SCIENZA E RICERCA

Violenza sociale e conflitto: figli soltanto dei cambiamenti climatici?

Che vi sia una correlazione tra condizioni ambientali avverse e aumento della violenza nelle società umane è quasi un’ovvietà. Sono numerosi, infatti, gli studi che mettono in luce l’esistenza di un chiaro rapporto di causalità tra fluttuazioni climatiche che creano un ambiente inospitale, come un lungo periodo di siccità, e lo scoppio di guerre tra gruppi umani vicini. Tutto sta nella disponibilità di risorse: quando, a causa di fattori ambientali, la quantità di risorse primarie si riduce in maniera drastica e repentina, la competizione aumenta e, di conseguenza, aumentano i conflitti.

Questa spiegazione, per quanto valida, potrebbe non essere tuttavia sufficiente per comprendere l’interazione tra fattori ambientali e sociali che è all’origine di faide e conflitti. Come suggerisce, in uno studio pubblicato sulla rivista americana PNAS, un gruppo di archeologi, paleoclimatologi e antropologi americani ed europei, il quadro potrebbe essere decisamente più complesso.

L’altopiano di Nazca, luogo di conflitti

Il caso di studio a partire dal quale il gruppo ha sviluppato l’ipotesi di ricerca è l’area archeologica situata negli altopiani della provincia di Nazca, nelle Ande peruviane. Dal punto di vista geomorfologico, la regione presenta caratteristiche molto particolari: l’area, infatti, è divisa in piccole zone di terra coltivabile, ideali per la costruzione di terrazzamenti, separate le une dalle altre da rapidi torrenti. In base alle informazioni provenienti dai reperti archeologici, sappiamo che la regione rimase pressoché disabitata fino ai primi anni del X secolo, per essere poi interessata dall’insediamento di gruppi agropastorali che si stabilirono nella zona, occupandola per almeno sette secoli. I centri abitativi finora scoperti e studiati sono 19, e in molti di essi è presente anche un piccolo cimitero locale. Studiando i reperti ossei rinvenuti nelle tombe, i ricercatori si sono resi conto del fatto che molti, tra gli abitanti dell’area, sono i decessi per morte violenta. I resti di 149 individui accomunati da questo tratto sono stati datati con la tecnica del 14C, individuando così un periodo di tempo che spazia dal 750 al 1450 d.C.

Come accennato, è piuttosto diffusa l’idea che la violenza sia di solito promossa da condizioni ambientali avverse e dalla scarsità di risorse, mentre si ritiene che un contesto ambientale favorevole e una generale abbondanza di cibo e materie prime contribuiscano, generalmente, a ridurre il conflitto sociale e a promuovere la convivenza pacifica tra gruppi. In base a questa prospettiva, i ricercatori prevedevano che le indagini paleoclimatiche avrebbero restituito l’immagine di un territorio provato da periodi di siccità, instabilità climatica e, di conseguenza, difficoltà nel reperimento delle risorse.

Una complessa interazione

Per comprendere le ragioni degli alti tassi di violenza registrati nella regione, gli studiosi hanno perciò condotto, per il periodo storico considerato, una valutazione delle condizioni paleoclimatiche locali. Successivamente, questi dati sono stati incrociati con i calcoli sulla densità di popolazione nel corso del tempo e sulla percentuale di morti violente. I risultati ottenuti sono decisamente controintuitivi: è stato osservato, infatti, un aumento della violenza sociale in corrispondenza dei periodi più piovosi, e dunque più fertili e ricchi. L’aumento della violenza sociale si verifica contemporaneamente anche ad un altro fattore: l’incremento della popolazione. Si tratta di una correlazione importante, che mostra come vi siano effetti di retroazione positiva tra i fattori climatici, le fluttuazioni demografiche e la disponibilità delle risorse.

Il miglioramento delle condizioni climatiche consente di aumentare la produzione di risorse alimentari; questo porta al rapido aumento della popolazione, che sfrutta favorevolmente la congiuntura positiva. Il contesto geografico, tuttavia, impone un limite alla produzione di risorse, e così si raggiunge un punto di disequilibrio in cui, nonostante le condizioni ambientali vantaggiose, la disponibilità di risorse pro capite inizia a declinare, causando un inasprirsi della conflittualità tra gruppi sociali. Sugli altopiani di Nazca potrebbe essersi verificato uno scenario molto simile a questo: la complessità dei fattori in gioco – l’intrecciarsi di vincoli geografici e climatici, le fluttuazioni di popolazione, la distribuzione delle risorse – suggerisce come sia difficile tracciare una relazione univoca di causa ed effetto tra determinate condizioni ambientali ed eventuali ricadute sociali: anche in un clima mite e in un territorio mediamente generoso possono scoppiare i più duri conflitti.

Corrispondenze

Fare luce su quanto accaduto nel passato è un utile esercizio, poiché può aiutarci a interpretare il presente nella sua complessità. Questo studio suggerisce che, spesso, a innescare una escalation di violenze non sono direttamente le condizioni climatiche ma, piuttosto, la scarsità di risorse in relazione alle popolazioni che da esse dipendono. Ciò significa che, al di là delle determinanti ambientali – le quali sono, per ovvie ragioni, impossibili da controllare – all’origine dei conflitti potrebbero esservi fattori prettamente umani, come la redistribuzione delle risorse, sui quali, dunque, è possibile intervenire.

La comprensione di questa complessa rete di interdipendenze ambientali e sociali è di grande utilità anche per il presente. Molte delle decine di conflitti attualmente in corso di combattimento in giro per il mondo, infatti, nascono da una spietata competizione per le risorse, dovuta, in molti casi, alla scarsità di queste ultime. Se, dunque, la guerra non è nel nostro dna, e se non è neanche un inevitabile prodotto del ‘determinismo climatico’ di cui, secondo alcuni, la nostra specie sarebbe succube, allora abbiamo un ampio spazio d’azione per porre fine ai conflitti in corso, e soprattutto per ridurre le probabilità che, nel prossimo futuro – già segnato dalla crisi climatica e dalla riduzione delle risorse naturali – si creino le condizioni favorevoli per nuove guerre.

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