciò significa che le associazioni rappresentano anche i pensionati e questo scoraggia ulteriormente chi si immette nel mondo del lavoro”.  

Il crollo del tasso di sindacalizzazione è un trend generalizzato che interessa tutti i Paesi industrializzati compresi gli Stati Uniti, con differenze però da Paese a Paese. In Europa, ad esempio, il numero di iscritti a una organizzazione sindacale oscilla in modo enorme: nei Paesi scandinavi, che pure hanno pagato la crisi della sindacalizzazione, ci si attesta su un tasso del 60-70%, mentre in altri Paesi come la Francia, che tradizionalmente ha un tasso di sindacalizzazione molto basso, si è intorno al 10%.  “In questo contesto – sottolinea Mechi – l’Italia si colloca in una situazione intermedia, con un tasso di sindacalizzazione di circa il 35%. Ritengo anzi che nell’ultimo decennio, proprio per effetto della crisi economica iniziata nel 2008, si stia assistendo a una sorta di ‘risindacalizzazione’, fatto abbastanza in controtendenza. Ciò che caratterizza il nostro Paese è un numero molto elevato di pensionati iscritti ai sindacati e questo rappresenta un elemento di debolezza per vari aspetti, non ultimo il fatto che ciò fa apparire le organizzazioni sindacali come attori quasi ‘ostili’ ai giovani che si immettono nel mondo del lavoro e sono costretti a situazioni di precariato”.

In Europa esistono condizioni di lavoro molto differenti: ci sono Paesi che vantano tassi di occupazione elevati, con sistemi di protezione sociale molto avanzati e pervasivi che coprono le esigenze di gran parte dei lavoratori; ma ci sono anche Paesi con alti livelli di disoccupazione, come la Grecia, la Spagna e in qualche misura l’Italia o perlomeno alcune delle sue regioni. “Questo rende particolarmente ostico portare avanti cause collettive a livello europeo, perché è difficile trovare linee comuni tra sindacati di Stati diversi”.   

Secondo Mechi appartenere a una organizzazione sindacale permette ai lavoratori di avere più forza contrattuale nei confronti dei datori di lavoro. D’altro canto però, è necessario ripensare il modo di operare, serve elaborare delle forme di organizzazione che permettano di coagulare delle linee di interesse comune a tutti. “Si tratta di un argomento in discussione all’interno dei sindacati e dei partiti politici tradizionali, specie quelli di sinistra. È tuttavia una situazione difficile da affrontare, per l’estrema frammentazione e parcellizzazione che si è venuta a creare nel corso del tempo nel mondo del lavoro, per le ragioni di cui abbiamo detto. Per questo, non è semplice individuare degli interessi comuni in cui possano riconoscersi tutti i lavoratori. Era molto più facile un tempo, quando la classe operaia lavorava in larga parte nelle fabbriche, con contratti di lavoro e in condizioni molto simili”. Ed era dunque più semplice rispondere alle esigenze di tutti.

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