SOCIETÀ

Migranti, la lunga storia dei diritti negati

Nei prossimi mesi continueremo a discutere molto dei flussi migratori in corso, nelle sedi istituzionali e sugli organi d’informazione, compresi i social. Il nuovo governo ha annunciato una svolta sull’immigrazione, interventi risolutivi. L’Onu continua a lavorare a un accordo globale che riguarda tutti i migranti, emigranti e immigrati (si può vedere il patto spesso citato da Papa Francesco). Riflettiamo con disciplina e onore.

Il neopresidente del Consiglio Conte ha dedicato alle migrazioni due passaggi del suo discorso programmatico alle Camere, vero esordio istituzionale del nuovo governo. Il primo è inserito fra i contenuti prioritari del “cambiamento” che caratterizzerebbero il contratto stipulato dalle due forze che compongono la maggioranza parlamentare: “… Metteremo fine al business dell’immigrazione, cresciuto a dismisura sotto il mantello di una finta solidarietà”. Il peso che va dato a questa frase è pari a uno slogan, associa il mercato ai flussi migratori (non si capisce se ne è l’unica dimensione), attacca una presunta finta solidarietà (non si capisce se ne esiste una vera), indica che sono i finti solidali e i mercanti a far crescere quantitativamente gli immigrati nel nostro paese (non c’è motivazione ed è comunque falso), annuncia che si metterà fine a tutto ciò. Mostra insomma la faccia forte, un volto cattivo (“è finita la pacchia”), l’identità superficiale con la quale ci si presenta agli italiani, ai migranti nel mondo, agli altri paesi.

Il secondo passaggio è articolato come uno dei veri e propri (tanti) capitoli del programma, intitolato alla “immigrazione”. Traduce lo slogan con frasi meno schematiche. Si parte correttamente dal contesto europeo. “Un primo banco di prova del nuovo modo in cui vogliamo dialogare con i partner europei è certamente la disciplina dell’immigrazione. È a tutti evidente come la gestione dei flussi migratori finora attuata ha rappresentato un fallimento: l’Europa ha consentito chiusure egoistiche di molti stati membri che hanno finito per scaricare sugli stati frontalieri, ed in primo luogo sul nostro Paese, gli oneri e le difficoltà che invece avrebbero dovuto essere condivisi. Per questo chiederemo con forza il superamento del Regolamento di Dublino…”. Qui si parla di immigrazione in Europa e si chiede giustamente che si stabiliscano nuove regole comunitarie. Chi non è d’accordo in Italia su questo? E basta modificare quel regolamento per rendere positiva l’intera politica europea di gestione dei flussi migratori?

Si continua con una excusatio non petita: “Non siamo e non saremo mai razzisti”

Si continua con una excusatio non petita: “Non siamo e non saremo mai razzisti” (la locuzione latina non è stata completata in quanto comporterebbe una accusatio manifesta). Poi segue il ma: “Vogliamo che le procedure mirate all’accertamento dello status di rifugiato siano certe e veloci, anche al fine di garantire più efficacemente i loro diritti. Difendiamo e difenderemo gli immigrati che arrivano regolarmente sul nostro territorio, lavorano e si inseriscono nelle nostre comunità rispettandone le leggi e dando un contributo decisivo allo sviluppo. Ma per garantirne l’indispensabile integrazione, dobbiamo non solo combattere con severa determinazione le forme più odiose di sfruttamento legate al traffico di esseri umani, perpetrate da scafisti privi di scrupoli, ma anche riorganizzare e rendere efficiente il sistema dell’accoglienza, assicurando trasparenza sull’utilizzo dei fondi pubblici ed eliminando ogni forma di infiltrazione della criminalità organizzata. Ove non ricorrano i presupposti di legge per la loro permanenza, ci adopereremo al fine di rendere effettive le procedure di rimpatrio e ci adopereremo affinché anche in sede europea tutti i Paesi terzi che vorranno stringere accordi di cooperazione con un Paese membro dell’Unione acceda alla sottoscrizione di accordi bilaterali di gestione dei flussi migratori.” È bene approfondire con calma questo schema di ragionamento perché contiene frasi scontate e apparentemente ineccepibili, destinate a non far capire e a non affrontare correttamente la gestione dei flussi migratori.

La legge italiana vigente “in materia di immigrazione e di asilo” è la cosiddetta Bossi-Fini, non un’altra, legge del 30 luglio 2002, numero 189. Come è noto, in sintesi le principali novità della legge furono l'istituzione dei centri di identificazione per la detenzione dei richiedenti, l’introduzione delle espulsioni con accompagnamento alla frontiera, la necessità di un permesso di soggiorno legato ad un lavoro effettivo, l’inasprimento delle pene per i trafficanti di esseri umani, l’uso delle navi della Marina militare per contrastare il traffico di “clandestini”. A parte la positiva sanatoria per colf, assistenti (badanti) ad anziani, malati e diversamente abili, lavoratori con contratto di lavoro di almeno un anno, questa legge è stata un completo fallimento alla prova dei fatti.

La legge Bossi-Fini è stata un completo fallimento

Non tratto qui gli aspetti di costituzionalità o incostituzionalità e gli aspetti giuridici (nasceva da immotivato timore di un’inesistente invasione, ha investito sulla paura, ha amplificato il circolo vizioso della xenofobia, né ha peraltro contribuito a risolvere la contestuale drammatica crisi economica degli “italiani”). Segnalo tre aspetti cruciali nel giudizio istituzionale e politico: la mancata coscienza del carattere antico ed evolutivo, strutturale e duraturo dei flussi migratori; il fallimento pratico già avvenuto delle stesse misure annunciate con slogan dal nuovo Governo; la permanenza del vuoto costituzionale rispetto alla riserva di legge prevista dall’articolo 10 della Costituzione.

Il tempo profondo dell’evoluzione umana sul pianeta mostra come il fenomeno migratorio umano sia strutturale e costitutivo della nostra identità di specie. Inoltre, con la nascita dei confini tra Stati nazionali, con le migrazioni di massa intercontinentali via mare, con la globalizzazione del sistema economico capitalistico, le migrazioni umane sono diventate un fenomeno estremamente complesso. Si migra ovunque anche per sfuggire a nuove forme di violenza di altri umani, si migra per sfuggire agli effetti nefasti di un’economia predatoria che altera il clima globale e depaupera gli ecosistemi. E, insieme, la rete migratoria viene alimentata da valutazioni più libere, bisogni materiali e aspirazioni immateriali. Chi può permetterselo considera ormai coessenziale alla propria vita una piena libertà di migrare, un proprio diritto. Eppure, spesso sentiamo prevalere egoismi nazionali e paure alimentate ad arte. Senza cogliere il quadro d’insieme, sociale e geografico. Perdiamo di vista chi continua a non migrare e soffre sempre più nelle sue terre non avendo il diritto di restare, chi continua a migrare all’interno del proprio paese fra grandi disuguaglianze, chi è costretto a migrare dagli effetti delle nostre troppe emissioni di gas serra. Un processo così radicato nella storia e nella geografia dell’evoluzione umana può essere governato soltanto con lungimiranza e con il senso alto di una politica intesa come lo stare insieme in vista di una attività comune e di un futuro aperto. Solo una politica così eticamente e razionalmente motivata potrà contrastare il più possibile le migrazioni forzate, favorire una qualche libertà di migrare insieme al diritto di restare nella terra in cui si è nati (entrambi previsti dalla Dichiarazione universale). Di tale consapevolezza non vi è traccia negli indirizzi e nell’applicazione della legge Bossi-Fini e (finora) nei testi e nelle frasi di chi si accinge a governare il paese oggi. Il capitolo “immigrazione” riguarda la parte finale di un fenomeno complesso: prima si deve emigrare (in modo più o meno libero, più o meno forzato), poi si viaggia talora a lungo (spesso con precedenti immigrazioni e ulteriori emigrazioni, altri diritti negati); si deve avere una qualche capacità di emigrare, comunque si abbandona un ecosistema fatto anche di affetti e culture; si deve avere una qualche capacità di viaggiare, comunque ci sono costi e fatiche. Senza questa premessa è complicato comprendere i flussi migratori in corso e svolgere un qualche ruolo rispetto alle immigrazioni. E non si può dimenticare che dovrebbe esserci pure un capitolo sugli effetti delle “emigrazioni” dall’Italia, per lo più tante e con un certo grado di libertà, alcune forzate.

Sedici anni fa, con la nuova normativa sull’immigrazione in Italia si stabilì in sostanza la regola secondo cui chi immigrava da noi andava considerato “clandestino”, a meno che non arrivasse da altri paesi ricchi alleati (Europa, Nato, G7 allargato) o non avesse un lavoro fisso certificato preventivamente o non facesse richiesta d’asilo secondo le formali regole e i cinque casi “di scuola” previsti dalla Convenzione sui rifugiati. È un concetto inconsistente, è una regola sbagliata.

Il fatto che gli umani acquisiscano un maggior grado di libertà di migrare non comporta necessariamente flussi migratori quantitativamente maggiori

. Il fenomeno migratorio umano era, è e resterà collocato in un intervallo fra costrizioni e libertà dei singoli, dei gruppi e della specie. Un’assoluta libertà per ogni individuo è teorica, ma non realistica né auspicabile: migrare non è un diritto universale individuale e astratto, che possa prescindere da capacità specifiche e da regole di sostenibilità globale, né può prescindere da chi vive nei territori che ricevono immigrazione. Se un diritto va rivendicato è quello di poter restare e di sopravvivere con dignità nel territorio dove si è nati, comunque si configuri la propria identità: diversamente abili, orientati politicamente, religiosamente, sessualmente. Il fatto che gli umani acquisiscano un maggior grado di libertà di migrare non comporta necessariamente flussi migratori quantitativamente maggiori, lo abbiamo visto nella preistoria e nella storia del fenomeno migratorio. Il fatto che milioni di esseri umani siano invece costretti a fuggire dalle proprie residenze toglie o sconvolge innanzitutto la loro vita, accresce tensioni e conflitti interni ed esterni agli Stati, aumenta l’insicurezza globale. Dunque, esisteranno sempre migranti, sia in fuga che più liberi. Una parte di loro è appunto in fuga, profugo, rifugiato, refugee, più o meno riconoscibile o riconosciuto da norme internazionali; va contrastata ogni migrazione forzata. Vedremo il prossimo 20 giugno (giornata mondiale Onu dei rifugiati) i dati del 2017, grazie all’Unhcr. Un’altra (restante) parte immigra altrove ed è un’esigua minoranza rispetto a chi non emigra da quei paesi, se in pericolo va assistita, se arriva va messa alla prova del nostro sistema civile, del nostro sistema di diritti e doveri, è probabile comunque che sia molto utile all’Italia e all’Europa. Le prime dichiarazioni del neoministro dell’Interno Salvini in Sicilia per la campagna elettorale del partito di cui è (ancora) leader hanno già mostrato l’assurdità del rilancio della categoria “clandestini” e creato problemi sia con la Tunisia sovrana che con le Ong coraggiose. Altro che meno accoglienza e più espulsioni! Gli irregolari (costosamente) rimpatriabili sono fuori dalle previsioni di spesa per l’accoglienza. In realtà, la legge Bossi-Fini andrebbe messa in soffitta il prima possibile. Valutiamo piuttosto e bene quanti migranti e profughi, quanti “stranieri” (e dove insediabili) saranno indispensabili alla demografia e al lavoro, alla previdenza e alla cultura dell’Italia e dell’Europa nel prossimo quinquennio e nel prossimo trentennio (il Giappone ha appena concesso possibilità di trovare il lavoro a 500.000 stranieri solo nel 2018, restandovi 5 anni).

Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge Costituzione italiana

La nostra Costituzione recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.” Dunque, l’articolo 10 comma 3 della nostra Costituzione prevede una legge (attesa da quasi 70 anni) che potrebbe concedere asilo ai rifugiati climatici, ad altri profughi ambientali, ad altri migranti in fuga, a ogni “migrante” profugo, che vede impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche così come sono definite dalla nostra Costituzione. La senatrice a vita Liliana Segre (in un intervento durante il quale ha difeso anche i bimbi rom e sinti dalla minaccia di norme “speciali”) ha ricordato di essere stata lei stessa una richiedente asilo prima di avere bocciata la proposta e di essere deportata ad Auschwitz. Non vi è traccia di questo grave vuoto legislativo nella legge Bossi-Fini, né nelle dichiarazioni programmatiche del nuovo governo. Né qualcuno sta prendendo in considerazione quella nuova logica legge sulla cittadinanza ora invocata anche dal calciatore (della Nazionale italiana) Balotelli. E, purtroppo, nemmeno le maggioranze precedenti hanno colmato il vuoto, nemmeno i governi successivi a quello Bossi-Fini hanno rivisto la loro fallimentare legge. I principali effetti che provocò per qualche anno furono due (per l’immigrazione da fuori Italia verso Italia): il cambio drastico delle rotte (meno mare e più terra, meno barconi affondabili e più sotto camion mortiferi, tutto sempre assistito da “scafisti”) e un maggior numero di morti nel deserto e nelle terre dei paesi della costa sud del Mediterraneo. Si è scritto che l’impatto delle culture diverse degli stranieri sarebbe insostenibile per le culture dei cittadini attuali di un paese come l’Italia o di altri paesi europei. Capisco, ma non condivido. Nessuno degli umani può associare le proprie origini a un unico delimitato territorio, statale o meno. In quel territorio (ecosistema) nel passato e/o nel presente sono sempre vissute altre specie animali e probabilmente vissute altre specie umane, certamente individui umani sapienti con altra pelle e lingua, certamente individui umani sapienti che venivano da altre parti (anche fra gli antenati recenti di chiunque di noi).

Ciò significa capire meglio la nostra identità, non negarla!

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