SOCIETÀ

Azioni legali per il clima: ridurre le emissioni è una questione di diritti umani

La lotta al cambiamento climatico viene spesso raccontata come un conflitto generazionale: da una parte i giovani, allarmati dal riscaldamento globale che adombra il loro futuro, dall’altra chi si è messo alle spalle una vita agiata e si disinteressa di ciò che sostanzialmente non è più affar suo.

Ci hanno pensato 2.500 signore svizzere, ultra-sessantenni, a riscrivere questa falsa narrazione e a dimostrare che il cambiamento climatico è un’emergenza già oggi, soprattutto per le persone anziane.

Il gruppo delle Klima Seniorinnen nel 2023 ha presentato una denuncia alla Corte europea dei diritti umani: le patologie legate all’aumento delle temperature colpiscono più duramente le fasce di età più avanzata e la Svizzera non starebbe tutelando a sufficienza le proprie cittadine dagli effetti del riscaldamento globale, perché le politiche climatiche elvetiche non sono in linea con una riduzione delle emissioni di gas serra che garantisca il raggiungimento dell’accordo di Parigi (non oltrepassare i 2°C).

Il 9 aprile la Grande Camera della Corte europea dei diritti umani, con una sentenza storica per le azioni legali in ambito climatico, ha dato ragione alle querelanti. Nella fattispecie, si legge sul sito dell’associazione, “il tribunale ha constatato una violazione dell’articolo 8 [della Convenzione europea dei diritti umani] (diritto al rispetto della propria vita privata e familiare) e riconosciuto lo status di vittima all’associazione Anziane per il clima”.

È la prima volta che una Corte internazionale lega la protezione dei diritti umani alla mitigazione del riscaldamento globale, spiega su Nature Charlotte E. Blattner, ricercatrice all’Institute of Public Law dell’università di Berna, secondo cui “la sentenza è destinata a cambiare il corso della protezione climatica in tutto il mondo”.

Dovranno innanzitutto adeguarsi a proteggere i propri cittadini dagli effetti della crisi climatica i 46 Stati membri del Consiglio d’Europa. Operando una distinzione tra ambizione climatica e mezzi attraverso cui fornire protezione, la Corte ha infatti stabilito che i Paesi “devono adottare e applicare nella pratica le regole e le misure in grado di mitigare i futuri effetti irreversibili, esistenti e potenziali, del cambiamento climatico”.

Per prima dovrà farlo la Svizzera, che per timore di frenare l’economia aveva finora sempre evitato di affrontare la questione della riduzione drastica delle proprie emissioni. Ora dovrà invece stabilire obiettivi, che siano scientificamente solidi e legalmente vincolanti, e una tabella di marcia per raggiungere la neutralità climatica.

La sentenza prevede inoltre che gli Stati forniscano informazioni al pubblico sulle misure climatiche adottate e che nel prendere decisioni venga ascoltato il parere della cittadinanza.

Diversi giornali svizzeri non hanno accolto con favore la decisione della Corte europea, gridando all’intrusione di giudici stranieri nelle politiche nazionali. Blattner ricorda come la democrazia non sia soltanto l’esercizio di voto in cabina elettorale, ma piuttosto una complessa architettura di istituzioni che garantiscono il rispetto dei diritti fondamentali, a prescindere dalla maggioranza chiamata a governare.

Le Klima Seniorinnen hanno ottenuto la loro vittoria presso una Corte internazionale, e questa è la novità, ma in passato altri tribunali nazionali hanno contribuito con le loro sentenze a migliorare l’azione climatica dei propri governi, come scrive anche Sofia Belardinelli in un capitolo del libro Il clima che vogliamo dedicato alle climate litigations.


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Nel 2013 la Fondazione Urgenda, composta da 900 cittadini olandesi, denunciò il proprio Stato per l’insufficiente impegno a limitare le emissioni climalteranti. La prima sentenza arrivò dalla Corte del distretto dell’Aia nel 2015 e impose al governo olandese di ridurre entro il 2020 le emissioni del 25% rispetto ai livelli del 1990.

Seguirono diverse fasi del processo: alla Corte d’appello Urgenda sottolineò come l’Olanda fosse tenuta a rispettare gli articoli 2 e 8 della Convenzione europea dei diritti umani. A dicembre 2019 la Corte suprema sancì che il governo olandese era responsabile della gestione delle emissioni del Paese ed era tenuto a tutelare i diritti umani dei propri cittadini, aggiungendo che ogni Paese è responsabile per il proprio contributo di emissioni.

L’Olanda ha rispettato la sentenza e nel 2020 le sue emissioni erano ridotte di un quarto. Progetta inoltre di dimezzarle entro il 2030, in linea con quanto prevede anche la legge europea sul clima, approvata in via definitiva dal Parlamento Europeo a giugno 2021, che rende legalmente vincolanti gli impegni previsti dal Green Deal europeo per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Anche in Germania un’azione legale avviata da un’organizzazione di cittadini, sostenuta anche da Greenpeace, GermanWatch e Protect the Planet, ha sortito un effetto sulle politiche climatiche del Paese. Nel 2020 nove giovani compresi tra i 15 e i 32 anni si sono rivolti alla Corte federale costituzionale tedesca per denunciare che la legge sul clima della Germania, approvata nel 2019, violava i diritti umani tutelati dalla Costituzione tedesca, non facendo abbastanza per contenere il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C.

Nel 2021 la Corte ha dato ragione ai giovani querelanti e poco dopo il governo tedesco ha alzato l’asticella delle sue ambizioni climatiche: ridurre le emissioni del 65% entro il 2030 e dell’88% entro il 2040.

Sempre nel 2021 anche la Francia è stata riconosciuta colpevole dalla Corte amministrativa di Parigi di aver causato danni ambientali. Non tutte le azioni legali per il clima vanno Però a buon fine.

È il caso di quella mossa nel 2015 contro il governo degli Stati Uniti (nota come Juliana v. United States) che portò a un nulla di fatto. La causa però fu informativa per quelle che vennero dopo. Nel 2020 un altro gruppo di giovani attivisti statunitensi portò in tribunale lo Stato del Montana. Nel 2023 il giudice ha dato ragione ai querelanti: nel rilasciare permessi di estrazione di combustibili fossili senza considerare gli impatti climatici, l’Environmental Policy Act del Montana era incostituzionale.

Anche la prima causa climatica contro lo Stato italiano, chiamata Giudizio Universale, quest’anno è stata dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione nel primo grado di giudizio. Marica Di Pierri, portavoce dell’associazione A Sud a capo dell’iniziativa, ha dichiarato che la decisione verrà impugnata in appello.

Complessivamente nel mondo sono più di 2340 le climate litigations mosse in tutto il mondo non solo contro Stati nazionali, ma anche contro compagnie private. Anche in questo caso, la più importante vittoria legale viene dall’Olanda. 17.000 cittadini e diverse organizzazioni, tra cui Greenpaece e ActionAid, sulla scia della causa allo Stato olandese, nel 2019 hanno denunciato Shell, i cui contribuiti emissivi al cambiamento climatici violerebbero la costituzione olandese e i diritti umani.

Nel 2021 la Corte del distretto dell’Aia ha imposto a Shell di ridurre le proprie emissioni del 45% entro il 2030. L’azienda ha fatto ricorso in appello e il processo non è ancora concluso.

Lo scorso anno invece uno Stato, quello della California, ha fatto causa a 13 aziende dell’Oil & Gas (tra cui BP, ExxonMobil, Chevron, Shell e ConocoPhillips) e all’American Petroleum Institute per miliardi di dollari di danni causati dal cambiamento climatico che hanno contribuito a generare e per avere ingannato per decenni il pubblico a riguardo dei rischi associati al consumo di combustibili fossili.

Sempre nel 2023 invece in Italia è iniziata “La giusta causa”, mossa da 12 cittadini, dall’Associazione ReCommon e da Greenpeace Italia contro Eni, l’azienda energetica partecipata dal ministero dell’economia e da Cassa Depositi e Prestiti.

Il 9 aprile, lo stesso giorno della storica decisione a favore delle Klima Seniorinnen, la Corte europea dei diritti umani ha emesso anche un’altra sentenza. Nel 2020 un gruppo di giovani aveva presentato una denuncia contro 33 Stati europei, incluso il loro, il Portogallo, appellandosi sempre agli articoli 2, 8 e 14 della Convenzione europea sui diritti umani. La Corte a inizio aprile ha giudicato inammissibile, per errori giuridici nella compilazione, la denuncia nei confronti del Portogallo e ha citato ragioni di giurisdizione territoriale per respingere la causa nei confronti degli altri 32 Stati.

Non si tratta tuttavia di una cattiva notizia per chi si batte a favore della giustizia climatica. Come riporta Politico, “la corte sta sostanzialmente dicendo ai querelanti le cui azioni legali vengono respinte come procedere la prossima volta”.

Negli ultimi anni le climate litigations sono cresciute di numero e la prossima ondata, secondo Joana Setzer della London School of Economics, intervistata da Nature, riguarderà l’eccessivo affidamento che le aziende energetiche intendono fare sui sistemi di cattura e stoccaggio del carbonio per ridurre le proprie emissioni: “nei tribunali stiamo iniziando a vedere fino a che punto puoi puntare su tecnologie futuribili o se devi iniziare ad agire subito”.

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