
Il premier dimissionario Luis Montenegro. Foto: Reuters
Ancora una crisi politica, la terza in tre anni. E di nuovo per un caso di sospetta corruzione che sfiora i vertici del governo del Portogallo: com’era già accaduto alla fine del 2023 quando l’allora premier Antonio Costa, ora presidente del Consiglio Europeo, si dimise per uno scandalo che aveva coinvolto non lui direttamente, ma alcuni ministri e membri del suo staff. Stavolta a finire nel mirino dei sospetti è stato direttamente il primo ministro Luis Montenegro, leader del Partito Socialdemocratico (che è di centrodestra, a dispetto del nome), caduto al termine di un drammatico voto in Parlamento su una mozione di fiducia da lui stesso presentata, proprio nel disperato tentativo di fugare dubbi e sospetti. Non è andata come sperava: il governo, di minoranza, poteva contare sulla fedeltà di appena 80 deputati su 230. E l’opposizione (i Socialisti, i partiti di estrema sinistra e l’estrema destra di Chega) ha votato compatta contro Montenegro, che si è dovuto dimettere. Il presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, dopo aver ricevuto i rappresentanti di maggioranza e opposizione, e aver constatato che una “ricucitura” era impossibile, ha sciolto il Parlamento e fissato una nuova tornata elettorale per il prossimo 18 maggio. Per gli elettori portoghesi non è una buona notizia, dal momento che a luglio saranno nuovamente chiamati alle urne per partecipare alle elezioni locali, mentre a gennaio dovranno votare per le presidenziali, e scegliere il successore di Rebelo de Sousa: uno “stress elettorale” che potrebbe anche avere ripercussioni sull’affluenza, che nel 2024 era stata del 59%, ma nel 2022 si era fermata al 51%.
Lo scandalo delle consulenze
La “buccia di banana” che ha fatto scivolare il premier Luis Montenegro, dopo appena 344 giorni alla guida dell’esecutivo, è la sua relazione con la società di consulenza Spinumviva, da lui stesso fondata nel 2021 (dunque prima di detenere cariche politiche) con 6mila euro di capitale sociale, e poi formalmente ceduta alla moglie e ai figli l’anno successivo, quando diventò presidente del Partito Socialdemocratico (PSD). Tra le aziende clienti di Spinumviva, ce n’è una, la Solverde, che gestisce hotel e casinò, per la quale in passato lo stesso Montenegro aveva lavorato come avvocato, rappresentando il gruppo nelle trattative con lo Stato per fargli mantenere le concessioni sui casinò, attualmente in attesa di rinnovare quelle concessioni (che sono di competenza del ministero dell’Economia). Ebbene, il gruppo Solverde continua a versare un compenso di 4500 euro mensili alla società della famiglia Montenegro (la sede è ancora nella loro abitazione) per i servizi di consulenza (definizione piuttosto ampia, che comprende la “compravendita e gestione di beni immobili, propri e di terzi, compresa l’acquisizione per la rivendita”). In due anni di attività Spinumviva (che ha due soli dipendenti, uno dei quali part-time) ha fatturato 650mila euro. Il sospetto, sollevato dal settimanale portoghese Expresso, è che si tratti comunque di un caso di conflitto d’interesse, se non peggio: e la Procura ha aperto un’inchiesta. “La legge non impedisce al primo ministro di avere una società o di esserne socio”, ha spiegato alla CNN Portugal l’avvocato Paulo Veiga Moura. “Ma la Costituzione impone che i titolari di cariche pubbliche siano imparziali nell’esercizio delle loro funzioni. Se il governo rinnoverà la concessione a Solverde, ci sarà sempre il sospetto che ha vinto perché in passato ha stipendiato il primo ministro”. “Viviamo in tempi in cui l’etica è stata completamente scartata, dove tutto è permesso, tutto è usato come arma nel gioco politico, o, per essere più precisi, negli imbrogli politici, di chi è interessato solo a manipolare e dividere”, ha commentato pochi giorni fa Duarte Mairos, analista politico dell’Expresso.
Dunque la parola tornerà ai portoghesi, ma con il rischio concreto che l’esito del voto possa ricalcare, decimale più decimale meno, l’esito delle elezioni del 2024, vinte dalla destra. La situazione attuale, stando ai più recenti sondaggi d’opinione, sembra piuttosto ingessata. Il quotidiano Politico suggerisce un nuovo testa a testa tra l’Alleanza Democratica (la coalizione formata da Partito Socialdemocratico, Partito Popolare e Partito Monarchico) che si attesterebbe al 30%, e il Partito Socialista (l’attuale leader è Pedro Nuno Santos) con il 29%, mentre gli estremisti di destra di Chega sarebbero parecchio più indietro, attorno al 16%, in calo rispetto al risultato del 2024. Mentre il sito web di analisi e statistiche politiche Electomania accredita, se si votasse oggi, la vittoria ai Socialisti con il 30%, mentre il solo partito Socialdemocratico avrebbe il 25% delle preferenze (e Chega sarebbe al 15%). Insomma, nulla di nuovo: e se davvero così fosse, si riproporrebbe il solito dilemma: chi governerebbe con chi? Il centro-sinistra non avrebbe i numeri per dominare il Parlamento, neanche ipotizzando una nuova edizione della “Geringonça” (letteralmente, “aggeggio”), l’alleanza con i partiti più a sinistra, come Comunisti e Verdi. Ma nemmeno il centro-destra riuscirebbe a diventare maggioranza, a meno che i Socialdemocratici non decidessero di far cadere quello che da molti nel paese viene identificato come un “argine morale”, vale a dire l’alleanza con gli estremisti di destra, oltre che nazional-populisti, di Chega. Lo scorso anno Luis Montenegro era stato categorico: «Non faremo mai accordi con quel partito razzista e xenofobo». E in qualche modo André Ventura, leader di Chega, gliel’ha fatta pagare, votando contro il primo ministro nella mozione di sfiducia. Ora però Ventura tende la mano ai Socialdemocratici: “Faremo di tutto per garantire che dalle prossime elezioni esca una soluzione, che si tratti di costruzione del governo o di una costruzione parlamentare, che dia al Paese certezze per il futuro, purché ciò non implichi rinunciare alle nostre convinzioni contro la corruzione». Come dire: un accordo è possibile, ma non con Luis Montenegro. «Non è una ritorsione, ma è un fermo no: date le circostanze è impossibile avere fiducia in un governo guidato da questo primo ministro”.
Il ruolo dell’estrema destra
Ci sarà tutto il tempo per trattare, anche perché la campagna elettorale impone ora ritmi serrati. Secondo Antonio Costa Pinto, ricercatore dell’Istituto di Scienze Sociali dell’Università di Lisbona, interpellato dall’Associated Press, Chega potrebbe ambire sempre più a svolgere un ruolo da kingmaker: “La democrazia portoghese è stata segnata da un governo di minoranza di centro-destra che ha fatto un punto chiave nel non fare alleanze con il partito di destra radicale, e questo sarà anche in gioco in queste elezioni. Non che ci sia, per Chega, una prospettiva di crescere notevolmente. Ma a che punto il partito di centrodestra, che si trova in una crisi significativa, romperà questa barriera dell’evitare accordi con la destra radicale? Non lo sappiamo. Fondamentalmente tutto è aperto”.
E questo, a ben vedere, è un tragico paradosso: nonostante l’estrema destra portoghese sia in crisi di consensi, logorata anche da una serie di scandali che ne hanno minato l’immagine (dal 18% dello scorso anno Chega è oggi accreditata di un 15%) e ben lontana dalle percentuali che partiti di estrazione simile hanno conquistato in tante nazioni europee, il suo ruolo resta centrale nella costruzione delle future alleanze dal momento che i due blocchi storici che per 50 anni si sono alternati al potere (il Portogallo ha una democrazia giovane, riconquistata il 25 aprile del 1974) sembrano ormai sfibrati, incapaci di produrre proposte in grado di riaccendere l’entusiasmo dell’elettorato. “È ora di sbarazzarsi dei socialisti e dei socialdemocratici”, ha urlato il leader di Chega arringando i suoi sostenitori all’indomani della caduta del governo Montenegro. “Il Portogallo merita dignità, etica e trasparenza. Sognare è aspirare a un paese diverso. Combattere per i nostri, per i portoghesi e per il Portogallo è il nostro obiettivo”. Il problema vero è che il Portogallo potrebbe presto trovarsi di fronte a un bivio di non poco conto: da un lato l’ingresso dell’estrema destra nell’esecutivo, con tutti i rischi che il passaggio comporterebbe; dall’altro l’impossibilità di formare un governo, in una fase estremamente delicata del panorama internazionale (l’avvento di Trump, e la sua posizione di progressivo allontanamento dalla Nato e dall’Europa potrebbe mettere a rischio l’acquisto, da parte del Portogallo, dei nuovi F-35 statunitensi). Portogallo che, da un punto di vista strettamente economico, sta vivendo un altro paradosso. Da un lato c’è una crescita economica di assoluto rilievo: +2,7% su base annua, solo Lituania e Spagna hanno fatto meglio (alla fine del 2023 l’economista americano Paul Krugman aveva parlato di “miracolo economico”), con la disoccupazione ancora in calo, al 6,4%. Dall’altro si registra però un aumento drammatico delle disuguaglianze sociali, con oltre due milioni di persone, circa un quinto della popolazione totale, che vivono in condizioni di povertà (reddito mensile inferiore a 632 euro) o di esclusione sociale: ed è una delle peggiori performance tra i paesi dell’Unione Europea.