SCIENZA E RICERCA

Anatomia della violenza transfobica: una narrativa da decostruire

Negli ultimi anni il dibattito pubblico, scientifico, politico e culturale sui temi dell’identità sessuale ha avuto una rapida ascesa sviluppandosi con estrema variabilità: a volte con profondità, empatia e professionalità, altre con superficialità, posizioni ideologiche e scarso rispetto. 

La comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender, queer, intersessuale e asessuale (LGBTQIA+) in ancora troppi ambienti sperimenta un alto tasso di violenza e discriminazione che colpisce le persone sulla base dell'orientamento sessuale, dell'identità di genere e dell'espressione di genere. 

Tale atteggiamento negativo nei confronti della comunità LGBTQIA+ che deriva da una non adesione alle norme culturali di riferimento sulla base del genere assegnato alla nascita (e dalla prospettiva di genere binaria) può sfociare in comportamenti discriminatori violenti. La violenza transfobica è una forma di violenza che è stata riconosciuta e che colpisce le persone transgender e gender diverse (TGD); essa ha un carattere continuativo nel tempo e può avvelenare molteplici piani e contesti, come la famiglia, il gruppo dei pari, la scuola, i contesti lavorativi e le istituzioni, che possono rappresentare per alcune persone luoghi fisici (pubblici e privati) in cui si manifesta violenza. I fattori socioculturali, unitamente alle fragilità dello stato di diritto, possono favorire, complessificare e aumentare i casi di violenza.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha da tempo definito un quadro di riferimento per l'adozione di leggi e politiche per l'effettiva protezione delle persone TGD. Un vero e proprio posizionamento che stabilisce il riconoscimento dei diritti umani e dell'autodeterminazione, allineandosi alla lotta per la depatologizzazione transgender, ossia l’eliminazione di qualsiasi trattamento delle identità transgender e non binarie come condizioni mediche o malattie da correggere. Le comunità mediche e psichiatriche hanno usato nel tempo una varietà di termini patologizzanti per riferirsi alle persone TGD con gravi e profonde conseguenze sull'accesso e sulla qualità della salute e così via. 

Numerosi studi confermano che le persone transgender e gender diverse presentano una maggiore vulnerabilità alla violenza rispetto ai loro coetanei e alle loro coetanee cisgender (persone che si identificano nel genere assegnato alla nascita), e ciò porta a sperimentare una maggiore disparità in termini di salute globale. In una prospettiva intersezionale, quando più categorie socioculturali tipicamente soggette a diverse forme di discriminazione o violenza si incrociano, il rischio di sperimentare stigma e discriminazione aumenta. Cosi, le identità femminili transgender sono più profondamente suscettibili a qualsiasi forma di violenza transfobica, oppure, essere una persona transgender nera comporta un rischio maggiore a causa della violenza transfobica e del razzismo. Infine, le persone TGD più giovani mostrano un elevato rischio di subire violenza transfobica attraverso attacchi fisici, violenza sociale, cyberbullismo, oltre che sperimentare una scarsa sicurezza personale nei centri educativi e nelle scuole.

Alcuni fattori socioculturali possono influire su l'interiorizzazione della violenza da parte delle vittime, che è una reazione comune alla violenza da parte delle persone TGD. Alcuni studi evidenziano che tale interiorizzazione è fortemente correlata a comportamenti autolesivi e alto rischio di suicidalità. Le giovani persone transgender possono sperimentare uno stress legato alla loro identità che include il rifiuto emotivo, verbale e fisico da parte della famiglia, dei pari e delle persone importanti nella loro comunità. Questo rifiuto può portare a una disconnessione emotiva e fisica, contribuendo a un senso di non appartenenza e di inadeguatezza portandoli a credere di non essere voluti o di essere meglio da morti.

Alcune forme di violenza transfobica si manifestano in maniera sottile, come le micro aggressioni ossia comuni indignazioni quotidiane verbali, comportamentali o ambientali, intenzionali o meno, che comunicano offese e insulti ostili, dispregiativi o negativi nei confronti di membri di gruppi oppressi. Ne sono esempi, il rifiuto per l’uso dei pronomi e del nome scelto, l’ostacolare le scelte di abbigliamento o di attività ricreative nel corso dello sviluppo, l'assenza di bagni sicuri e inclusivi e della carriera alias nelle istituzioni scolastiche e lavorative, comportamenti di mancato supporto, e così via.

L’atteggiamento negativo nei confronti della comunità LGBTQIA+ vede tra le sue manifestazioni di violenza comune anche l'abuso fisico come spinte, percosse e altre brutalità, come il lancio di oggetti e liquidi, comunemente collegati a minacce di violenza fisica. Nella forma più estrema i crimini d’odio rappresentano un reato penale commesso con un movente di pregiudizio. L'elemento del movente di parte è ciò che differenzia i crimini d'odio dai crimini ordinari, ovvero l'autore ha scelto intenzionalmente la vittima a causa di qualche caratteristica protetta. Nel caso dei crimini d’odio transfobici: una persona transgender o gender diversa.

La ricerca di un'analisi dei crimini d'odio dimostra che operano all'interno di un ambiente socio politico in cui le reazioni ostili all' "alterità" sono condizionate e formate dal potere associato alla struttura e all’agency, cioè la percezione che un individuo ha di essere agente attivo della propria vita, di poter prendere decisioni e agire in modo da influenzare gli eventi. Di conseguenza, si ricorre alla violenza quando c'è una presunta minaccia alla gerarchia sociale. L'attacco toglie potere alla vittima che viene percepita e costruita come "anormale e deviante" e la violenza agisce dimostrando così un impegno verso il ristabilire di una norma cis-eteronormativa. Come abbiamo letto nell’articolo precedente della seria DeGenere anche il linguaggio - il modo in cui si descrivono questi crimini - ha un effetto sul legittimare la violenza di genere. 

Per prevenire la violenza transfobica, come forma della violenza di genere, l’educazione alle differenze all’affettività e alla sessualità è riconosciuta come strategia efficace e trasformativa. Inoltre, fin dalla più tenera età, il supporto dei genitori e degli altri membri della famiglia, diventa essenziale per l’autostima e il globale benessere. Tuttavia, quando si verificano episodi di violenza transfobica ciò che sostiene il benessere della persona è la fiducia in un intervento attento e confidenziale da parte del contesto prossimo e delle istituzioni. La storia della comunità transgender è complessa e articolata e ha vissuto periodi di visibilità contrapposti a periodi di totale repressione. Mantenere viva la memoria delle persecuzioni e delle oppressioni è importante perché secoli di repressione dell’alterità - basata sulle categorie di giusto e di sbagliato - hanno legittimato violenze e abusi. Non si tratta di essere tolleranti: “Ti accetto a patto che tu ti nasconda”. Ma di supportare un processo di fioritura ed espressione, trovare il coraggio di guardare, che significa vigilare, affinché, facendoci collettivamente carico della storia della comunità transgender, troviamo il modo di essere alleati. 

Le due illustrazioni sono di Nicky Daigoro, fumettista e illustratore indipendente. Si è diplomato alla Scuola Internazionale di Comics nell‘estate del 2018 e dal 2019 pubblica autoproduzioni autobiografiche e autoironiche; ha pubblicato nel 2022 “Daigoro come sono (ri)nato” in cui racconta dei primi passi del proprio percorso di affermazione di genere. Con le sue illustrazioni e storie intende raccontare e dare visibilità alla comunità LGBTQ+, con l’obiettivo di informare e sensibilizzare.  

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