CULTURA

Viaggio in Italia. Arquà Petrarca e il “giallo” dei resti del Poeta

Ad accogliere il visitatore ai piedi del piccolo borgo, è la tipica vegetazione dei colli Euganei che incornicia edifici di appartenenza medievale. Su tutti, al primo colpo d’occhio, svetta il campanile della chiesa di santa Maria Assunta, di poco posteriore all’anno Mille. Lasciata l’auto nel parcheggio che si incontra alla fine di Via Valli, si può scegliere di risalire dolcemente a piedi la via che conduce in paese o preferire la scalinata che porta più velocemente davanti alla chiesa arcipretale.

Arquà Petrarca lega il suo nome al celebre poeta che, nella seconda metà del Trecento, scelse questi luoghi per trascorrere gli ultimi anni della sua vita. L’insediamento sul territorio si colloca in realtà molto indietro nel tempo, se si considera che nei dintorni del laghetto della Costa, tra Arquà e Monselice, nel corso dell’Ottocento è stata rinvenuta una stazione preistorica risalente all’età del bronzo. In epoca medievale sull’altura fu costruito un castello abitato da Rodolfo Normanno – incendiato e distrutto nel Trecento durante la guerra tra Carraresi e Scaligeri – e proprio qui si sviluppò originariamente il villaggio che si snodava su due livelli intorno alla chiesa di santa Maria Assunta e, più in alto, all’oratorio della SS. Trinità. Dopo essere stata feudo dei marchesi d’Este, la località entrò nell’orbita politica di Padova e successivamente della Serenissima.

Giunti in cima alla scalinata, dicevamo, si scorge sulla sinistra proprio la chiesa di santa Maria Assunta. L’edificio, rispetto alla forma originaria, subì delle modifiche nei secoli XVII, XIX e XX, fino ad assumere l’attuale linea romanica. All’interno, ad un’unica navata e tetto con travatura a vista, cattura l’attenzione la grande pala dell’Assunta dietro l’altare maggiore, opera di Palma il Giovane. Altri affreschi di scuola veneto-bizantina e ulteriori risalenti al XV secolo di scuola post-giottesca furono scoperti durante i restauri dei primi del Novecento.

Nel 1374, proprio all’interno di questa chiesa, fu sepolto Francesco Petrarca, secondo le volontà che aveva manifestato nel suo testamento: “D’altra parte – scriveva –, non mi curo molto del luogo [della mia tumulazione], mi basta essere sepolto dovunque piacerà a Dio e a chi si farà carico di questa incombenza… In ogni caso, se viene espressamente richiesta la mia volontà… se… dovessi finire i miei giorni ad Arquà, dove si trova la mia casa di campagna, e Dio mi darà la grazia di costruire ivi una piccola cappella in onore della beatissima Vergine, cosa che tanto desidero, lì scelgo di essere sepolto; altrimenti più in basso, in altro luogo dignitoso accanto alla chiesa parrocchiale”. Il corpo non rimase sempre all’interno della chiesa: sei anni più tardi, nel 1380, il genero del poeta Francescuolo da Brossano fece traslare le spoglie in un’arca marmorea, sul sagrato antistante la chiesa.

Nel corso dei secoli l’arca che tuttora custodisce i resti di Petrarca fu riaperta, lecitamente o meno, in più occasioni, sia per la fama del cantore di Laura che spinse alcuni a trafugarne le ossa per conservarne qualche frammento, sia per ragioni di ordine scientifico o motivi di sicurezza. Così avvenne nel 1630, quando la tomba fu profanata e alcuni resti furono rubati, o nel 1842, quando invece le cattive condizioni in cui si trovava l’arca del poeta indussero a valutare un intervento di restauro con conseguente apertura del sacello, cui si diede corso anche 13 anni più tardi. Nel 1873 ebbe luogo, invece, il primo studio antropologico del corpo di Petrarca ad opera di Giovanni Canestrini, professore all’università di Padova. In quell’occasione, secondo quanto riportano lo stesso Canestrini e alcuni giornali dell’epoca, il cranio di Francesco Petrarca, esposto all’aria, andò incontro a frammentazione spontanea. Ciò non impedì, tuttavia, al docente di rilevare “abbastanza per ricostruire scientificamente” il cranio (Il Giornale di Padova, 8 dicembre 1873) e, grazie all’aiuto di un disegnatore e di uno scultore, di ottenerne un calco in gesso (o, meglio, un modello conforme all’originale).

E arriviamo al 1944, anno in cui la Soprintendenza dispose di trasferire i resti a Venezia, verosimilmente a palazzo Ducale, per proteggerli da eventuali danni di ordine bellico. L’anno successivo, al termine del conflitto, le ossa furono riportate a Padova, ricomposte nella Scuola di Anatomia dell’università e, nel 1946, ricollocate nella tomba di Arquà.

Se ci siamo dilungati su questi dettagli è perché, in realtà, il vero colpo di scena, il fatto attorno al quale aleggia ancora il mistero e che rimane sul piano delle ipotesi, accadde nel 2003. Allora Vito Terribile Wiel Marin, anatomo-patologo dell’università di Padova, avviò una ulteriore ricognizione del corpo del poeta, nel corso della quale si scoprì che il cranio conservato nell’arca marmorea non era maschile, ma apparteneva a una donna. Allora facevo parte del gruppo di ricerca e ricordo nitidamente il momento in cui l’antropologa Mariantonia Capitanio dette la notizia, confermata poi dall’esame del Dna antico. La scoperta ebbe risonanza mediatica internazionale.

Stabilire con certezza quando possa essere avvenuta la sostituzione del cranio è difficile e si possono fare solo supposizioni. Se alcuni studiosi  avanzano dubbi sull’operato di Giovanni Canestrini e collaboratori, altri invece argomentano che nel periodo 1944-46, i resti di Francesco Petrarca potrebbero essere stati maggiormente esposti ad eventuali sottrazioni.

Ma riprendiamo la nostra passeggiata proprio da qui. Lasciandoci alle spalle la chiesa di santa Maria Assunta e la tomba del poeta, una stretta viuzza - abbarbicata tra le abitazioni - conduce alla parte alta del paese. Qui s’incontra l’oratorio della ss. Trinità di cui si ha notizia a partire dal XII secolo, anche se probabilmente l’edificio era preesistente. Più volte modificato nel corso dei secoli, la struttura è di impianto romanico, ad un’unica navata e con travature scoperte. All’interno, il visitatore può apprezzare un altare ligneo seicentesco, una pala di Palma il Giovane che raffigura la Trinità e una grande tela che rappresenta la Città di Padova nell’atto di rendere omaggio a un vescovo martire. Nella chiesa è custodito, inoltre, il dipinto del veronese Giovanni Battista Pellizzari che raffigura La trasmissione del bastone di vicario che Antonio degli Oddi fa al successore Daniele degli Oddi, a testimoniare la secolare importanza della vicaria di Arquà.

A ridosso dell’oratorio si trova, per l’appunto, la loggia dei vicari con quella che un tempo era l’annessa casa, sede amministrativa della vicaria di Arquà durante il Medioevo e l'età veneziana. Qui avevano luogo le assemblee presiedute dal vicario, a cui partecipavano tutti i capifamiglia del luogo per prendere decisioni legate alla vita sociale, giuridica ed economica del territorio. Agli inizi dell’Ottocento la loggia rimase priva della copertura originaria, fino a quando nel 2003 il Comune di Arquà avviò un intervento di restauro che restituì all’edificio un tetto in rame e vetro.

A pochi minuti di cammino dalla loggia dei vicari, si trova la casa di Francesco Petrarca, donata al poeta da Francesco il Vecchio da Carrara, Signore di Padova. Nel 1374 l’edificio fu ereditato dal genero Francescuolo da Brossano, per poi passare nelle mani di alcune famiglie veneziane e infine, nella seconda metà dell’Ottocento al Comune di Padova, cui fu donata dall’ultimo proprietario, il cardinale Pietro Silvestri. Le modifiche più significative alla struttura furono apportate nel corso del Cinquecento da Pietro Paolo Valdezocco che fece costruire la loggetta in stile rinascimentale e la scala esterna, ma soprattutto commissionò degli affreschi che raffigurano scene tratte da alcune opere di Petrarca, come il Canzoniere, i Trionfi e l’Africa

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