SCIENZA E RICERCA

Un'alga minaccia i ghiacciai alpini e li tinge di rosso

Minacciati dalle conseguenze dei cambiamenti climatici che ne stanno provocando lo scioglimento, i ghiacciai sono sotto pressione anche a causa della presenza di un'alga che, facendo acquisire alle superfici una colorazione rossastra, ne diminuisce l'efficacia riflettente e aumenta l'assorbimento della radiazione solare, velocizzando di conseguenza la fusione dei neve e ghiaccio. Dopo essere stato osservato in Groenlandia, il fenomeno dei ghiacciai che si tingono di porpora si è manifestato, seppure su scala molto più ridotta, anche in Europa e precisamente in Engadina, sulle Alpi svizzere, ed è stato studiato da un team di ricercatori dell'università Milano-Bicocca che ha condotto diverse analisi, sia a livello di sequenziamento di DNA per comprendere quali specie di alghe fossero coinvolte nel processo, sia in termini di spettrografia per rilevare la correlazione tra la concentrazione di alghe e le modifiche nell'assorbimento dei raggi solari. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports e ha approfondito il ruolo di questi organismi, in particolare le alghe della specie Ancylonema nordenskioeldii, nel determinare il processo di "bio-albedo feedback" che provoca il mutamento del colore del ghiaccio e indebolisce le sue barriere davanti all'effetto del sole. 

Per approfondire i contenuti dello studio e l'impatto che queste alghe possono esercitare sui ghiacciai già messi a rischio dall'innalzamento delle temperature e dalla diminuzione delle precipitazioni nevose, abbiamo intervistato Biagio Di Mauro, ricercatore del dipartimento di Scienze dell'ambiente e della terra dell'università di Milano-Bicocca e primo autore della ricerca. 

L'intervista a Biagio Di Mauro, ricercatore dell'università Milano-Bicocca e primo autore dello studio dedicato alla presenza e all'impatto delle alghe sui ghiacciai alpini. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

"Camminando sul ghiacciaio - spiega Biagio Di Mauro - ci siamo resi conto che la superificie aveva una colorazione porpora: noi siamo interessati all’ottica del ghiaccio, quindi a come il ghiaccio riflette la luce e come questo impatta sulla fusione, perché chiaramente un ghiaccio più scuro è un ghiaccio che sta assorbendo più radiazione e sta fondendo più rapidamente. Quello che studiamo sono i meccanismi, sia naturali che legati all’uomo, che influenzano questo aspetto. Per quanto riguarda le alghe noi abbiamo campionato il ghiaccio superficiale sul ghiacciaio del Morteratsch, in Engalina, l’abbiamo analizzato al microscopio ed è stato anche sequenziato il DNA per capire quali organismi fossero presenti. Oltre a questo abbiamo misurato con degli spettrometri la quantità di luce riflessa dal ghiaccio pulito e dal ghiaccio porpora. Quello che abbiamo visto è che effettivamente questa colorazione porpora diminuisce la radiazione riflessa dal ghiaccio, quindi aumenta l’assorbimento e aumenta la fusione. Ed è un meccanismo di feedback, cioè un ciclo di retroazione in cui un ghiacciaio più è scuro, più fonde e più si scurisce ulteriormente. Le alghe che abbiamo trovato sul ghiacciaio appartengono a diverse specie di alghe che fanno la fotosintesi come la vegetazione e la specie che ha destato più interesse è la Ancylonema nordenskioeldii, un’alga nota per la sua abbondanza sulla calotta groenlandese dove produce uno scurimento stagionale di una zona molto ampia di cento mila km quadrati, che viene chiamata dark zone, ed è stata recentemente studiata. Quello che abbiamo studiato è come questo fenomeno avviene alle nostre latitudini, cioè come il ghiacciaio si scurisce e quali sono le specie che influiscono su questo processo. La novità del nostro articolo è stata l’aver identificato un processo di feedback che in termini tecnici si chiama bio albedo feedback perché l’albedo è la quantità di luca riflessa da un oggetto e questa diminuzione di albedo è mediata dalla vita, ecco il riferimento al termine bio, e quindi la vita in forma algale cerca di diminuire l’albedo del ghiaccio per poter sopravvivere ad un ambiente estremo".

Il fatto che precedentemente queste alghe non fossero state studiate non implica che la loro presenza sia recente. Il cambiamento climatico le sta però facilitando. "Nelle scorse decadi - prosegue il ricercatore dell'università Milano-Bicocca - i ghiacciai ricevevano più precipitazioni nevose invernali, quindi rimanevano molto più coperti di neve. Gli organismi di cui stiamo parlando sono alghe glaciali che vivono esattamente sulla superficie del ghiaccio esposto, non sulla neve, quindi il fatto che faccia molto più caldo e ci siano meno precipitazioni invernali nevose comporta che ci sia meno neve e il ghiaccio sia esposto prima durante la stagione, quindi magari a giugno si vede già il ghiaccio scoperto. E questo è l’ambiente perfetto per le alghe per sopravvivere e riprodursi perché loro sono specializzate nel vivere su questa pellicola di acqua che si forma sul ghiaccio durante la stagione di fusione. Quindi probabilmente c’erano, ma erano in quantità minore e non avevano destato l’interesse dei glaciologi che mi hanno preceduto. Anche in Groenlandia è un processo nuovo che è stato studiato solo negli ultimi dieci anni".

Nei progetti futuri del team di scienziati della Bicocca c'è anche l'Antartide, oltre ad un approfondimento su quanto questa tipologia di alghe sia in grado di incidere sulla perdita di massa dei ghiacciai, anche per capire se sarà necessario inserire l'impatto di questi organismi nelle valutazioni sullo scioglimento degli ghiacciai. Le stime attualmente disponibili dipingono già un quadro allarmante per le Alpi dove, in mancanza di azioni di contrasto al cambiamento climatico, potrebbe scomparire più del 90% della superficie dei ghiacciai. 

 "I nostri studi continueranno - prosegue Biagio di Mauro - nel tentativo di mappare queste distribuzioni algali utilizzando dei droni, creando del modelli digitali del ghiaccio, cercando di stimare quindi la presenza di alghe per valutare che impatto hanno sui bilanci di massa a livello stagionale. Il nostro obiettivo è verificare se a fine stagione, in un’annata in cui c’è stata una maggiore presenza di alghe o una presenza più distribuita di alghe, questo ha avuto un effetto anche sul bilancio di massa e quindi il ghiacciaio ha davvero perso una quantità significativa di ghiaccio durante la stagione. Un altro aspetto della ricerca sarà studiare questo fenomeno in Antartide, nei pressi della stazione Mario Zucchelli. Qualche anno fa abbiamo scritto un progetto che è stato finanziato dal programma nazionale di ricerche in Antartide, saremo supportati dalla stazione Mario Zucchelli, e faremo le stesse analisi per cercare di capire se le stesse alghe riescono a vivere anche sul quel ghiacciaio, se ci sono delle diverse specie e quali sono le dinamiche che hanno luogo al polo Sud.

Le alghe non sono le uniche forme di vita presenti sui ghiacciai. "Ce ne sono diverse - conferma il ricercatore dell'università di Milano-Bicocca - per la maggior parte di tipo microbico e sono concentrate in delle strutture che si chiamano Cryoconite hole e sono dei buchetti, delle piccole pozze che si formano sul ghiaccio e contengono sia il sedimento minerale che arriva dall’atmosfera o dalle zone circostanti al ghiacciaio e anche materiale organico, quindi microrganismi che sono anche loro adattati per vivere in condizioni estreme. Questa crioconite è stata studiata ai poli, nelle diverse catene alpine in giro per il mondo ed è un oggetto di particolare interesse. Recentemente abbiamo pubblicato un altro articolo, insieme a un team di lavoro capitanato dal collega Giovanni Baccolo, ed è relativo ai risultati che abbiamo ottenuto andando a misurare la quantità di radioattività, in termini di radionuclidi, che sono stati immessi in atmosfera da test nucleari fatti dall’uomo tra gli anni '50 e gli anni '60, oppure da esplosioni come l’incidente di Chernobyl. Questa crioconite è in grado di trattenere non solo radionuclidi naturali, ma anche artificiali e di concentrarli fortemente. Infatti sulla superficie del ghiaccio abbiamo trovato delle concentrazioni anomale, molto alte, di radioattività".

Per concludere abbiamo chiesto a Biagio Di Mauro quale potrà essere l'impatto dello scioglimento dei ghiacciai in diverse aree del mondo. "Per le Alpi il problema principale è legato alla diminuzione delle precipitazioni nevose perché la fusione della neve ci fornisce acqua per l’irrigazione e per l’uso idroelettrico. Il fatto che non ci siano i ghiacciai è qualcosa che si somma alla scarsità delle precipitazioni nevose. Sulle Alpi l’effetto può essere contenuto nel senso che ci adatteremo sul lungo periodo a vivere su delle montagne che hanno sempre meno una componente di ghiaccio. Invece sulle calotte polari le conseguenze saranno maggiori perché dovete immaginare che entrambe le calotte polari al centro hanno due o tre chilometri di ghiaccio di spessore e una quantità di acqua dolce enorme. Quindi, sul lungo periodo, se questa acqua continuerà a fondere avremo un effetto molto forte sull’innalzamento dei mari.

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