SOCIETÀ

Storie d'acqua, fiumi del Veneto: il Tagliamento

La pace dopo la guerra, lo stupore di fronte alla natura, la riscoperta di sé stessi. Molte sono le storie d'acqua che ci racconta il Tagliamento, un fiume che non è solo veneto, ma anche molto friulano. Non soltanto perché segna, poco prima di incontrare il mare, l'ultimo tratto di confine tra le due regioni, ma perché è attraverso i territori in provincia di Udine e Pordenone che si svolge la maggior parte del suo percorso.

Ho voglia di essere nel Tagliamento, a lanciare i miei gesti uno dopo l’altro nella lucente concavità del paesaggio. Il Tagliamento, qui è larghissimo. Un torrente enorme, sassoso, candido come uno scheletro Pier Paolo Pasolini. Lettera a Luciano Serra del giugno 1943

Tra paesaggi rocciosi, sabbiosi, percorsi ramificati e tratti sinuosi, i panorami lungo il Tagliamento, così vari e imprevedibili, mutano durante il suo viaggio dalle montagne fino al mare, testimoniando aspetti particolarmente interessanti dal punto di vista morfologico.

Di questo ci parla il professor Corrado Venturini, del dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell'università di Bologna. “Un fiume riunisce in sé la forza e l’anima dei suoi affluenti che, come tributo, riversano incessantemente nel suo alveo non solo acque, ma anche una varia e infinita quantità di frammenti rocciosi scalzati e prelevati dai rilievi montani”, spiega. “Esiste un fiume, nel Nord-Est d'Italia, i cui sassi raccontano storie antiche di quasi mezzo miliardo di anni. A questi remoti racconti se ne aggiunge uno, il più recente, il cui inizio risale a una manciata di milioni d'anni fa. È la storia stessa del Fiume Tagliamento, che prosegue tuttora narrandoci di piraterie fluviali, con tratti rapinati ad altri corsi o abbandonati all'improvviso, assieme ad altri che, al contrario, si modificano continuamente, senza interruzioni.

Mirabili cose ci riserva questo piccolo grande Fiume. Piccolo per la sua ridotta lunghezza: solo 178 km di cui i primi cinque sesti scorrono interamente in Friuli e la restante parte si fa confine col Veneto. Grande perché il Tagliamento è uno dei rari fiumi europei che ancora conserva una naturalità che l'accompagna dalle sorgenti, ubicate presso il Passo della Mauria (Forni di Sopra, UD), fino a Ronchis di Latisana, a quasi 30 km dalla foce in Adriatico. Solo in quest'ultimo tratto i poderosi argini artificiali hanno imbrigliato la sua propensione innata alla divagazione lungo la pianura. Grazie ai peculiari caratteri di indiscussa naturalità pressoché completa del suo corso, il Tagliamento è diventato un paradigma assoluto nel panorama fluviale europeo. Un fiume che potrebbe essere definito ancora come primordiale e in grado per questo di richiamare l’interesse di molti studiosi italiani e, soprattutto, esteri. Non è senza motivo la sua recente candidatura a “patrimonio mondiale dell’Umanità”.

“Il Tagliamento”, continua il professor Venturini “è un fiume bonsai che appare come un modello in scala, direttamente percepibile anche solo in una giornata attraverso la visione diretta dei suoi tre segmenti base: il tratto montano (ovvero delle selvagge e ramificate radici fluviali), quello dell'alta pianura (a canali di magra che si intrecciano l'uno nell'altro) e quello della bassa pianura (dal corso sinuoso in perenne, lento spostamento laterale) al termine del quale si trasforma in breve distributore deltizio sfociando in Adriatico. Ogni segmento fluviale ha le sue peculiarità. Di volta in volta ci riservano colpi di scena inaspettati o paesaggi e panorami capaci di trasformarsi in specchi dell'anima. Nel tratto montano, segnato da un susseguirsi di confluenze vallive, è il geomorfologo a leggervi con facilità i processi erosivi causati dal passato alternarsi di acque e di ghiacci. Un'alternanza, distribuita negli ultimi 2 milioni di anni circa, in grado non solo di approfondire e allargare la Valle del Tagliamento e quelle dei suoi principali affluenti, ma anche di generare crolli di interi diaframmi rocciosi innescando erosioni "a gambero", responsabili di almeno tre incredibili atti di pirateria fluviale. Più note come catture fluviali, con il loro affermarsi rappresentano processi in grado di cambiare in modo drastico i tragitti fluviali intermontani.

Al Tagliamento, nel corso della sua lunga evoluzione iniziata circa 15-20 milioni di anni or sono, è accaduto almeno tre volte: nei settori di Ampezzo e di Amaro-Venzone, intorno a qualche centinaio di migliaia d'anni fa, e nell’areale M. di Ragogna - Cimano, intorno a 20.000 anni or sono. Nel medesimo segmento montano hanno anche agito sporadici eventi franosi che, staccando enormi porzione rocciose dai versanti vallivi, hanno temporaneamente bloccato i deflussi del Tagliamento generando degli invasi lacustri, tutti ormai estinti. Si possono a tal proposito segnalare l'antico paleo-Lago di Osoppo risalente a più di 5 milioni di anni fa e sul cui riempimento (depositi ghiaiosi e sabbiosi oggi cementati) sono impresse – facilmente raggiungibili – piste e orme di equidi, bovidi e di piccoli rinoceronti; il più recente paleo-Lago di Forni di Sotto databile a quasi 10.000 anni fa, e quello di Borta [5] generatosi il giorno di ferragosto del 1692. Il relativo accumulo di frana, ancora intatto sul posto, seppellì tragicamente l'omonimo paese coi suoi 58 abitanti.

All'uscita dalle Prealpi il Tagliamento si appropria della scena – fin qui condivisa con rocce e ripidi versanti vallivi – facendosi protagonista assoluto. Finalmente in pianura, utilizza gli spazi aperti per mostrare il meglio di sé: il proprio alveo ghiaioso. Largo fino a 3 km, in tempi di magra è solcato da infiniti intrecci di acque, linfa perenne per canali di irrigazione e fonte inesauribile di ispirazioni liriche. Intrecci dovuti tanto all’abbandono di barre ghiaiose generate sul fondo durante le piene fluviali, quanto alle successive erosioni prodotte su quelle stesse barre al calare della piena e durante l’affermazione del successivo regime di magra. Ne scaturiscono morfologie a canali e isole effimere, dove l’attecchire della vegetazione può propiziare un ricco ecosistema fluviale.

In questo segmento centrale il Tagliamento per quasi 50 km scende veloce e quasi rettilineo verso la bassa pianura. Col suo transito discrimina un territorio che da sempre in lingua friulana è segnato dalla fisicità del suo elemento acqua: di ca da l'Aghe, di là da l'Aghe. Dove con Aghe – concreta sineddoche – si intende il Fiume, fattosi magicamente femminile come le sue esoteriche abitatrici. Quelle Agane che nei suoi recessi più vegetati ne sono da sempre le emanazioni più vitali. E come non scorgere nel caratteristico infinito intreccio di canali che caratterizza questo primo tratto di pianura, un’enorme e lunga treccia di donna, annodata al limite delle Prealpi e appoggiata sugli aperti e sconfinati spazi che conducono al mare.

E' l'inclinazione della pianura decretare la fine del lungo tratto a canali intrecciati tra Morsano e Rivignano, a sud di Codroipo. Dove l'alta pianura cede il passo a territori meno pendenti – da circa 7 m a meno di 3 m di dislivello per ogni km di spostamento – ecco che, come guidato dall'istinto (potenza delle leggi fisiche!) il fiume perde velocità e abbandona il proprio detrito grossolano, le ghiaie, proseguendo poi col proprio carico meno gravoso, quelle sabbie e qui fanghi che porterà fino alla foce adriatica. Sono proprio le pendenze del territorio, da molto basse a nulle, che favoriscono una completa, rapida metamorfosi del suo modo di essere fiume. Sparisce la treccia di canali, si restringe l'alveo, si riuniscono e aumentano le acque. Questo avviene per la diminuita porosità dei depositi della bassa pianura, non più in grado di favorire le abbondanti infiltrazioni che, al contrario, caratterizzano il segmento dell'alta pianura. Il Tagliamento ora si è fatto improvvisamente tutto curve e anse, i noti meandri. Apparentemente statico, mostra invece una sorprendente vivacità se osservato alla scala dell'intera vita umana. Come una gigantesca biscia d'acqua si sposta sinuoso, modificando lentamente e incessantemente il proprio percorso. Modifica le sue curve (meandri) grazie a contemporanee erosioni, attive sulle sponde esterne dove la velocità del flusso è maggiore, e deposizioni, abbondanti in quelle interne. Questo particolare dinamismo è ancora libero di agire fino alle porte di Latisana, lungo un tratto di oltre 20 km. Ne sono testimonianza i confini amministrativi fissati oltre un secolo fa in corrispondenza del corso fluviale del tempo e ora completamente differenti rispetto al suo mutato percorso attuale.

È solo da Latisana in poi che l’originario limite e il percorso fluviale ancora coincidono. Segno evidente che una intensa regimazione fluviale, costituita da poderosi argini spondali, ne ha cristallizzato da tempo ogni potenziale migrazione. Il tutto in funzione della necessaria tutela di un territorio di bassa pianura che si fa più densamente popolato e coltivato da qui a Lignano Sabbiadoro e Bibione. Due cittadine balneari, rispettivamente friulana e veneta, che hanno colonizzato l'apparato di foce del Tagliamento, un fiume unico nel suo genere, da tutelare, preservare, valorizzare e far conoscere, nel rispetto e nella consapevolezza del patrimonio ambientale che rappresenta”.

Muovendoci poi “a ritroso”, ovvero in direzione contraria a quella dell'acqua che scorre, seguiamo il percorso di Cristina Noacco, che nel suo libro I segreti del Tagliamento, pubblicato da Ediciclo Editore, ripercorre il viaggio in bici compiuto in solitaria dalla foce fino alla sorgente del Tagliamento. Un'esperienza lunga 178 km alla ricerca del fiume e di se stessa, raccontata attraverso gli occhi di una donna chiamata Alba.

Abbiamo chiesto a Cristina Noacco perché ha intrapreso questo viaggio e cosa cercava proprio alla foce di questo fiume.

“Il viaggio di risalita del Tagliamento dalla foce alla sorgente mi ha permesso di ritornare a casa”, ci racconta. “Lavoro all’estero, in Francia (insegno Letteratura francese del medioevo all’Università di Tolosa). Per me che vivo all’estero il viaggio di ritorno è un’ossessione. Quando sono lontana dal Friuli sento la mancanza dei paesaggi, dei profumi, dei suoni e dei volti del paesaggio naturale e umano che compongono la mia “casa”. È la lontananza che ci fa desiderare di tornare. L’assenza rende più intensa la presenza. Il ritorno alla sorgente è dunque un viaggio, simbolico ed esistenziale, di ritorno alle mie radici. In francese esiste il verbo “se ressourcer” per indicare il ritorno a casa.
Alla fonte del fiume, come faccio dire ad Alba all’inizio del racconto, cercavo l’origine della mia storia insieme a quella del fiume. Una storia antichissima, che risale a 5,8 milioni di anni fa.
Quanto alla scelta del Tagliamento, è nata da un invito che mi è stato fatto due anni fa a partecipare a un’antologia di testi sul Grande Fiume friulano. La ricerca effettuata per scrivere quel primo brano si è tramutata in esperienza talmente ricca da imporre un approfondimento, che a dire il vero non si è mai concluso. L’estate scorsa, per esempio, dopo la pubblicazione del libro, ho visitato a piedi la confluenza tra il Fella (la Fele, quel fiume è femminile, in friulano) e il Tagliamento. Un luogo meraviglioso, che auguro a tutti di poter conoscere, per l’energia che vi si respira: le nozze tra due fiumi”.

Quali sono gli aspetti del fiume che la incuriosivano di più e che voleva esplorare con particolare attenzione? Il patrimonio artistico e architettonico, la storia nascosta in quei luoghi, la bellezza del paesaggio, il rapporto tra uomo e natura?

“Il mio progetto era e rimane piuttosto ambizioso, perché consiste nel cercare di conoscere e comprendere il bagaglio storico, artistico, culturale, naturalistico, antropologico legato al fiume. Ho cercato di visitare i luoghi di fede disseminati lungo il percorso, spesso custodi di affreschi rinascimentali meravigliosi, ho cercato di osservare e di capire i maggiori monumenti antropologici, come ponti e hospitali, testimoni della storia della regione e i geositi tipici del corso del fiume, monumenti naturali che permettono di risalire il tempo, sprofondando in una vertigine cosmica. È questo il “metodo del cammino”, un concetto spiegato e condiviso da Marino Del Piccolo, che ha permesso la rinascita del cammino storico del Tagliamento, che non considera il percorso da un punto di vista particolare e dunque parziale, ma lo abbraccia idealmente in tutte le sue componenti. Sono i frammenti di questa storia globale che rappresentano “I segreti del Tagliamento”.
A questa ricerca di conoscenza globale del territorio si aggiunge (meglio, si antepone come strumento) la ricerca della bellezza del territorio, ovvero del vero, che poi altro non è che amore, soffio divino presente in tutto ciò che esiste”.

In che modo il fiume l'ha sorpresa, cosa le ha insegnato e cosa ha trovato che non si aspettava di trovare?

“Il viaggio lungo e sul fiume ci insegna a fermarci e a cogliere tutti i particolari che formano la nostra cultura, complessa e stratificata come un letto di ghiaie millenario. Le mille voci del fiume mi hanno portato ad ascoltare le mille voci diverse che formano la comunità friulana. La natura mi ha dunque parlato dell’uomo, che è cresciuto e ha organizzato la sua vita a stretto contatto con il fiume. E il fiume ci prega oggi, più che mai, di rispettare il sottile equilibrio che esiste fra la natura e l’uso che l’uomo ne può fare. Oggi quella voce è sopraffatta dal rumore del denaro che scorre. Temo che capiremo troppo tardi che il nostro vero Patrimonio è quello che abbiamo sotto i nostri piedi. Lungo il percorso ho trovato e ascoltato le voci della natura, insieme a quelle dell’uomo e degli uomini che ho incontrato lungo il cammino. Il fiume mi ha visto partire in solitaria, mi ha fatto arrivare in comunità”.

In che modo questo viaggio l'ha cambiata e quali sono i ricordi più vividi che conserva di quest'esperienza, quando le capita di ripensarci?

“Viaggiare in questo modo mi ha fatto capire che siamo tutti parte di un girotondo meraviglioso. Sono partita sola, ma in realtà non lo sono mai stata. E ho scoperto, potrà sembrare banale, che la nostra storia è collegata a quella di tutti e di tutto ciò che ci circonda, ma anche a tutto ciò che è stato. Da noi, e solo da noi dipende infine ciò che sarà. Il nostro destino e quello del fiume sono intrecciati. Se non vogliamo cementare i nostri cuori, pensiamo bene prima di gettare sponde di cemento.

Sorrido, mi commuovo e mi vengono i brividi quando penso ai fuochi accesi lungo le sponde, al piacere semplice di un bagno, al concerto sempre nuovo e complesso delle acque. Di tutto ciò che ho visto, è la magia dei luoghi silenziosi, condivisa con chi mi ha indicato la via per raggiungerli, che mi è più cara. Un tesoro così prezioso e segreto che non credo di essere riuscita veramente a trasmetterlo. Un invito dunque a cercarlo e a viverlo in prima persona”.

Il nostro destino e quello del fiume sono intrecciati. Se non vogliamo cementare i nostri cuori, pensiamo bene prima di gettare sponde di cemento Cristina Noacco

Il Tagliamento, oltre a presentare caratteristiche interessanti dal punto di vista geologico e naturalistico e a ispirare la sensibilità di scrittori, cantori e poeti, è anche un luogo della memoria. Lungo questo fiume si sono svolte infatti delle importanti vicende belliche tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. A raccontarcelo è il professor Marco Mondini, docente di History of conflicts all'università di Padova.

Servizio di Federica D'Auria. Montaggio di Elisa Speronello

“Il Tagliamento, tra i fiumi famosi di Italia, viene ricordato molto meno dell'Isonzo e del Piave, perché il contesto storico-politico in cui segnava una possibile frontiera militare è molto cambiato, e le questioni che avevano fatto di questo corso d'acqua un possibile baluardo del Regno d'Italia sono cadute nell'oblio”, premette il professor Mondini.

“Nel 1866, il Veneto acquisisce lo status di nuovo territorio del Regno di Italia, e comprende anche l'attuale Friuli, ovvero il territorio di Udine e Pordenone. Il Regno di Italia è allora uno stato neonato e militarmente molto debole. Ha enormi problemi di bilancio, e per ammodernare le sue forze armate spende quasi un terzo del suo budget statale, ma questo spesso non basta. Tutto ciò genera una profonda sfiducia, che è per certi versi paradossale, dato che culturalmente e psicologicamente parlando, l'Italia unita è uno stato nazionale che è nato dalla guerra, dal sangue e dal bisogno di essere eroici; ma è la verità è che l'esercito italiano solitamente le sue guerre le perde. Questo influenza anche la pianificazione strategica del nuovo stato, ovvero il modo in cui pensa alle guerre che combatterà in futuro.

Nel caso di un possibile conflitto con l'Austria-Ungheria, infatti, l'Italia non può permettersi di affrontare una guerra d'attacco, e deve perciò immaginarne una di difesa, organizzando l'apparato difensivo del proprio stato. Il Tagliamento diventa allora importante dal punto di vista militare, perché questo fiume è il primo baluardo fisico che esiste tra il confine dell'Austria-Ungheria e il cuore della Pianura Padana, che non può assolutamente essere raggiunto da un'armata nemica, pena la sconfitta del paese.

Da lì a una decina di anni, l'assetto del Regno cambia profondamente, perché nel 1882, Italia e Austria-Ungheria entrano nella Triplice alleanza, che è anch'essa minata da una profonda sfiducia. Se noi esaminiamo la pianificazione strategica dello stato italiano, scopriamo che l'Italia si tiene pronta in modo abbastanza rocambolesco e contraddittorio per combattere due possibili guerre: una contro la Francia sulla frontiera alpina e una contro l'Austria-Ungheria nella pianura friulana.

Grazie allo studio della geografia militare di quelle regioni alla fine dell'Ottocento, sappiamo che il Tagliamento viene identificato come la linea difensiva in cui l'esercito dovrà attestarsi in caso di guerra contro l'Austria. Sarà là che bisognerà impedire alle truppe asburgiche di sfondare la pianura padana, ed è lì che si bloccheranno i reggimenti di fanteria. Il grosso dell'esercito italiano si concentrava sulla linea di difesa utile: il Tagliamento. In caso di guerra, si considerava quindi l'ipotesi di abbandonare la stesa Udine, pur di difendere la Pianura Padana.

Nel 1914, scoppia il primo conflitto mondiale e c'è da aspettarsi che l'Italia combatta a fianco dell'Austria-Ungheria. Il governo italiano decide inizialmente di dichiarare neutralità ma questo sarà solo uno status provvisorio, perché c'è una robusta minoranza che detiene in quel momento le leve del potere che è invece convinta di un ingresso in guerra contro i vecchi alleati.

Pensando a una guerra contro Austria-Ungheria, si parla di fiumi e non di montagne perché in quegli anni si riteneva che le guerre non dovessero essere combattute in montagna, ma in pianura. Le montagne occupano però la gran parte del segmento di frontiera tra Austria-Ungheria e Italia. Solo una piccola parte di quel confine è pianeggiante, ed è segnata da un altro fiume che entra nella storia della toponomastica e nell'immaginario degli italiani: l'Isonzo.

Nel 1915 i piani italiani vengono rivoluzionati, e tutto ciò che era stato pensato per funzionare attorno all'asse del Tagliamento, viene spostato verso est, sull'Isonzo. Il generale Luigi Cadorna pianifica una guerra di aggressione, che è un unicum nella storia italiana. A quel punto, il Tagliamento esce momentaneamente ma drasticamente dall'immaginario, dalle raffigurazioni e dai radar della storia per due anni, perché è l'Isonzo il nuovo protagonista invocato, e anche maledetto, dell'immaginario di quegli anni. È quello il luogo dove muoiono gli italiani al fronte, e dove le famiglie si immaginano galleggiare i cadaveri dei loro cari. È il luogo dell'eroismo, del sacrifico, e anche della lirica, quando Ungaretti gli dedica la poesia I fiumi.

La breve epopea del fiume Tagliamento sembra essere finita, ma questo non è del tutto corretto. Infatti, nella sua smania di attaccare, l'esercito italiano incorre in una rovinosa sorpresa strategica, che è la battaglia di Caporetto. Negli ultimi giorni dell'ottobre del 1917, il dispositivo militare italiano arroccato lungo la linea dell'Isonzo viene sorpreso da una brillantissima offensiva strategica congiunta, condotta da forze austroungariche e tedesche dislocate sulla frontiera italiana. Le linee militari italiane vengono infrante e l'esercito è costretto a una rovinosa ritirata.

Un dettaglio che pochi si ricordano è che il primo piano dell'offensiva austro-tedesca in realtà non prevedeva di arrivare fino al Piave ma, nel migliore dei casi, fino al Tagliamento. Come capita spesso nella pianificazione militare tedesca che, al contrario di quella italiana è molto elastica, i piani vengono aggiustati durante l'offensiva. Le truppe austro-tedesche si aprono allora la strada fino a un altro fiume: il Piave.

Cadorna allora cerca di costituire una linea difensiva arretrata sul Tagliamento. Per alcuni giorni, la resistenza sulla linea del Tagliamento viene venduta al pubblico degli italiani come la possibilità di impedire che il nemico irrompa nel cuore della pianura. A 100 anni di distanza, questo può sembrare irrilevante, ma da un punto di vista psicologico e strategico è particolarmente importante, perché se il nemico fosse stato arrestato al Tagliamento, si sarebbe impedito agli austroungarici e ai tedeschi di invadere tutta la parte orientale del Veneto, e di impedire una delle più violente e ciniche occupazioni che la storia dell'Europa contemporanee ricorda.

La linea del Tagliamento diventa quindi, per alcuni giorni, la nuova speranza degli italiani, e questo fiume viene catapultato di nuovo agli onori della cronaca. Questo però dura poco: la ritirata dell'esercito italiano è infatti molto caotica, perché Cadorna non aveva mai preparato dei piani per una ritirata ordinata e aveva in mente solo la guerra di aggressione che stava conducendo. Perciò, quando i resti delle divisioni italiane arrivano al Tagliamento e cercano di difendersi disperatamente, si scopre che non era stato preparato niente. Alcune divisioni si attestano sulla linea del Tagliamento e vengono sacrificate quasi interamente per permettere alle altre truppe di ritirarsi. Dopodiché, in alcuni casi, divisioni, brigate, reggimenti e battaglioni sopravvissuti in quello che è ormai un esercito allo sbando, si vendono far saltare i ponti dopo le loro spalle.

Tutto ciò dura meno di una settimana, ma in quei giorni il Tagliamento diventa di nuovo un luogo dell'immaginario, e come tale un luogo della memoria degli italiani. Poi viene superato, messo in disparte, perché cede di nuovo la sua fama a un nuovo fiume baluardo: il Piave. Il Tagliamento esce di nuovo dai radar dell'opinione pubblica e dopo la conferenza di pace del 1919, il Tagliamento non è più un fiume di frontiera, né segna una linea militare. Esce così definitamente dalla storia politica e culturale italiana, e anche da quella delle relazioni internazionali e delle guerre.

È un po' una fine ingloriosa di quello che per tanti anni era stato l'asse delle fortune e delle sfortune del regno, ma tutto sommato è anche un destino che permette al Tagliamento di rioccupare un ruolo più pacificato, anche se decisamente meno importante. L'elemento più caratteristico da questo punto di vista è che nella toponomastica italiana, che in questo caso è il segno più tangibile dei luoghi della memoria, ovvero di quegli ancoraggi della memoria collettiva che costruiscono il nostro immaginario, la nostra percezione del passato e la nostra identità, il nome del Tagliamento compia molto più raramente di altri. Una via Isonzo o una via Piave si vedono spesso nelle città, ma una via Tagliamento è più difficile trovarla”.

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