CULTURA

"Le stanze della fotografia", il nuovo centro espositivo e di ricerca a Venezia

Dallo storico palazzo neogotico della Giudecca, con i suoi iconici tre occhi puntati sulla laguna, acquistato recentemente dal Berggruen Institute, all'ex Convitto scolastico della Fondazione Cini, sull'Isola di San Giorgio Maggiore (prima ancora, magazzini della dogana). Venezia e la fotografia, una relazione solida che continua e, dopo aver lasciato la Casa dei Tre Oci, a conclusione di dieci anni di intensa attività espositiva, raggiunge ora gli ampi spazi de Le stanze della fotografia. Con la retrospettiva dedicata a Ugo Mulasnel cinquantesimo anniversario della scomparsa, a cui si aggiunge una più piccola esposizione al piano superiore che svela la Venezia di Alessandra Chemollo, apre il nuovo centro internazionale di ricerca e valorizzazione della fotografia e della cultura delle immagini, iniziativa congiunta di Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini.

Presidente del comitato tecnico-scientifico è Luca Massimo Barbero, direttore dell'Istituto di Storia dell'arte della Cini, mentre la direzione artistica è affidata a Denis Curti, che ha già ricoperto questo ruolo per i Tre Oci a partire dal 2012. "Questo nuovo meraviglioso spazio ospiterà mostre fotografiche temporanee ma al tempo stesso si candida a diventare un vero centro internazionale per la fotografia, per la città di Venezia, per l'Italia e l'Europa. Vogliamo coinvolgere le maggiori istituzioni internazionali in totale continuità con l'esperienza della Casa dei Tre Oci, che si trova a una fermata di vaporetto da qui, dove negli ultimi dieci anni abbiamo ospitato i più importanti fotografi italiani e del mondo e abbiamo raccontato tante storie, anche su Venezia". 

Intervista di Francesca Boccaletto. Riprese e montaggio di Massimo Pistore

I 1850 metri quadrati dell'ex Convitto sono stati messi al centro di un importante progetto di restauro e riallestimento, realizzato dallo Studio di Architetti Pedron / La Tegola con la partecipazione del Teatro La Fenice di Venezia, che ha permesso l’installazione di pareti leggere e movibili come quinte teatrali.

A inaugurare il programma espositivo è la mostra Ugo Mulas. L'operazione fotografica, curata da Denis Curti e Alberto Salvadori (dal 29 marzo al 6 agosto). "Questa antologica, che conta 330 fotografie, ci presenta solo il 3% di tutta l'archivio che Ugo Mulas ha lasciato in eredità: è forse il fotografo italiano per eccellenza, eppure resta ancora tutto da scoprire", precisa Curti.

Le oltre trecento opere - tra cui trenta immagini mai esposte prima d’ora, fotografie vintage, documenti, libri, pubblicazioni, filmati - offrono una sintesi in grado di restituire una rilettura dell'opera di un fotografo trasversale, definito "totale" per la sua capacità di attraversare ed esplorare i generi, proponendo ritratti di amici, artisti e intellettuali, fotografie di moda, scatti di cinema e teatro, architetture e paesaggi, passando per i focus dedicati a Marcel Duchamp e Lucio Fontana e le famose Verifiche, messe in atto per valutare la sua stessa arte e riflettere sul rapporto tra il fotografo e l'immagine, la presenza-assenza dell'autore dentro ogni scatto. Ritraendosi allo specchio, Mulas nasconde il suo volto e "ciò che apparentemente sembra un errore - spiega Curti -, altro non è che la presa di coscienza che il fotografo si interpone costantemente tra la macchina e il suo soggetto".

Nel 1970 ho cominciato a fare delle foto che hanno per tema la fotografia stessa, una specie di analisi dell'operazione fotografica per individuarne gli elementi costitutivi e il loro valore in sé […] Ho chiamato questa serie di foto Verifiche, perché il loro scopo era quello di farmi toccare con mano il senso delle operazioni che per anni ho ripetuto cento volte al giorno, senza mai fermarmi una volta a considerarle in sé stesse, sganciate dal loro aspetto utilitaristico (Ugo Mulas)

Una mostra ricchissima e di grande impatto scenico (l'allestimento è imponente) che apre un programma che già annuncia il prossimo futuro: nell’autunno 2023 "le stanze" ospiteranno una mostra dedicata a Paolo Pellegrin (Roma, 1964), fotoreporter che ha documentato molti dei maggiori conflitti mondiali, e nella primavera 2024 sarà la volta di Helmut Newton.

In chiusura, cosa può raccontare la fotografia, di più e meglio, rispetto ad altre espressioni artistiche? "La fotografia è dotata di uno statuto particolare e specifico che la differenzia dalla altre arti visive. Oggi la fotografia appartiene a tutti, il digitale ha contribuito a farcela conoscere in modo diverso. Prima era una pratica artigianale, servivano la camera oscura e la chimica, oggi è un linguaggio completamente nuovo. Dico linguaggio perché mi riferisco alla possibilità di usare la fotografia per comunicare: pensiamo ai social, alla rete, alle esperienze dell'intelligenza artificiale. Questa è la fotografia che conosciamo meglio oggi. Detto questo, dall'altra parte, a noi continuano a interessare persone che usano la fotografia perché hanno qualcosa da dire ed è necessario capire come raccontare questi contenuti: non basta avere una macchina fotografica e o uno smartphone  per essere un fotografo, forse è una banalità ed è come dire che non basta tenere in mano un pennello per essere un pittore. Gianni Berengo Gardin, che ho intervistato per raccogliere racconti su Mulas, mi ha detto che le fotografie non si fanno con la macchina fotografica ma con la testa".

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