SOCIETÀ

Un anno di guerra

Il 24 febbraio di un anno fa iniziava ufficialmente l’“operazione militare speciale”, ovvero la guerra di invasione portata avanti dal presidente russo Vladimir Vladimirovič Putin contro l’Ucraina. Dopo 12 mesi e decine di migliaia tra morti e feriti (i numeri precisi sono ancora avvolti dalla nebbia di guerra), milioni di sfollati e un Paese devastato, ci si interroga sulle prospettive di una guerra che in pochi all’epoca si immaginavano sarebbe durata più di qualche settimana, e della quale invece non si vede al momento la fine. Ne parliamo con Niccolò Pianciola, docente dell’università di Padova specializzato in storia dell’Urss e dell’Asia Centrale e co-curatore assieme allo slavista dell’università di Padova Alessandro Catalano e a Marcello Flores del libro Guerra globale. Il conflitto russo-ucraino e l’ordine internazionale.

Professor Pianciola, a un anno di distanza qual è la situazione? Chi sta vincendo e chi sta perdendo?

“Non sono un esperto militare ma è sotto gli occhi di tutti che gli ucraini hanno vinto la guerra che Putin pensava di fare all'inizio, che nelle sue idee doveva essere una marcia di conquista dell'Ucraina con l’eliminazione delle autorità legittime e la loro sostituzione con un governo fantoccio sottomesso alla volontà di Mosca. Allo stesso tempo però gli ucraini non sembrano al momento in grado di arrivare alla vittoria che vorrebbero, ovvero agli obiettivi dichiarati dal presidente Zelens’kij: il respingimento dei russi fino ai confini precedenti al 2014, con la riconquista della Crimea e di tutto il Donbas, l’imputazione per crimini di guerra di Putin e dei suoi collaboratori davanti a un tribunale internazionale e il pagamento da parte della Russia delle riparazioni per ricostruire il Paese. Obiettivi ovviamente molto lontani e difficili da raggiungere: bisognerebbe che cadesse l’attuale regime russo e che in qualche modo il nuovo consegnasse Putin, così come è accaduto con il presidente serbo Milošević dopo le guerre nella ex-Jugoslavia. Inoltre, se è vero che la Russia non sta raggiungendo i suoi scopi iniziali, e che nell’offensiva che è in corso guadagna terreno solo a prezzo di un’enorme fatica e di migliaia di morti, è altrettanto vero che la guerra si combatte sul suolo dell’Ucraina e che quindi sono i civili, le città e le infrastrutture ucraine a soffrirne, non quelle russe. La soluzione del conflitto non appare purtroppo facile né vicina”.


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Come è cambiato il mondo in questi 12 mesi?

“Naturalmente in peggio, per tutta una serie di ragioni spesso ricordate da numerosi analisti. La Nato invece di indebolirsi si è rafforzata, con Paesi che avevano una lunga tradizione neutralista come la Svezia e la Finlandia che hanno chiesto di entrare, e Stati Uniti e Unione Europea che hanno fatto fronte comune, con poche marginali eccezioni (penso all’Ungheria di Orbán). Certo questo potrebbe cambiare con una eventuale elezione di Trump nel novembre 2024. Quanto alla Russia, in futuro è probabile che si trovi sempre più a gravitare intorno la Cina dal punto di vista economico. L’aggressione all’Ucraina ha poi reso la Russia più debole in altre aree, come sembra dimostrare la virulenza della guerra di frontiera tra Tagikistan e Kirghizistan combattuta l’anno scorso. Entrambi i Paesi sono membri della Organizzazione del Trattato sulla Sicurezza Collettiva, l’alleanza militare a guida russa. Quello che è certo è che quando la guerra finirà – quasi sicuramente con un armistizio e non con una vera pace – Russia e Unione Europea si troveranno ad essere due realtà confinanti nemiche e armate l’una contro l’altra, indipendentemente dal fatto che l’Ucraina riesca in tempi brevi ad entrare nell’UE. Questa sarà una configurazione nuova, con conseguenze di medio-lungo periodo sulle politiche militari degli Stati membri e sugli equilibri all’interno dell’Unione Europea, soprattutto in relazione all’importanza strategica degli Stati orientali, in primis la Polonia e gli Stati Baltici”.

Dal punto di vista economico alcune delle previsioni più catastrofiche da entrambe le parti appaiono oggi sostanzialmente smentite dai fatti.

“Putin credeva di avere una leva di pressione molto forte negli idrocarburi, ma in maniera piuttosto sorprendente gli europei sono riusciti a riorientare le loro forniture abbastanza in fretta. Allo stesso tempo l’economia russa non è crollata come avevano predetto molti analisti, che forse non tenevano nel dovuto conto il fatto che gli Stati che hanno imposto le sanzioni a Mosca non hanno più il peso di un tempo nell’economia mondiale. Bisogna anche considerare che non tutti i membri della Nato hanno coerentemente applicato le sanzioni: mi riferisco soprattutto alla Turchia, da cui pare che passi oggi una parte dell'interscambio commerciale che una volta si svolgeva direttamente tra Russia ed Unione Europea”.

Europei e americani al momento sembrano compatti al fianco dell'Ucraina: il problema, come abbiamo visto in questi mesi, è che l’Occidente dà armi in maniera lenta e scaglionata

Oggi ciascuna delle due parti si dichiara pronta ad andare avanti fino alla fine, ma da entrambe emergono anche segni di stanchezza. Chi cederà per primo?

“Europei e americani al momento sembrano compatti al fianco dell'Ucraina: il problema, come abbiamo visto in questi mesi, è che l’Occidente dà armi all'Ucraina in maniera lenta e scaglionata. Inizialmente i governi di parte dei Paesi dell’Europa continentale prevedevano che la Russia avrebbe vinto in fretta e non si voleva prolungare il conflitto, contando poi di continuare a fare affari con Mosca. Quando è risultato chiaro che, grazie al coraggio e al valore della resistenza ucraina, Putin non avrebbe conquistato il Paese, uno dei fattori più importanti nella gradualità degli aiuti militari occidentali è diventato il timore di un’escalation da parte di Mosca, con il possibile uso di armi nucleari. La decisione di usarle sarebbe folle da parte di Putin, ma del resto anche la decisione di invadere l’Ucraina è stata irrazionale, e l’escalation non può essere esclusa. Dunque, il tipo e la quantità degli aiuti militari sono risultati sufficienti per permettere agli ucraini di ricacciare indietro i russi in molti settori del fronte e riconquistare il 40-50% dei territori persi dopo il 24 febbraio 2022, ma non abbastanza da permettere una vittoria decisiva che mettesse ad esempio in pericolo la regione più strategica per Mosca tra quelle conquistate, la Crimea. Questo è il trade-off: meno rischi di un’escalation, ma impossibilità per gli ucraini di arrivare a vittorie decisive”.

Al momento chi è in posizione di vantaggio?

“Zelens’kij sa bene che il tempo gioca a favore della Russia. Anche per questo ha continuato a spingere per l’invio di armamenti più letali anche dopo le vittorie ucraine degli scorsi mesi. Dal punto di vista delle scorte sia di armamenti (per quanto piuttosto obsoleti rispetto a quelli occidentali), sia di potenziali reclute la Russia è infatti avvantaggiata sul medio-lungo periodo. Considerato questo, dato il tipo di regime che Putin ha consolidato in Russia e assodata la sua disponibilità a sacrificare centinaia di migliaia di vite di cittadini russi (per non parlare naturalmente degli ucraini) in questa guerra insensata, non si vede quale altro incentivo potrebbe avere il presidente russo per sedersi a un futuro tavolo delle trattative, se non quello di evitare una disfatta militare che ne minerebbe la legittimità agli occhi della classe dirigente russa da lui dominata. Per questo il sostegno all’Ucraina da parte di Stati Uniti e Unione Europea è così cruciale”.

Come valuta le ultime mosse di Usa e Cina con le visite a Kiyv e a Mosca? C’è il rischio di un allargamento del conflitto oppure le due superpotenze potrebbero spingere i loro partner verso una soluzione negoziale?

“È curioso come spesso si senta invocare, in particolare da chi si definisce pacifista, un accordo diretto tra Pechino e Washington per porre fine alle ostilità, dimenticando però che non c’è equivalenza relativamente all’influenza di Cina e Stati Uniti rispettivamente su Russia e Ucraina. L'Ucraina dipende ormai economicamente e militarmente dalla Nato e dagli Stati Uniti per poter continuare a combattere sul medio-lungo periodo, mentre Pechino non ha assolutamente lo stesso potere su Mosca: può certamente sostenere l’economia russa in vari modi, ma è improbabile che aiuti militarmente Putin perché non vuole essere colpita dalle sanzioni occidentali. Xi Jinping non può quindi fermare l’invasione, né far smettere i russi di comprare droni iraniani o di usare il loro arsenale sovietico, che per quanto arrugginito permetterà loro di continuare a combattere ancora a lungo”.

Quali sono a suo modo di vedere i prossimi passaggi diplomatici e militari a cui prestare attenzione?

“Ci sono preoccupanti segnali che la Russia punti a destabilizzare la Moldavia per aprire un altro fronte di crisi. Se questo accadrà, e in che termini, lo vedremo nei prossimi mesi. Dal punto di vista militare, bisognerà vedere come andranno sul campo l'offensiva russa che è già iniziata e la resistenza e le potenziali controffensive ucraine. Immagino che molto dipenderà da quanto in fretta gli ucraini riusciranno a integrare nei loro sistemi di difesa gli armamenti che riceveranno dalla Nato, soprattutto i carrarmati e in prospettiva anche gli aerei. Su questo si giocherà moltissimo, dato che come dicevo al momento non è in vista una soluzione pacifica. Più che alla diplomazia, che appare ancora in stallo dati gli scarsi incentivi per Putin di cercare una via d’uscita dal conflitto, sul breve periodo bisognerà quindi ancora guardare al campo di battaglia. Se il regime russo tiene, come sembra, credo che una soluzione realistica potrebbe essere una vittoria militare decisiva Ucraina che obblighi Putin ad accettare un armistizio e un congelamento della situazione sul terreno, con la divisione dell’Ucraina pre-2014 tra un’area (quanto più piccola possibile) annessa alla Russia, e un’Ucraina indipendente e membro dell’Unione Europea. Questo è quanto lo storico Stephen Kotkin, in una bella intervista recente al New Yorker, definisce il tipo di vittoria che possiamo realisticamente augurarci per l’Ucraina. È per tutte queste ragioni che dobbiamo continuare a sostenere la resistenza dell'Ucraina all'invasione, inviando armamenti che le permettano di liberare altri territori che la Russia le ha sottratto".

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