SCIENZA E RICERCA

Uno studio rivela i colori degli insetti estinti conservati nell'ambra

Già 99 milioni di anni fa, vespe e mosche sfoggiavano riflessi iridescenti blu e verdi. Sono ben 35 i fossili di insetti, tutti conservati nell’ambra, ritrovati in una miniera nel nord del Myanmar: un piccolo tesoretto che getta nuova luce sulla vita di questi animali che hanno condiviso le foreste pluviali del Cretaceo con i dinosauri. Conoscere la colorazione degli animali estinti è tutt’altro che banale ed è un tassello fondamentale per comprendere gli ecosistemi del passato, come spiega sui Proceedings of the Royal Society B il gruppo di ricerca dell’Istituto di geologia e paleontologia di Nanchino, dell’Accademia cinese delle scienze (NIGPAS). 

La rara serie di fossili – che si è conquistata la copertina della rivista – comprende soprattutto vespe, un coleottero dalle cromie blu e viola, e una mosca verde scuro metallizzato: un dittero della famiglia degli Stratiomidi, che attualmente comprende circa 1500-2000 specie. A farla da padrone, dicevamo, sono le vespe Crisìdidi, dette anche vespe cuculo. Le tonalità iridescenti verde smeraldo, verde-bluastro e blu-violacei presenti su zampe, testa, torace e addome sono «incredibilmente simili per colore e pattern alle moderne vespe Crisìdi» come spiegato da Chenyang Cai, primo autore dello studio. Un arcobaleno straordinario che si è conservato indenne nell’ambra per 99 milioni di anni.

Di solito, infatti, siamo abituati a una visione monocromatica del passato. Scheletri e gusci calcarei non ci danno indicazioni in tal senso, perciò la maggior parte delle ricostruzioni sono affidate all’immaginazione dei paleoartisti. Spesso neanche l’ambra aiuta. E se la conservazione del colore in questi esemplari è straordinaria, è per un solo motivo… minuscolo. Anzi nanometrico: il colore di questi insetti è un colore strutturale. Cioè non è dovuto alla presenza di un pigmento, ma alla nanostruttura del loro esoscheletro. E quindi al modo in cui la superficie stessa della “corazza” di questi insetti riflette la luce secondo diverse lunghezze d’onda, che danno vita ai riflessi metallici. 

Per arrivare a questa conclusione, i ricercatori del NIGPAS guidati da Chenyang Cai, hanno prima lucidato l’ambra con diversi tipi di carta vetrata e polvere di diatomite, per avvicinarsi il più possibile ai fossili senza danneggiarli. Poi hanno tagliato con una lama diamantata delle sezioni di 70 nm di spessore da due fossili di vespe e le hanno analizzate al microscopio elettronico a scansione. Proprio quest’ultima analisi ha permesso di capire che l’esoscheletro delle vespe fossili è formato da una superficie esterna liscia che sovrasta 5 strati alternati che presentano microstrutture differenti. La nanostruttura dell’esoscheletro dunque riflette la luce a lunghezze d’onda specifiche, producendo quei colori intensi e iridescensi immortalati nell’ambra. In particolare le lunghezze d’onda riflesse a 514 nanometri corrispondevano al colore verde-bluastro. 

Il team ha poi paragonato questi fossili ad altri, sempre conservati in ambra, ma in cui il colore era sbiadito e gli insetti risultavano neri-brunastri. E ha scoperto che in questi casi la nanostruttura dell’esoscheletro è stata gravemente danneggiata, tanto da cancellare il colore. Ai 35 reperti trovati in Myanmar invece pare sia andata molto meglio: gli insetti sono rimasti intrappolati nella densa resina prodotta dalle conifere che crescevano nella foresta pluviale tropicale del Myanmar nell’età d’oro dei dinosauri, nel bel mezzo del Cretaceo. E si sono conservati alla perfezione per 99 milioni di anni, senza conseguenze.

Dunque i colori conservati nell’ambra di questi 35 fossili potrebbero essere esattamente gli stessi di quelli sfoggiati nel Cretaceo da questi insetti. Ma a cosa servivano?

Oggi sappiamo che ogni colore ha il suo perché in natura: servono per mimetizzarsi e nascondersi dai predatori, o per avvertirli della propria tossicità o pericolosità, per mantenere la giusta temperatura o attrarre i potenziali compagni. Per questo comprendere la colorazione degli animali estinti può aiutarci a far luce sul loro comportamento e sulla loro ecologia. 

Ebbene le vespe cuculo del Cretaceo potrebbero aver evoluto queste colorazioni per mimetizzarsi meglio. Le vespe cuculo di oggi, come suggerisce il loro nome, sono vespe parassite che depongono le loro uova nei nidi di altri imenotteri. E in questi casi la livrea gioca un ruolo fondamentale: serve per non farsi riconoscere subito. Perciò è probabile che anche il colore delle vespe cuculo del Cretaceo rappresentasse un adattamento per evitare il rilevamento da parte degli ospiti parassitati. Anche se al momento non si possono escludere altre funzioni, come la termoregolazione.

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