SOCIETÀ

Iva: quanto ci costerà l'aumento previsto dalla Legge di Bilancio

Dopo l’approvazione del Documento di Economia e Finanza che di fatto ha ridimensionato l’aspettativa di crescita del Pil italiano, si è sentito parlare di Iva e clausole di salvaguardia. Andando oltre agli slogan politici vediamo cosa può significare un possibile aumento dell’Iva per l’Italia e com’è gestita nel resto dell’Unione Europea.

L’aumento dell’Iva per ora non è una boutade politica, bensì è previsto dalla Legge di Bilancio 2019. Per scongiurarlo il governo dovrebbe trovare 23 miliardi per evitare di far scattare le clausole di salvaguardia sul 2020 ed altri 29 miliardi per quelle sul 2021.

L’aumento dell’Iva quindi per ora è previsto, l’esecutivo attraverso alcuni suoi ministri ha assicurato che troverà i fondi per evitarlo ma per ora non è dato a sapersi dove.

Prendendo per buono ciò che c’è scritto nella Legge di Bilancio quindi, dal 1 gennaio 2020 l’Iva ordinaria salirà dal 22% al 25,2%, mentre ci sarà (salvo “sterilizzazione” delle suddette clausole) un ulteriore aumento al 26,5% nel 2021. L’Iva agevolata invece passerà dal 10% al 13% nel 2020.

Per scongiurare l'aumento Iva il governo deve trovare 23 miliardi per evitare di far scattare le clausole di salvaguardia sul 2020 ed altri 29 miliardi per quelle sul 2021

Questo aumento quindi, quanto peserebbe sulle tasche dei cittadini? L’Iva riguarda tutti, perché sia ordinaria che agevolata è presente in quasi tutti i prodotti che quotidianamente utilizziamo. Per capire meglio quanto aumenterà la spesa di un cittadino ci affidiamo ad uno studio realizzato dal Codacons e pubblicato il 13 aprile scorso. L’associazione dei consumatori infatti ha stimato “a regime in +1.200 euro annui a famiglia, senza considerare i costi indiretti legati agli aumenti per imprese, industria, energia e trasporti”.

Una stima che però è basata sul 2021, cioè anno in cui sarebbe prevista un’Iva ordinaria al 26,5%. La proiezione del Codacons inoltre non si basa sul singolo individuo ma parla di aumento di spesa “a famiglia”, dando inoltre per scontato un livello dei consumi uguale a quello odierno.

Come abbiamo capito quindi, calcolare precisamente quanto può influire l’aumento per i cittadini non è semplice e necessita l’analisi di molte variabili. Quello che è certo è che le spese aumenterebbero. Uno studio di Confcommercio cerca di quantificare l’aumento previsto per il 2020 e dice che “se ci sarà l'aumento dell'Iva da gennaio prossimo questo si tradurrà in 382 euro di maggiori tasse a testa. Mediamente, se scatterà tutto l'aumento previsto dalle clausole di salvaguardia dell'ultima legge di Bilancio, l'aggravio sarà di 889 euro a famiglia”.

L’Iva in Europa

Per capire le differenze di Iva tra i vari stati membri bisogna prima fare una premessa: di tipologie di aliquota Iva ce ne sono quattro diverse (ordinaria, ridotta, minima speciale).
Ci sono stati che hanno solamente prodotti con aliquota ordinaria e minima (la Danimarca fa eccezione in quanto ha solamente un’aliquota ordinaria al 25%), mentre altri, come l’Italia, che hanno anche alcuni prodotti con aliquota minima.

Partiamo dai casi limite: la Francia ad esempio su alcuni prodotti come farmaci salvavita, alcuni giornali e alcuni alimenti, ha imposto un’Iva molto bassa, al 2,1%. Per fare un confronto con l’Italia, noi abbiamo alcuni prodotti con un’aliquota minima al 4% (frutta, ortaggi, giornali, farina, pane, latte e altri prodotti rappresentati nell’immagine di cui sopra). Gli altri paesi con l’aliquota minima sono la Spagna (4%), il Lussemburgo (3%) e l’Irlanda (4,8%).

In tutta la UE poi (ad eccezione della Danimarca) è presente l’aliquota ridotta. Possono essere al massimo due e applicate ad un tipo limitato di vendite e normalmente non possono essere inferiori al 5%. L’Italia ne usufruisce inserendo in questa tipologia alcuni prodotti come carne, pesce, salumi o farmaci (Iva al 10%).

Alcuni paesi infine sono autorizzati ad applicare aliquote specifiche su determinate vendite.

Sono queste le aliquote speciali che si applicano a certi beni e servizi che non possono beneficiare di un'aliquota ridotta, “ma ai quali alcuni paesi dell'UE applicavano già aliquote ridotte il 1° gennaio 1991. Questi paesi sono autorizzati a continuare ad applicare aliquote ridotte, a condizione che non siano inferiori al 12%”.

Le aliquote speciali intendevano essere una misura transitoria per agevolare il passaggio dalle deroghe alle norme generali introdotte con l'entrata in vigore del mercato interno il 1° gennaio 1993: andavano abolite gradualmente.”

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