CULTURA

Con Taibo II riscopriamo i lettori nelle Americhe dal Rio Bravo al Polo sud/2

Da quasi cinquanta anni, Taibo II risulta uno degli scrittori messicani più noti al mondo.

Iniziò nel 1976 con la serie gialla di Héctor Belascoarán Shayne. Inizia con la Genesi e finisce con il pianto desolato e un’esclamazione colorita sulla solitudine del protagonista la prima (Días de combate, Giorni di battaglia) delle finora dieci avventure del protagonista fino al 2012 (tutte tradotte in italiano con vari editori, con continuità grazie a una felice intuizione di Marco Tropea negli anni Ottanta), fra l’altro morto nella terza e risorto nella quinta. Nato nel 1944 (cinque anni prima dell’autore), figlio maggiore (una sorella Elisa, reduce da un divorzio, un fratello Carlos, impegnato a sinistra) di José, capitano di marina basco, socialista rivoluzionario in esilio in Messico e vicedirettore di una casa editrice, morto da qualche anno, e di Shirley, competente cantante folk irlandese, a fine vita, Héctor fino a trent’anni aveva fatto l’ingegnere supervisore alla General Electric di Città del Messico e il marito. Poi, d’improvviso, lascia il lavoro, si allontana dalla moglie Claudia, affitta un ufficio da detective (coabitandovi prima con un idraulico, poi anche con un tappezziere e un ingegnere che si occupa di fogne), studia serialkillerologia vincendo sessantaquattro mila pesos al quiz di Televisa, prende un diploma per corrispondenza e si getta per le strade (con una 38 sotto l’ascella) alla ricerca del Cervelo che ha strangolato dodici donne in due mesi. 

Il doppio cognome Belascoarán Shayne deriva dai genitori spagnolo-irlandesi. Héctor vi tiene moltissimo, lui è bruttino (i casi lo renderanno inoltre orbo da un occhio e claudicante per un chiodo nella gamba zoppa) e pieno di cicatrici in corpo e spirito; politicamente marxista esistenziale e anarcoide, fuma Delicados con filtro, beve cola, indossa un impermeabile di gabardine; riesce a fare poco sesso (rimanda comunque a una fidanzata “fantasma” con la coda di cavallo), ingurgita tacos e donas, va spesso al cinema per pensare, dorme sempre pochissimo ma appagato (insonne per amore). Il fresco disincantato colto Taibo II iniziò così a giocare con il genere giallo (o negro che dir si voglia) e a scherzare con gli appassionati, narrando i simpatici tic noir in prima e terza persona, ammaliando meravigliosamente i lettori. In pochi anni vinse tre premi Hammett, vendendo poi un milione di copie del tenero testo su Che Guevara (Senza perdere la tenerezza, Il Saggiatore 2017, oltre trecento mila copie vendute solo in Italia).

Alla semana negra non si vince altro che la gloria: niente soldi, niente targhe, niente statuette

La vena narrativa è ben presto apparsa fertile e inesauribile con quasi una quindicina di altri romanzi dal 1982 (alcuni splendidi, perlopiù tradotti), circa una decina di saggi e biografie dalla fine degli anni Ottanta, ricchi di humour e ritmo (dal Che a Pancho Villa, da Tony Guiteras a Sandokan e alla battaglia di Alamo), oltre a tante scritture no fiction e collaborazioni di ogni tipo dal 1971 (molte opere non tradotte di tutti i generi), a migliaia di articoli, a direzioni di raccolte e riviste, ad apparizioni in forbite teleconferenze e a divertenti presentazioni pubbliche (spesso anche in Italia). Per capire meglio la poliedrica cosmopolita personalità di Taibo II bisogna sapere che per oltre trent’anni dal 1988 al 2019 ha diretto il più grande festival di genere giallo noir in Europa. Una volta gli domandai quanti aerei avesse preso nell’anno procedente, rispose con precisione: “Ottantasei da luglio 2009 a luglio 2010, sto fuori casa (e scrittura) metà di ogni anno. Troppo.”

Ormai siamo alle nozze d’oro: da 49 anni a luglio si svolge a Gijon nelle Asturie una manifestazione denominata Semana Negra, SN. Quando vi partecipai nel 2010, partimmo con la tribù del Tren Negro il venerdì mattina da Madrid, arrivammo nel pomeriggio e tornammo indietro dopo il fine settimana successivo, vivendo in patria (loro) l’apoteosi spagnola dei mondiali di calcio. Indimenticabile! Ogni anno partecipano quasi duecento scrittori da almeno dieci differenti paesi, quelli dell’idioma (spagnoli, messicani, uruguaiani, argentini, peruviani, cubani, colombiani) ma anche “ospiti” (americani, francesi, inglesi, greci, pure italiani, spesso e tanti), perlopiù già tradotti all’estero (successo o caso). Agli appassionati, leggerli incontrarli ascoltarli fa proprio piacere. A loro, incrociarsi fa un gran bene: affinano personaggi, scoprono affinità, valutano percorsi, avviano collaborazioni. Proprio alla SN vi fu decenni fa per esempio il primo incontro fra Carlo Lucarelli e Manuel Vàzquez Montalbàn (Barcellona, 14 luglio 1939 - Bangkok, 18 ottobre 2003), altro amico “anziano” di Taibo II, nome tutelare della manifestazione asturiana come della colta alta letteratura gialla (o negra) di fine Novecento (a me capitò di intervistarlo nel 1987 a Cattolica), all’origine ovviamente pure dell’amatissimo commissario di Camilleri.

Alla Semana Negra non c’è catalogo, non si trovano libri gratis. Né si percepiscono rivalità, nemmeno fra i finalisti dei premi per opere originali in castellano. Molti dichiarano che gli scrittori “sanno” chi vale, chi quell’anno ha fatto meglio e chi non è stato all’altezza di altre prove. E così i riconoscimenti vengono assegnati da ristrette giurie di autori sulla base di una selezione ampissima di testi segnalati innanzitutto da altri autori. A Gijon non si vince altro che la gloria: niente soldi, niente targhe, niente statuette. Fra i vari prestigiosi riconoscimenti segnalo il premio Hammett (il più antico e ambito), il premio Celsius (fantascienza e dintorni), il premio Espartaco (romanzo storico), il premio Rodolfo Walsh (no fiction criminale), il memorial Silverio Cañada (esordio di “novela negra”), il premio del Direttore e quello del direttore del giornale speciale della manifestazione Quemarropa, che nel 2010 era Angel de la Calle.

Proprio Angel (Salamanca, 1958), disegnatore e fumettista (con studi noti anche in Italia su Tina Modotti e Hugo Pratt), nessun romanzo di fiction, da sempre subcomandante della SN, ora da quattro anni ha assunto il ruolo di direttore (ovvero da quando Taibo II ha assunto il suo nuovo incarico ministeriale in Messico). La manifestazione ha avuto sempre da regista fuori inquadratura Paloma, la moglie di Paco e ha cambiato varie volte sedi e struttura, in realtà si tratta di un happening, di una fiera, di una festa.

La manifestazione è un diversivo e un divertimento, l’identità politico culturale un punto fermo

Nel 2010 SN si svolse nel grande parco urbano, direzione e organizzatori affittarono spazi nel “recinto” per tende, esposizioni, promozioni, divertimenti, classici “non luoghi” quasi universali. Trovavate la ruota gigante e la casa degli specchi, il galeone che oscilla e altre diavolerie meccaniche, la pesca e i fucili ad aria compressa. Trovavate i baracchini dei negozi locali di occhiali cappelli e oggetti da regalo, come le bancarelle di extracomunitari eguali in tutt’Europa. Trovavate bar e ristoranti, di tutti i tipi e gusti, qualità non sempre eccelsa, prezzo molto contenuto. Trovavate spazi di editori e librai (gli unici a non pagare l’affitto!), libri a buon mercato di ogni genere, collane gialle e nere, le rassegne bibliografiche degli autori presenti (pronti a firmare la copia), 34 mila volumi furono venduti nel 2010! E poi gli sponsor con attività specifiche e i veri “luoghi” della manifestazione: il grande tendone dei dibattiti (Carpa del Encuentro, con bar), lì fuori riproduzioni di eroi (come Batman) in mezzo a sedie e ombrelloni per chiacchierare, strutture che ospitavano mostre fotografiche o appositamente realizzate (nel 2010: fotogiornalismo, soldatini di piombo, pezzi archeologici messicani, fumetto cult), una sala adattabile alla visione di film (retrospettive, sapendo che il cinema non è una priorità), gli uffici.

Alla SN c’è sempre gente a tutte le ore, per ogni pizzo, con ogni tipo d’interesse (spesso la spiaggia è vicina). Il “negro” non c’entra. Famiglie con bimbi che non hanno mai letto nulla, comitive di ragazzi richiamati dall’allegra confusione, persone che cercano i soliti venditori ambulanti, gruppi che escono a mangiare, professionisti e mestieranti bisognosi di clienti o pubblico. Una marea di gente, quasi novecento mila visitatori stimati per esempio nel 2010. Ogni mattina esce il periodico di quattro “lenzuoli” con il programma del giorno. Un paio di volte vengono distribuiti libri editi per l’occasione. Le attività della manifestazione sono concentrate dalle cinque del pomeriggio a mezzanotte, perlopiù presentazioni di autori, a raffica, a ripetizione, uno ogni mezz’ora nel tendone e almeno in un’altra sala, uno per volta (il grande, l’autore con la novità) o in tavole rotonde a tema. Musica dal vivo dopo le 22. Taibo II partecipa anche ora, non è più direttore ma c’è sempre, presenta in contemporanea diversi libri autori inaugurazioni, talvolta apre chiude interrompe modera domanda risponde scompare, di rado delega ai due sosia del passato (che nessuno ha mai incontrato). 

Il vero Paco Ignacio Taibo II ha la sigaretta accesa (non la stessa) e la maglietta spot (forse sempre la stessa), un paio di libri in tasca, fa tutto: sposta sedie, carica casse di volumi, rilascia interviste, interloquisce con chi parla inglese, ricorda orari, urla annunci, cerca i collaboratori per condividere impegni. La figlia Marina, fotografa e artista, è stata sempre la sodale “spalla” del direttore per tutta la preparazione (quasi due mesi) e la durata della manifestazione. Basta uno sguardo e lei capisce, accorre, sostituisce. Era già la piccola colta interprete quando quelli dell’AIEP (gli autori di gialli nel mondo) inventarono la Semana: portare la “cultura” sulla “strada”, radicandola nella città natale di Paco. Tirano avanti con pochi soldi (nel 2010 costava meno di un milione di dollari) e gran parte di volontariato. Un trenino apposito e un ottimo servizio tram collegano con il centro (dove non mancano iniziative collaterali). 

Taibo II è ancora solida garanzia di fama e clamore, la manifestazione è un diversivo e un divertimento, l’identità politico culturale un punto fermo: la Disneyland dei rossi, fra Gramsci e il Che, passione e tenerezza per entrambi (anche se il primo sapeva le lingue, meglio russo e tedesco, e il secondo non vollero imprigionarlo per venti anni). C’è così un filo unitario nel mezzo secolo di scrittura militante di Paco Taibo II: entrare in sintonia con i cittadini attraverso parole condivise, allargando le platee attive dei lettori (e degli scrittori), mai settarie e autoreferenziali.

Puoi leggere la prima parte di questo articolo su Paco Taibo II qui:

Con Taibo II riscopriamo i lettori nelle Americhe dal Rio Bravo al Polo sud/1

 

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