Diego Soldà nel suo atelier a Chiampo (Vicenza). Foto: Massimo Pistore
"Sono interessato alla pittura, soprattutto al gesto del dipingere". Per realizzare il diciassettesimo episodio della serie Atelier d’artista siamo andati a trovare Diego Soldà e siamo stati accolti nel suo studio essenziale, al secondo piano della sua casa di Chiampo, nel Vicentino. "Ho seguito il percorso classico per fare l'artista, dal liceo artistico all'Accademia di Belle Arti di Venezia, ho auto la fortuna di avere ottimi insegnanti, incontrare Luca Massimo Barbero, avere uno studio alla Bevilacqua La Masa per tre anni, ma non ho mai vissuto solo d'arte. Ho dovuto sempre mantenere un altro lavoro e questo, a livello di creazione, può rendere le cose più difficili, perché posso dedicarmi alla mia arte nelle pause lavorative. Ma è anche vero che lavorare in questo modo mi permette di avere una certa libertà: per esempio, non sento mai l'urgenza di vendere un'opera per pagare il mutuo o l'affitto". In una giornata che necessariamente viene organizzata con cura, incastrando impegni di diverso tipo, il lavoro di creazione deve seguire una sorta di disciplina: "Sfrutto le fasi della giornata: mi dedico all'opera in precisi momenti, alla mattina, a mezzogiorno e alla sera, quando sono in pausa dall'altro lavoro e posso venire in studio, è un ritmo perfetto. Se trascorressi più tempo in studio inizierei mille progetti o magari inizierei a dedicarmi anche ad altro. Questo ritmo, invece, mi permette di svolgere un lavoro pulito, cadenzato, ordinato".
Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore
“ Sono interessato alla pittura, soprattutto al gesto del dipingere Diego Soldà
Le opere sembrano rocce sedimentarie e sono il risultato dell'applicazione costante di strati di colore da muro, una mano dopo l'altra, "con tempi di asciugatura che devo rispettare per riuscire a stendere il colore stesso ed evitare muffe". Nascono dall'attesa "e io trovo che questo aspetto sia molto interessante perché, nel processo di realizzazione, sono obbligato seguire il tempo naturale del colore". E Soldà aggiunge: "Il mio è un procedimento naturale, simile a quello che si fa con piante o animali: lavoro come un giardiniere e nutro gli animali. Quando sono fuori dallo studio osservo gli effetti della natura sulle cose, per esempio la pioggia sulla terra: poi trasformo gli stimoli, faccio molti esperimenti sul colore e sulla materia, che ha un peso reale e io voglio avere a che fare con il reale".
"Durante il liceo accumulavo oggetti, influenzato da Rauschenberg e I Plurimi di Vedova: ne ero affascinato, ma per realizzare opere come quelle serve spazio e io non ce l'avevo, così continuavo ad accumulare e dopo aver realizzato un lavoro lo tagliavo a pezzi per metterlo all'interno di teche e comprimerlo". Nell'arte di Soldà tutto è collegato, le fasi di creazione ne generano altre, successivamente, e dalle compressioni possono nascere delle sovrapposizioni: "Per esempio un quadro sopra l'altro, che fotografavo nei diversi passaggi". Questo percorso complesso si traduce, oggi più che mai, in una puntuale attenzione al gesto, all'atto del dipingere, che supera il risultato visivo. "Non sono tanto interessato all'immagine, alla creazione di un mondo fittizio. Ho bisogno di realizzare qualcosa di concreto, mostro il fianco della pittura, il profilo non la facciata, e quindi, in qualche modo, rivelo l'interno della creazione". E conclude: "Nel mio lavoro c'è Aspettando Godot, c'è Beckett. C'è l'assurdo, il nonsenso perché, effettivamente, che senso ha continuare a dipingere una mano sull'altra?".
“ Nel mio lavoro c'è Aspettando Godot, c'è Beckett. C'è l'assurdo, il nonsenso, perché effettivamente che senso ha continuare a dipingere una mano sull'altra? Diego Soldà
"Ho lo studio in casa per comodità: se dovessi raggiungere un altro luogo, molti strati di colore si perderebbero. Lo spazio è funzionale, tutto può essere spostato e adattato: per uno degli ultimi lavori ho montato una serra perché avevo bisogno di utilizzare la motosega. Non mi interessa che il mio studio sia bello esteticamente: non ci sono molti lavori appesi e questo a me serve perché non avere qualcosa mi fa venir voglia di ricercarla, realizzarla".
Il lavoro sulle opere si conclude al momento giusto, anticipando l'impossibilità di trasportarle: "La misura dei miei lavori è stata finora gestibile. Pesano tantissimo e vanno spostate: se avessi uno spazio industriale probabilmente sarebbe tutto più facile". Quello che cambia è il tempo di realizzazione di un'opera: ci sono progetti che nascono per essere conclusi in un tempo prestabilito, altri che potrebbero potenzialmente durare una vita intera: "A volte inizio sapendo già come andrà a finire, ma ci sono altri lavori che potrei continuare all'infinito. Entrambi gli approcci stimolano domande: cosa riuscirò a fare in un determinato periodo di tempo e quanto invece nel corso di una vita?".
Atelier d'artista
Una serie ideata e realizzata da Francesca Boccaletto e Massimo Pistore
Intervista di Francesca Boccaletto, riprese e montaggio di Massimo Pistore
Con la consulenza artistica di Giulia Granzotto
Tutti gli episodi della serie Atelier d'artista sono QUI