SOCIETÀ

Storia minima e attualità massima dell’Europa (più o meno) unita

Bruxelles è la sede delle principali istituzioni attive dell’Unione Europea, una sorta di capitale di fatto. Tracce neolitiche, occupazione romana, sostanzialmente in pianura (con piccoli colli o alture interne), quasi 33 chilometri quadrati (ma ormai la comparazione fra le aree metropolitane complica quella strettamente amministrativa), poco più di 175 mila abitanti (ma il pendolarismo internazionale non turistico rende tutto fluido), ricca di storia e arte nella media continentale, consolidata capitale del Belgio, è una città che andrebbe visitata almeno una volta nella vita. Vi hanno sede la Commissione Europea (organo “esecutivo” collettivo di amministrazione politica, componenti nominati per cinque anni), il Consiglio Europeo (i capi dei governi, indirizzo politico costante), il Consiglio dell’Unione (i ministri nominati nel governo nazionale di ciascun paese) e, principalmente, il Parlamento Europeo (eletto ogni cinque anni), pur potendosi ovviamente svolgere le riunioni dei componenti delle varie “nostre” istituzioni (meno o più plenarie, più o meno occasionalmente) in altri luoghi (ogni anno a Strasburgo e in Lussemburgo). Siamo europei, ognuno poi individualmente più o meno convintamente europeista. Scendere in piazza a Roma per Bruxelles? Forse sì.

Il prossimo 15 marzo è stata promossa in Italia una grande manifestazione di europei senz’altra bandiera che quella dell’Europa, un inedito nel metodo e nel merito. Quasi tutti abbiamo un’identità associativa non politica, culturale religiosa sindacale sportiva, con qualche simbolo e carta intestata; molti votiamo ai seggi delle elezioni politiche nazionali, alcuni si riconoscono proprio in una lista e in un partito, con le rispettive bandiere; tutti sappiamo che il nostro Paese fa parte di alleanze e istituzioni internazionali e noi le conosciamo per tramite di essere italiani, più o meno apprezzandole; condividere insieme una piazza italiana arrivandoci innanzitutto perché e come “europei” forse non era capitato mai. In fondo, non è male. E le polemiche sono state troppo urlate.

 Sia chiaro: se andiamo siamo consapevoli di portarci un fardello pesante sulle spalle accanto a quella bandiera con le 12 stelle dorate a cinque punte disposte in cerchio su campo blu, orientate con una punta verso l'alto. Eravamo 5, poi 12, ora 27, forse 50. La storia comune moderna e contemporanea è fatta anche e soprattutto di guerre interne e violenze verso l’esterno. A Bruxelles c’è anche la Casa della storia europea ed esistono da decenni innumerevoli riferimenti bibliografici sul passato comune.

L’Europa in storia

È da poco uscita, in particolare, la terza edizione di un aggiornato testo storico: Andrea Zannini Storia minima d’Europa. Dal Neolitico a oggi, Il Mulino Bologna 2025 (1° 2015, 2° 2019), pag. 367. Racconta quanto avvenuto dalle nostre parti e da millenni, in vario modo. Vi è come noto poco accordo tra gli studiosi sull’etimologia della parola Europa; non meno labirintico appare lo sviluppo della nozione geografica (pur con qualche basilare riferimento fisico); il concetto appare eminentemente storico ovvero comprensibile solo in quanto si modifica con il tempo, ha da tempo a sud il Mediterraneo, l’Atlantico a ovest, l’Artico a nord e comprende a est un territorio potenzialmente fin oltre gli Urali e fin oltre Creta. Il meccanismo che ha maggiormente contribuito alla sua formazione è la contrapposizione etnografica. L’idea di un gruppo di ecosistemi e popoli con caratteristiche comuni si fa strada a partire quasi dall’inizio del Medioevo, sia il mondo greco che quello romano erano imperi mediterranei piuttosto che europei. Certo, un’Europa originaria, autentica e pura non è mai esistita: lo spazio europeo è sempre stato un luogo di ibridazioni, interazioni, contrasti (come quasi tutti i “luoghi” del mondo, peraltro). D’altronde non avrebbe potuto essere altrimenti, considerando come non esistano confini fisici a delimitarlo e come la stessa recente storia dell’Unione Europea sia solo una parte della storia europea.

Quali radici?

La storia delle radici prime dell’Europa è un complesso intreccio di lente trasformazioni interne e di veloci fughe in avanti, di impercettibili modificazioni strutturali e di catastrofi improvvise (più o meno “naturali”). Se si cerca di ricostruire e narrare con lineare cronologia un compendio di fatti e di idee di ogni tipo (politico, religioso, militare, pacifico, serio, romantico, vicino, lontano, tragico, comico, significativo o irrilevante) si corre il rischio di far diventare la storia europea “tutto quello che gli storici vogliono che sia”. Zannini mette questa frase in esergo del proprio volume, elaborata nel 1986 dal grande storico britannico Alan John Percival Taylor (1906 – 1990). I dirigenti politici e i rappresentanti istituzionali possono correre spesso quel rischio, si sa; tuttavia, soprattutto gli storici possono forse contribuire anche a ridurre confusione e ideologie.

L’esperto efficace storico Andrea Zannini (Mestre, 1961) tiene da una ventina d’anni un corso di Storia dell’Europa all’università di Udine. Quando cominciò, la costruzione dell’unità europea sembrava procedere a vele spiegate, tra la necessità di numerosi paesi usciti dall’esperienza del blocco sovietico di ancorarsi a un multiforme progetto di democrazia liberale e lo spettro del fondamentalismo religioso jihadista materializzatosi nell’attacco alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. Da allora molto è cambiato, dentro e fuori i paesi dell’Unione, ancor di più sta cambiando negli ultimi anni e in questo 2025. Siamo alla terza aggiornata e integrata edizione del volume uscito nel 2015. I capitoli sono venti, il primo approfondisce la storia del concetto, geografico o culturale di Europa, e parte dalle definizioni, innanzitutto quelle di continente (inadeguata a capire bene, da noi e nel pianeta Terra) e di eurocentrismo (ideologizzato solo attraverso una serie di precocità e successi). Il secondo capitolo è dedicato alle radici più remote (dall’Africa, con il Neandertal primo vero “europeo”), alla transizione neolitica (dalla Mezzaluna Fertile, con la lenta innovazione stanziale) e alla decisiva storia linguistica (l’inesausta ricerca dell’indoeuropeo, il caso di Creta), che testimonia la ricchezza e al contempo la diversità interna del percorso storico europeo.

I successivi capitoli, con accorta selezione di passaggi, personaggi e fatti storicamente rilevanti, sono abbastanza cronologicamente dedicati a: Il mondo antico (greco e romano); La formazione dell’Europa cristiana; Maometto e Carlomagno; L’Europa dei castelli; L’Europa delle città; L’Europa fuori d’Europa; L’età delle religioni armate; le metamorfosi dello stato; Il miracolo europeo; L’età delle rivoluzioni; L’Europa dei diritti; L’Europa delle nazioni; L’età del progresso; L’Europa nel baratro; Il Nuovo Ordine Europeo; Un’Europa ricca e divisa; La costruzione dell’Europa unita; Le ombre d’Europa (l’ultimo ventennio). Seguono la bibliografia (sia generale essenziale che distinta per capitolo), l’indice dei nomi e l’indice dei luoghi. Continui e rilevanti i riferimenti alle migrazioni, ovviamente: per esempio lo straordinario mosaico linguistico “è il frutto dell’apertura dell’Europa, sin dalle epoche cosiddette preistoriche, alle migrazioni di popolazioni provenienti da altri continenti”. Accanto al volume riedito, segnalo che nel maggio 2017 è stata inaugurato a Bruxelles anche il museo della storia europea, situato nel parco Léopold, prevalentemente “limitato” agli ultimi due secoli, attraverso oggetti, installazioni interattive, filmati storici e spazi di riflessione, circa trecento mila visitatori fino a inizio 2025.

Una storia sovranazionale recente

La Casa della storia europea è l’unica esposizione permanente che illustra la nostra storia recente sovranazionale da prospettive diverse. L’edificio si trova in un grande parco di circa 10 ettari aperto al pubblico nel 1880 sul sito dell'ex Giardino zoologico reale di Bruxelles, con un bellissimo lago che ospita ancora diverse specie selvatiche, nonché un'area picnic all'aperto con sedie e panchine. Il palazzo del museo è stato meticolosamente sistemato rispettando lo stile originale del 1930, quando ospitava una clinica dentistica per bambini svantaggiati e mantiene i dipinti in stile Art déco restaurati con cura e ispirati alle favole dell'autore francese Jean de La Fontaine. Tutte le strutture e le attività sono accessibili per i visitatori a mobilità ridotta, vi sono spazi interattivi dedicati a bambine e bambini. L'ingresso è gratuito e la visita dura circa novanta minuti, ma si può stare tranquillamente tutto il giorno, leggendo con attenzione e riflettendo un poco. L'esposizione offre una guida multimediale portatile disponibile in tutte le 24 lingue ufficiali dell'Unione europea (mentre quella cartacea è solo in tre lingue, non l’italiano). Sono richiedibili anche risorse ed esperienze su misura per le scuole, le famiglie e i gruppi.

Ogni anno, inoltre, il museo allestisce una mostra temporanea su un periodo o un tema particolare. Girare per le installazioni, le sale e i piani (vi è l’ascensore ovviamente, ma la scala a piedi ha al centro da terra al soffitto una colonna delle lettere degli alfabeti europei) significa accantonare un attimo il proprio orizzonte nazionale, la propria specifica bandiera e i propri specifici confini amministrativi per intraprendere un cammino visivo e mentale su ciò che ci ha unito e diviso in quanto “europei”, almeno nei due secoli XIX e XX. Nella sezione introduttiva dell’esposizione permanente, l’Europa viene “accennata” attraverso la mitologia, le carte geografiche e possibili antichi patrimoni comuni. Poi si affrontano i cambiamenti significativi più recenti, in sostanza dalla Rivoluzione Francese attraverso la rivoluzione economica industriale (pure tecnologica e scientifica). I paesi europei giungono al culmine delle potenze nazionali, invadendo colonizzando sfruttando guerreggiando. Nel 1945 prevalgono i cimiteri e le macerie, poi inizia un lento contraddittorio processo di integrazione.

 

Affermare gentilmente un’identità europea è oggi indispensabile

Non c’è da essere propriamente fieri di tutta la storia europea, fra di noi e se pensiamo a coloro fuori dai nostri “confini”. Ciò riguarda quasi ogni identità individuale e collettiva, le ambivalenze dei comportamenti, le contraddizioni nelle relazioni, le possibilità alternative per le dinamiche storiche. Una parte dei pessimi atti sono dipesi da eccessivo “nazionalismo” e appellarsi a istituzioni sovranazionali è nell’interesse della pace e della nostra Costituzione. Visto che le ragioni divisive tendono a crescere fra gli umani nel mondo, trovarsi uniti con la bandiera europea può non essere una cattiva idea, almeno una volta nella vita contemporanea italiana, forse proprio il 15 marzo 2025. Anche con fasce dei sindaci, spille pacifiste, fazzoletti partigiani, sorrisi sindacali. Ovviamente, sono espliciti tutti i limiti autoconsolatori e autoassolutori dell’evento. E vi è qualche capo o componente della Commissione Europea che è piaciuto meno nei decenni scorsi, o che ci piace meno ora; e molte scelte fatte a Bruxelles sono state incoerenti o sbagliate, appaiono contestabili anche in questa fase (il riarmo dei singoli paesi, per esempio, non è l’auspicata autonoma difesa “comune”); e l’Unione è risultata e risulta talora anche luogo istituzionale di burocrazia eccessiva, corruzione, scandali; e siamo certi che non basta e non basterà la bandiera europea a garantire pace e diritti, adeguate solidarietà sociali e umanitarie, maggiori libertà ed eguaglianze, qui e nel mondo (prima o poi dovremo manifestare solo con la bandiera dell’imperfetta Onu). Tuttavia… Affermare gentilmente un’identità europea è oggi indispensabile.

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