Di pari passo con la crescente importanza di tecnologia e connettività, il cyberspazio è sempre più anche un campo di battaglia nei conflitti moderni: realtà esplorata da Il fronte cyber, agile monografia appena pubblicata on line da Guerre di Rete e scritta da Carola Frediani, Sonia Montegiove, Federico Nejrotti e Rosita Rijtano.
La cyberguerra è salita alla ribalta delle cronache già con l'invasione della Crimea nel 2014 e il successivo attacco russo del 2022, con realtà come l'IT Army of Ukraine, vera e propria milizia digitale che sta giocando un ruolo cruciale nel contrastare le cyber offensive russe. Gli attacchi a infrastrutture critiche hanno dimostrato l’importanza militare delle tecnologie informatiche, con un mix di tattiche che spaziano dal sabotaggio industriale alla disinformazione. Altro focolaio di guerra esaminato dal libro è il Medio Oriente, in particolare il confronto tra Israele, una delle principali potenze in questo campo, e Iran, che da tempo in risposta agli attacchi subiti ha sviluppato una propria capacità offensiva.
“Negli ultimi anni abbiamo visto una crescita esponenziale di attacchi informatici provenienti da diversi soggetti, statali ma anche legati a entità di difficile collocazione come gruppi di cybercriminali e hacktivisti”, spiega a Il Bo Live Carola Frediani, giornalista e analista specializzata in nuove tecnologie e cybersecurity awareness management. Anche in passato ci sono state operazioni come quella che ha coinvolto il famigerato virus Stuxnet, messo probabilmente in campo da Israele con i suoi alleati per colpire il programma iraniano di arricchimento dell’uranio: “In quel caso però si trattava un attacco avanzato di cybersabotaggio che implicava anche capacità di intelligence sul campo: oggi per bloccare un oleodotto, ma anche un sistema satellitare, basta un virus ransomware. In questo momento tutte le infrastrutture critiche sono particolarmente esposte, non solo quando c’è uno scontro armato in corso”.
Eppure, scrivono gli autori dell’e-book, non c’è ancora stata una ‘cyber Pearl Harbor’: proprio i conflitti portati a esempio mostrano infatti un carattere “antico” (e barbaro) che stupisce ancora molti osservatori, dall’utilizzo di strumenti tipici della guerra d’attrito come le trincee al combattimento corpo a corpo. “È come se la cyberwarfare o guerra cibernetica rimanesse sottotraccia, perdendo visibilità in caso di conflitto militare aperto – conferma Frediani –: la guerra cinetica prevale su tutto, anche perché gli attacchi informatici richiedono tempo, studio e capacità di analisi per infiltrarsi nei sistemi. Elementi che spesso mancano quando infuria la battaglia sul campo”. Ancora oggi insomma non è facile capire cosa ci prospetta il futuro; “Quando si prova a ragionare di cyberwarfare spesso ci si trova di fronte a due opposti estremismi: da un lato ci sono gli allarmisti che prefigurando scenari estremi, dall’altro spesso invece si sottovaluta tutto quanto attiene la cybersicurezza”.
Cambia in conclusione il modo di fare la guerra, ma forse non così presto e così tanto come forse ci si aspettava, mentre l’utilizzo delle nuove tecnologie sembra per il momento concentrarsi soprattutto nell’ambito della comunicazione e della propaganda. A partire dai social media, diventati strumenti potenti per manipolare l'opinione pubblica, diffondere fake news e creare narrazioni distorte. Una "guerra dell'informazione" cruciale per comprendere le moderne strategie di conflitto, dove la battaglia per controllare lo spazio informativo è combattuta con un’intensità pari a quella per il controllo fisico del territorio. Secondo Frediani “il problema alla base è come si è evoluto il web in questi ultimi anni, con reti difficili da abbandonare ma sempre più spesso anche da frequentare, anche perché molte piattaforme hanno disinvestito su sicurezza e moderazione. Sui social continuano ancora oggi a viaggiare informazioni e testimonianze fondamentali per comprendere la realtà, ma l’arrivo dell’Ai rischia di rafforzare ancora di più il fronte della propaganda”. A questo riguardo due esperti del settore come Peter Singer ed Emerson Brooking parlano di platform weaponization, la trasformazione dei social in vere e proprie armi di dezinformatsiya.
In un'era in cui i confini tra guerra e pace sono sempre più sfumati, e dove ogni dispositivo connesso può diventare un'arma, consapevolezza e preparazione sono comunque essenziali per affrontare le sfide imposte da tecnologie sempre più evolute e pervasive: per questo strumenti come Il Fronte Cyber stimolano una riflessione critica su un mondo dove il conflitto può nascere con un clic. A questo riguardo gli autori segnalano almeno due grandi rischi, a cominciare dalla crescente confusione di ruoli e strategie che tra le altre cose rischia di mettere in discussione tutta la normativa che da decenni tenta di regolare e mettere limiti agli effetti disastrosi delle guerre. Ne è un esempio, secondo una delle autrici Rosita Rijtano, proprio l’esercito digitale volontario ucraino: “Un ibrido – né civile né militare, né legale né illegale, né pubblico né privato – che espone chiunque prenda parte al battaglione anche a seri rischi, e costituisce un precedente a livello internazionale”. Una situazione generata dalle nuove tecnologie entrate ormai nell’uso quotidiano, che però rischia di stravolgere la distinzione essenziale tra militari e civili e che secondo Stefan Soesanto del Center for Security Studies del politecnico federale di Zurigo rappresenta già oggi “un fattore di caos per la futura stabilità del cyberspazio, e quindi della sicurezza europea, ma non solo”.
C’è poi la questione dell’opacità dei sistemi informatici, che continuano a essere caratterizzati dalla commistione tra governi e poteri economici: in particolare quei giganti che, come ad esempio Starlink di Elon Musk, cercano di ritagliarsi sempre più un ruolo autonomo in base ai loro interessi. Anche nel prossimo futuro comunque non saranno solo droni e cyborg a scontrarsi tra l’altro: l’arte tutt’altro che nobile della guerra rimarrà ancora a lungo sporca di sangue e di sofferenze umane. E, se possibile, ancora più vergognosa.