SCIENZA E RICERCA

Cappella degli Scrovegni: non toccate niente

Per alcuni periodi dell’anno il pavimento della cripta della cappella degli Scrovegni si copre d’acqua. “Acque pericolose” titolava un anno fa Panorama. A smentire i toni allarmistici sono invece alcuni docenti del dipartimento di ingegneria civile, edile e ambientale dell’università di Padova che, in occasione del convegno Giotto e il suo messaggio, hanno presentato i risultati delle indagini e dei monitoraggi idrogeologici che insistono sulla zona su cui sorge la cappella. Fin dal 1953 è stato sondato a più riprese il fragile equilibrio dell’area, caratterizzato dalla presenza di acque di falda poco profonde e dalla prossimità del fiume Piovego. Alla campagna d’indagine - la più imponente - del 2011, è seguita, a partire dal 2013, l’acquisizione sistematica dei dati grazie a un progetto di monitoraggio ad oggi attivo. Le indagini preliminari con piezocono e i sondaggi hanno permesso la costruzione di un modello geotecnico a cinque strati del terreno, che conferma a grandi linee il modello precedente di due falde acquifere, separate da limo argilloso e coperte in superficie da circa 4 metri di terreno di riporto. La cripta, dunque, è molto prossima alla falda superiore e, in caso di precipitazioni intense ripetute nell’arco di breve tempo, l’innalzamento delle acque raggiunge il cenobio. L’escursione stagionale della falda è di circa 50 centimetri, ma il suo abbassamento, dichiara Paolo Simonini, “non ha impatto reale sulla struttura e sulle fondazioni, perché rappresenta un valore molto lontano dalla soglia di tensione che abbiamo calcolato”, valore oltre il quale, invece, la situazione non sarebbe più controllabile. Insomma, “sulla base del modello geotecnico elaborato, l’impatto è totalmente irrilevante, tanto da suggerire di non intervenire con alcun adeguamento del drenaggio e di evitare assolutamente qualsiasi azione invasiva e, soprattutto, irreversibile”. 

A insistere sul ruolo solo secondario del vicino Piovego è Paolo Salandin, che ridimensiona l’influenza del fiume, pur affermando la coerenza fra il livello delle sue acque e quello delle acque di falda, che agirebbero in sinergia. È però l’impulso delle precipitazioni, conferma Salandin, a causare l’effetto più consistente: “Il problema si verifica perché la falda acquifera superiore si satura velocemente a causa dell’insufficienza dell’impianto per lo smaltimento delle acque reflue, che rivela infatti perdite importanti. Il problema, quindi, non si risolve agendo sul Piovego, ossia abbassandone il livello, ma migliorando il drenaggio delle acque superficiali nell’area circostante la cappella degli Scrovegni”. La politica del “minimo intervento necessario” viene confermata anche da Claudio Modena con un lapidario “Se non c’è una forte motivazione per fare degli interventi, semplicemente non facciamoli. Il monitoraggio, invece, deve continuare”. È stato infatti recentemente installato un sistema di algoritmi automatici per il monitoraggio ambientale che vigila sia dal punto di vista dinamico, per il controllo delle vibrazioni ambientali,  sia da quello statico, per il controllo dei fenomeni lenti, come nel caso delle acque. “Abbassare la falda non è pensabile” avverte Modena, “perché bisognerebbe farlo in modo troppo consistente. Ed è assolutamente da evitare la creazione di diaframmi tra questa e l’edificio. L’umidità di risalita ci sarà sempre, ma non deve allarmare: nelle pareti affrescate, infatti, l’umidità non c’è perché il cenobio funziona come camera di decompressione”. Nella cappella, dunque, si è creato un equilibrio che qualsiasi intervento potrebbe alterare. Per una volta, l’immobilismo potrebbe essere davvero la scelta più saggia.

Chiara Mezzalira

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