SOCIETÀ
Youth4Climate: il cambiamento climatico è una questione di giustizia sociale
Laurie Shaull, Washington, USA, aprile 2017
Un messaggio forte e chiaro è uscito dalla Youth4Climate, l’assemblea sul clima che ha riunito per tre giorni al Centro Milano Congressi 400 giovani delegati da tutto il mondo: il cambiamento climatico è innanzitutto una questione di giustizia sociale. “Che cosa vogliamo? Giustizia climatica! Quanto la vogliamo? Ora!”. Il grido dei giovani delegati incitati da Greta Thunberg nel discorso che ha inaugurato la tre giorni di lavori ha raggiunto i leader di tutto il mondo, che tra meno di un mese, alla Cop26 di Glasgow, dovranno dimostrare di saper mantenere le promesse fatte alle nuove generazioni e ai Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico.
Alcuni dati spiegano bene quanto sia fondata la richiesta di giustizia climatica. Guardando solo ai dati sui combustibili fossili e alla produzione di cemento, i Paesi ricchi di Nord America, Europa e Asia sono responsabili di circa il 90% delle emissioni di gas serra accumulate finora in atmosfera dall’era pre-industriale. Il Sud del mondo ha contribuito con il 10% circa delle emissioni. Continenti come l’Africa e il Sud America si fermano al 3% ciascuno. Si potrebbero citare altre statistiche ancora più d’impatto, dicendo ad esempio che l’1% più ricco della Terra produce il doppio delle emissioni di gas serra rispetto al 50% più povero.
Eppure sono proprio i Paesi più poveri a soffrire maggiormente gli effetti catastrofici del cambiamento climatico, che si manifesta non solo con un aumento delle temperature, siccità e ondate di calore, ma anche con precipitazioni più intense, uragani e alluvioni che Paesi con poche infrastrutture non sono in grado di tamponare.
“I Paesi che producono l’80% del Pil mondiale producono il 75% delle emissioni” ha sottolineato lo stesso presidente del consiglio Mario Draghi nel suo intervento di apertura della PreCop, sovrapposta alla chiusura della Youth4Climate, giovedì 30 settembre, di fronte a una sala gremita di ascoltatori giovani e di alte cariche, tra cui anche il Presidente della Repubblica Sergio Matterella e lo statunitense John Kerry, inviato speciale per il clima per conto dell’amministrazione Biden.
Come ha denunciato tra gli altri Vanessa Nakate, attivista e rappresentante dell’Uganda, in alcune regioni la lotta al cambiamento climatico non è una questione di mitigazione, adattamento o miglioramento di qualità della vita, è una questione di sopravvivenza. In alcuni Paesi dell’Africa ad esempio la popolazione dipende ancora dalla quantità di precipitazioni: se un anno piove troppo poco, non c’è acqua, la siccità provoca una carestia ed è un disastro; se piove troppo le strade diventano fiumi di fango che spazzano via tutto ed è un disastro lo stesso.
Durante la Youth4Cimate i delegati (tutti al di sotto dei 30 anni, alcuni anche minorenni) si sono divisi in 4 gruppi di lavoro, ciascuno dedicato a un tema specifico: ambizione climatica, ripresa sostenibile, coinvolgimento dei soggetti non statali, una società più consapevole delle sfide climatiche. I risultati sono stati riassunti in una dichiarazione che è stata presentata giovedì 30 settembre ai rappresentati politici di 50 Paesi riunitisi per la PreCop (anch’essa organizzata dal ministero italiano della transizione ecologica), evento preparatorio all’assemblea di Glasgow.
Le proposte dei giovani delegati
La giustizia climatica è stato il cappello sotto il quale si sono declinate le singole proposte, riassumibili in 4 punti.
Il primo riguarda una forte domanda di partecipazione ai processi decisionali riguardanti il clima. I giovani vogliono essere parte attiva della vita democratica globale, visto che le decisioni riguardanti il contrasto alla crisi climatica influenzeranno soprattutto le loro vite. In questa domanda di cittadinanza attiva vi è un elemento di giustizia intergenerazionale: gli “adulti” devono ripagare il debito che stanno lasciando ai giovani (un pianeta più caldo e quindi meno sicuro) e un primo modo di farlo è farli sedere al tavolo delle decisioni.
Il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, che ha fatto gli onori di casa nei tre giorni di Milano, ha promesso di voler rendere periodica l’assemblea dei giovani delegati, nel format della Youth4Climate o in altre modalità che verranno decise: da circa 15 anni infatti esiste già una Conference of Youth presso l’Unfccc. Cingolani, così come pure Alok Sharma, presidente designato dal governo britannico per la Cop26, ha ribadito che vorrà i giovani delegati presenti anche a Glasgow.
Il secondo punto, sempre nell’alveo della giustizia climatica, riguarda i finanziamenti in particolare per i Paesi più vulnerabili alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Il gruppo del G20 aveva promesso di rendere disponibili 100 miliardi di dollari ai Paesi più vulnerabili, da erogare non in prestiti ma in donazioni (grants). Lo ha ricordato Vanessa Nakate nel suo discorso di apertura, lo hanno ribadito alcuni rappresentanti politici all’inizio della PreCop, soprattutto i portavoce di comunità che rischiano di scomparire in un pianeta più caldo di 1,5°C.
È il caso di Tina Stege, inviata governativa delle isole Marshall, nel Pacifico centrale a nord-est dell’Australia: “Paesi come il mio che vivono a 2 metri sul livello del mare devono escogitare un modo per sopravvivere a un mondo più caldo di 1,5°C, semmai fossimo in grado di mantenerci al di sotto di 1,5°C. Perderemo intere isole. Dove dovrebbe andare il mio popolo? Non abbiamo montagne. Le uniche montagne che abbiamo sono le persone ed è su di loro che stiamo investendo. Abbiamo però bisogno di impegni vincolanti che ci aiutino nell’adattamento e con finanziamenti. Sappiamo che il cambiamento climatico impatterà tutti, ma noi siamo quelli in prima linea e in un mondo oltre 1,5°C noi non saremo più qui nel giro dei prossimi 30 anni”.
Il governo delle isole Antigua e Barbuda, nei Caraibi dell’Atlantico Centrale, ha firmato nel 2019 un accordo di finanziamento con l’Unione Europea per ricevere 5 milioni di euro destinati alla ricostruzione delle comunità devastate dall’uragano Irma nel 2017. “Con questo finanziamento siamo riusciti a ricostruire una piccola parte, ma il prossimo uragano farà lo stesso” ha ricordato Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green Deal europeo. “A Glasgow dobbiamo raggiungere l’accordo per i 100 miliardi”. In questo senso il ministero della transizione ecologica si è impegnato ad aumentare la quota italiana da 400 milioni a 1 miliardo di dollari.
Naturalmente, non sarà sufficiente rendere disponibili i finanziamenti, sarà necessario che questi siano agevolmente accessibili e i decisori dovranno assicurarsi che arrivino effettivamente alle comunità locali, sottolineano i giovani. Troppo spesso infatti i soldi destinati alle ricostruzioni si sono persi in lungaggini burocratiche e nei meandri della corruzione di Paesi in difficoltà non solo sul piano ambientale, senza arrivare a chi ne ha davvero bisogno.
Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, a Barbuda colpita dall'uragano irma, UN Photo/Rick Bajornas (www.undp.org)
Il terzo gruppo di proposte riguarda il coinvolgimento degli attori non statali nella lotta al cambiamento climatico, con un attenzione particolare all’industria dei combustibili fossili. I giovani delegati hanno chiesto con decisione il totale abbandono di carbone, gas e petrolio entro e non oltre il 2030. Si tratta certamente della proposta più coraggiosa e azzardata, dato che Unione Europea e Stati Uniti mirano a raggiungere la neutralità climatica, ovvero zero emissioni, non prima del 2050. La Cina addirittura punta al 2060 e uno degli obiettivi della Cop26 sarà proprio tentare di convincere Pechino (ma anche India, Russia e Paesi "occidentali" come l’Australia) a fare prima e fare meglio.
L’abolizione dei combustibili fossili entro il 2030 è un obiettivo davvero difficile da realizzare, ma d’altra parte ai giovani delegati era stato chiesto proprio di mirare in alto. Lo stesso premier Mario Draghi, nel suo discorso aveva detto che in questa fase “la pressione proveniente dai giovani è molto benvenuta”.
Secondo i giovani i finanziamenti e le attività di lobbying provenienti dall’industria dei combustibili fossili dovrebbero smettere di influenzare anche altri settori della società, come ad esempio lo sport, la moda, i media, l’imprenditoria, ma anche gli stessi organi dell'Onu. La trasparenza dovrebbe essere totale e i singoli attori sociali dovrebbero rifiutare ogni forma di supporto proveniente da chi inquina e sottrae risorse e ricchezza a interi territori e popolazioni.
L’ultimo punto presentato riguarda invece l’istruzione e la formazione su cui è necessario puntare per far conoscere le sfide legate al cambiamento climatico. Non solo i curricula scolastici e universitari dovrebbero venire aggiornati e integrati, ma anche i media dovrebbero impegnarsi per veicolare l’urgenza del messaggio e corsi di formazione specifici dovrebbero essere riservati ai giornalisti che devono trattare pubblicamente i temi del cambiamento climatico. In questo senso, i giovani chiedono maggiori investimenti per comunicare meglio la scienza del clima alla società.
“Dobbiamo evitare di arrivare ad un ulteriore surriscaldamento della temperatura” ha dichiarato il ministro Cingolani. “Sappiamo tutti, compresi i cinesi, che non superare l'aumento di 1,5 gradi è fondamentale. Sono fiducioso perché la comunità internazionale è consapevole del pericolo, tutti sono sensibilizzati. Non c'è alcun futuro per gli investimenti sui combustibili fossili" ha detto il ministro, ma ha anche aggiunto: "la transizione implica che per un certo lasso di tempo ci sarà coesistenza tra rinnovabili e fossili, ma la strada è ben chiara".