Chrysomallon squamiferum è il nome scientifico di una lumaca di mare a rischio di estinzione a causa dell’estrazione mineraria sottomarina. Questo mollusco è il primo animale abissalea far parte della Red List redatta dallo IUCN (l’International Union for Conservation of Nature), in cui si raccolgono le specie a rischio di estinzione. Secondo lo IUCN, questo è il primo passo verso una sensibilizzazione dell’opinione pubblica alla vulnerabilità degli ecosistemi marini estremi.
Un esempio di adattamento estremo
C. squamiferum, conosciuta come ‘scaly-foot’ snail (lumaca dal piede squamoso) o ‘pangolino di mare’, è una specie endemica che vive in tre aree ad oltre 2000 metri di profondità nell’Oceano Indiano ad est del Madagascar, in corrispondenza di sorgenti idrotermali. Quando i metalli presenti nelle calde acque idrotermali - derivate dall’attività vulcanica - incontrano le fredde acque oceaniche, precipitano sul fondale sotto forma di solfuri. Le squame di ferro che ricoprono il corpo di C. squamiferum caratterizzano il singolare adattamento evolutivo di questo animale in un ambiente assai estremo in termini di temperatura e pressione elevate. La lumaca addirittura non è in grado di colonizzare habitat differenti, limitando la propria sopravvivenza ad un’area di appena 2 ettari – poco più di due campi da calcio. Due delle tre aree in cui essa vive sono già oggetto di attività mineraria: è assai elevato il rischio che la sopravvivenza di C. squamiferum possa essere compromessa definitivamente.
L’attività mineraria riduce la biodiversità sottomarina
Qual è l’impatto dell’attività mineraria sull’ecosistema sottomarino? A questa domanda cercarono di rispondere già nel 1989 Thiel e colleghi, mettendo a punto quello che, ad oggi, resta il più grande esperimento del suo genere. DISCOL, questo il nome dell’esperimento, si svolse in un’area di circa 11 km2 nella piana CCZ, avvalendosi di un macchinario largo 8 metri per smuovere il fondale marino. I risultati furono drammatici: i sedimenti smossi e poi precipitati bruciarono gran parte del sito e soffocarono le creature sul fondale. Il sito, testimoniano gli stessi ricercatori a distanza di 30 anni, non si è ancora ripreso.
Gli interessi dell’industria mineraria verso gli abissi marini
Lo sviluppo delle energie alternative (in particolare solare ed eolica) e delle macchine elettriche fa sì che cresca notevolmente la domanda di metalli rari, indispensabili per le batterie utilizzate in questo tipo di tecnologie. Di conseguenza, il costo dei metalli, quali litio, cobalto, manganese, sta aumentandospingendo le imprese alla ricerca di nuovi siti da sfruttare. Ad oggi, i fondali marini rappresentano una promessa - talvolta già una realtà – molto attraente. Uno dei depositi minerari più noti è la piana abissale CCZ (Clarion-Clipperton Zone), che si estende nell’Oceano Pacifico per una superficie pari a quella degli Stati Uniti. Essa contiene più cobalto, manganese e nichel del totale dei depositi delle terre emerse. È per questo motivo che, nel recente passato, più della metà delle licenze per esplorare il potenziale minerario dei fondali sottomarini sono state concesse a compagnie interessate alla piana CCZ.
Le impese del settore, che di anno in anno stanno aumentando gli investimenti, dispongono oramai delle tecnologie necessarie. Tuttavia, la mancanza di una normativa che regoli le licenze per svolgere attività mineraria in acque internazionali sta frenandone gli affari. Tale normativa, che prende il nome di Mining Code, è in via di discussione presso l’International Seabed Authority (ISA), un’organizzazione delle Nazioni Unite che promuove e regolamenta l’industria mineraria sottomarina. Si tratta di “un procedimento normativo apprezzabile che consente di tener conto delle continue innovazioni tecnologichee soprattutto dei nuovi principi di diritto internazionale dell’ambienteche si sono consolidati o formati negli ultimi trent’anni”, afferma Roberto Virzo, professore di diritto internazionale presso l’Università degli Studi del Sannio. “Il codice si avvarrà – continua Virzo – di principi rilevanti come quello precauzionale, della salvaguardia della biodiversità e dell’equità intergenerazionale. Altro aspetto interessante è che eventuali violazioni dei regolamenti del Mining Code potranno essere fatte valere dall’ISA dinanzi ad una speciale Camera del Tribunale internazionale del diritto del mare ad Amburgo, avente competenza anche sulla responsabilità da danno ambientale”. Stando alle dichiarazioni dell’ISA, il Mining Code sarà finalizzato entro il 2020.
Le preoccupazioni della comunità scientifica
Per legge, le imprese minerarie devono collaborare con i biologi marini al fine di valutare la tipologia di vita nell’area estrattiva e, eventualmente, adottare strategie adeguate alla salvaguardia della biodiversità. Nella pratica, questo meccanismo si rivela poco efficace a causa della frammentazione e, talvolta, della mancata condivisione dei risultati di tali valutazioni. Inoltre, mancano esperimenti su vasta scala per valutare l’impatto ambientale delle attività estrattive a pieno regime: come precedentemente affermato, l’esperimento DISCOL è ancora l’esperimento più informativo a riguardo.
In attesa di risultati più attendibili, le preoccupazioni degli scienziati si concentrano su due aspetti: la distruzione dell’ecosistema sottomarino, con conseguente perdita di biodiversità e la probabile diffusione dei danni ben oltre l’area interessata dall’estrazione. Ad esempio, la rimozione dei noduli metallici – che si formano per precipitazione sulle piane abissali nel corso di migliaia di anni – cancella in modo permanente un habitat unico in cui vivono specie endemiche; inoltre, l’azione delle macchine estrattive genera nubi di sedimenti leggeri che, viaggiando e depositandosi a chilometri di distanza, bruciano e soffocano gli ecosistemi di altri fondali marini.
Tiro alla fune tra interessi contrapposti
Il 18 luglio 2019, giorno in cui lo IUCN ha inserito C. squamiferum nella Red List delle specie in via di estinzione, potrebbe divenire una data simbolica. Secondo gli scienziati, i fondali marini rappresentano una fonte di biodiversità unica, da proteggere e tutelare. Dall’altra parte, l’industria mineraria è in trepidante attesa che il Mining Code entri in vigore per poter ricavare dai fondali marini i preziosi metalli. L’ISA è chiamata a svolgere un compito arduo al fine di decretare quale tra le due spinte prevarrà. Tutto ciò si rifletterà sul testo definitivo del Mining Code e, in questo contesto, l’opinione pubblica – sperano gli scienziati dello IUCN - potrebbe svolgere un ruolo importante per la salvaguardia della biodiversità dei fondali marini.