SOCIETÀ

Bartolomeo Sorge, maestro di politica e di laicità

Cultura, capacità di analisi e spiritualità come motori concreti di rinnovamento politico e sociale. Quella che è considerata un’utopia si è realizzata nella vita del gesuita Bartolomeo Sorge, scomparso a Gallarate il 2 novembre. Il presidente delle Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato il suo impegno “a combattere le ingiustizie e la mafia”, lasciando “ai giovani una ricca eredità di valori”, mentre l’attuale direttore di La Civiltà Cattolica Antonio Spadaro lo ha ricordato come “voce profetica che ha accompagnato la ricezione del Concilio Vaticano II nella comunità cristiana”. Giacomo Costa, direttore di Aggiornamenti Sociali (l’altra importante rivista dei gesuiti di cui Sorge era direttore emerito), si è invece soffermato sul suo “infaticabile impegno a fare uscire la Chiesa ‘dalle mura del tempio’ attraverso i suoi scritti e le centinaia di incontri in tutta l’Italia”.

È difficile chiudere in una casella una figura come quella di Sorge, studioso, scrittore, giornalista, consigliere e padre spirituale di potenti e non, che non ebbe mai ruoli pubblici ma che nell’arco di decenni influenzò come pochi la vita politica e sociale italiana. Fu tra i primi ad avvertire le ragioni profonde della crisi italiana, guardando oltre la prima Repubblica e analizzando criticamente il ruolo della Democrazia Cristiana, con il duplice obiettivo di rinnovare la società italiana e la Chiesa cattolica: sempre però nel rispetto della laicità, distinguendo l’ambito pubblico da quello spirituale. Un ruolo e una missione spesso scomodi, ma che hanno fatto del religioso un punto di riferimento non solo per i credenti.

Lo studio e il giornalismo come missione

Ma andiamo con ordine. Nato nel 1929 nell’Isola d’Elba ma trasferitosi in seguito in Veneto con la famiglia, Sorge entra a 17 anni nella Compagnia di Gesù e viene ordinato sacerdote nel 1958. Si specializza in scienze sociali alla Gregoriana, l’università della Compagnia a Roma, per essere destinato nel 1966 al ‘collegio degli scrittori’ de La Civiltà Cattolica: “Qui, prima come redattore e poi come dal 1973 direttore, padre Sorge svolge un ruolo cruciale negli anni del postconcilio – spiega padre Giuseppe Riggio, caporedattore di Aggiornamenti Sociali, collega e amico di Sorge –. Sempre in ascolto rispetto all’esperienza ecclesiale, attento a tutti i semi di cambiamento e ai frutti che in quel periodo stanno maturando”.

La Civiltà Cattolica è la più antica testata in lingua italiana ancora stampata e ha un ruolo peculiare nel mondo cattolico: innanzitutto quello di autorevolissimo think tank, prodotto di punta di un ordine – quello gesuita – che della cultura e della capacità di analisi ha sempre fatto i suoi tratti distintivi; in secondo luogo è anche considerata la voce ufficiosa della Santa Sede, dato che i suoi articoli vengono vistati dalla Segreteria di Stato prima della pubblicazione. In questo senso la rivista è talvolta chiamata a un’azione di vigilanza e di stimolo, lanciando segnali all’interno e all’esterno della comunità ecclesiale ed esponendosi al posto del papa su temi particolarmente importanti.

È in questo periodo che nel 1976 Sorge è determinante nell’organizzare sul tema Evangelizzazione e promozione umana il primo grande convegno nazionale della Chiesa italiana, nel quale il gesuita, chiamato a tenere la relazione finale, porta avanti la visione di una Chiesa che non si rifugia nell’integrismo (definito ‘tarlo del Vangelo’) ma che si dimostra aperta e curiosa verso la società. “È in questo periodo che padre Sorge diviene, sempre con il suo fare discreto, un punto di riferimento per il cattolicesimo democratico – continua Riggio –. Tanti i contatti con uomini politici, in particolare nella Dc, che vengono aiutati a orientarsi in anni difficili dominati da temi come il terrorismo e il dialogo con il Pci. Una fase della vita in cui si trova ad essere spesso in prima linea per il ruolo che riveste e per le sue specifiche qualità spirituali e umane”.

A Palermo, contro la mafia e per una nuova politica

Intanto però nel 1978, dopo il brevissimo pontificato di Albino Luciani, è salito al soglio Giovanni Paolo II. Per Sorge – per il quale per un breve momento è stata addirittura ventilata la nomina a patriarca di Venezia – a un certo punto arriva il momento di cambiare: lascia così nel 1985 la direzione del giornale per iniziare una nuova avventura. “Il periodo a Palermo gli rimarrà sempre molto caro – continua Riggio –. Il ruolo a La Civiltà Cattolica non poteva più essere svolto con la stessa fecondità di prima per una serie di motivazioni. Verso Wojtyła Sorge avrà sempre un grandissimo rispetto, ma forse in un primo momento non capisce il significato storico della sua elezione e il cambiamento che comporta”.

Proprio Palermo però è l’occasione che permette allo studioso e scrittore di uscire dallo stretto ambito ecclesiale per diventare ancora più protagonista della vita civile italiana: sempre però con il suo stile e il suo ruolo, che è quello di intellettuale che non si limita ad essere coscienza critica ma contribuisce ad elaborare visioni e strategie. Il tema è quello della crisi dell’unità politica dei cattolici e delle possibili alternative, anni prima che con Tangentopoli il quadro politico italiano entri definitivamente in crisi.

Per Riggio “se La Civiltà Cattolica è un’istituzione dal profilo definito e chiaro, a Palermo bisogna costruire da zero. Così il primo anno padre Sorge gira tutta la Sicilia, cercando di capire cosa succede sul territorio. In seguito c’è l’incontro con padre Ennio Pintacuda e l’idea di fondare un centro di studi e formazione dedicato a Pedro Arrupe, generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983”. Dopo gli anni bui della collusione tra mafia e politica il centro diventa presto il laboratorio della cosiddetta ‘Primavera palermitana’, luogo di studio, dialogo e confronto in cui Sorge infonde le caratteristiche a lui care: il rigore delle idee, la solidità della preparazione e la capacità di leggere la società senza scadere né in facili ottimismi, né in una cristica sterile e senza prospettive.

Palermo è l’occasione che permette a Sorge di uscire dallo stretto ambito ecclesiale per diventare ancora più protagonista della vita civile italiana

Il centro Arrupe verrà considerato il punto di riferimento per il processo che all’inizio degli anni ‘90 porterà alla formazione della Rete, il movimento di Leoluca Orlando: un esperimento importante perché in quel momento la Chiesa è ancora ufficialmente attestata sulla linea del partito dei cattolici – spiega Enrico Galavotti, docente di storia del cristianesimo e delle chiese presso l’università ‘G. d'Annunzio’ di Chieti-Pescara –. Un’esperienza che all’epoca fa un certo scalpore, anche perché poi Sorge e Pintacuda verranno a lungo bersagliati dall’allora presidente della Repubblica Cossiga, all’inizio del suo biennio da ‘picconatore’”. Già allora insomma Sorge e quello che rappresenta sono invisi a una parte del mondo cattolico: “Forse Cossiga era preoccupato per l’unità del partito, che poi però diventerà a sua volta bersaglio degli strali presidenziali – continua Galavotti –. Sta di fatto che Orlando è tra i primissimi tra l‘89 e il ‘90 a capire che si deve in qualche modo ragionare in maniera diversa sui cattolici in politica: forma quindi una giunta aperta a sinistra, cosa all’epoca quasi inconcepibile”.

A Palermo Sorge si batte anche contro la mafia e la rassegnazione, tenendo alta la speranza e la consapevolezza che anche quella realtà può essere cambiata. Per questo la sua stessa vita è in pericolo e viene messo sotto protezione: Agostino Catalano, il suo caposcorta, verrà ucciso nel 1992 nella strage di via D’Amelio assieme a Paolo Borsellino e ad altri cinque agenti.

L’intesa con Francesco

La vita di Sorge non si ferma, non si fossilizza in un luogo e in ruolo: così, a un’età in cui di solito si va in pensione, inizia per lui una nuova missione in una nuova città. Nel 1997, sempre obbediente alle regole del suo ordine, viene mandato a Milano presso il centro San Fedele, dove va a dirigere l’altra rivista dei Gesuiti Aggiornamenti Sociali, a cui per un periodo più breve si affianca anche la direzione di Popoli. “Sono gli anni dopo Tangentopoli e del cambiamento politico degli anni ‘90 – continua Giuseppe Riggio – e lui dall’osservatorio milanese continua ad accompagnare il cambiamento con lo studio e la riflessione. In una posizione diversa, più libera anche perché il quadro politico è più frammentato, liquido per usare un termine oggi in voga. Continua però ad essere un riferimento per la sua capacità di lettura e di analisi della realtà sociale, nella quale cerca sempre gli elementi che permettano una rigenerazione civile”.

Sono comunque anni in cui il religioso appare meno al centro del dibattito: fino a quando, nel 2013, dopo le dimissioni di Benedetto XVI arriva un nuovo papa. Secondo Enrico Galavotti “con Francesco c’è una sorta di ritorno. Anche Bergoglio è un gesuita, ma credo che entri soprattutto in gioco il fatto che batta su questioni, valori e temi più in sintonia con il pensiero di Sorge, che a sua volta pensa che c’è ancora da fare molto per la ricezione del Vaticano II e probabilmente vede in Francesco qualcuno che lavora in questa direzione”.

L’intesa è profonda sin dall’inizio. Come riferisce Giuseppe Riggio “i due si conoscono già e si stimano da tempo. In seguito la loro relazione si intensifica sulla base di una profonda affinità: Francesco nella prima enciclica Evangeli Gaudium parla di ‘Chiesa in uscita’, mentre già anni prima Sorge aveva scritto dell’esigenza di ‘uscire dal tempio’. Un modo di pensare e di comprendere la realtà che ha una matrice comune tra i due, che è quella del Concilio riletto alla luce della spiritualità ignaziana”. Così durante un incontro nel 2014 in sala Nervi Francesco chiede se padre Sorge è in sala: “A questa domanda risponderebbe molto meglio di me – si schermisce il pontefice – […]. Lui è stato uno bravo, eh? Lui è un gesuita che ha aperto la strada in questo campo della politica”. E quando la redazione di Aggiornamenti Sociali va in visita nei palazzi apostolici i due si abbracciano calorosamente.

Ma l’influenza di Sorge sul papato e, attraverso di esso, sulla dottrina sociale cattolica è molto più ampia. Se già nel 1971 Sorge aveva collaborato alla stesura dell'enciclica Octogesima adveniens, in occasione dell'ottantesimo anniversario della Rerum novarum di Leone XIII, tracce forti del suo pensiero sono ravvisabili nella Fratelli tutti, appena pubblicata da papa Francesco. Una enciclica sociale che dedica espressamente alla politica due capitoli centrali e che individua espressamente come obiettivo polemico il populismo. Sorge non è mai citato tra le note, eppure è difficile non pensare al fatto che questi negli ultimi anni dedico molte delle proprie energie proprio a contrastare il populismo, e a riflettere sul popolarismo come modo di collegare la politica alla società e ai valori forti sull’esempio di don Sturzo.

Nell’ultima parte della sua vita Sorge si impegna anche per il rinnovamento ecclesiale, attraverso la richiesta – proprio dalle pagine de La Civiltà Cattolica, con la quale torna a collaborare – di un nuovo sinodo della Chiesa italiana. E proprio citando un suo articolo papa Francesco un giorno si rivolge ai fedeli: “Non perdete il coraggio, perché poco tempo fa ho letto qualcosa di una chiarezza che ha fatto tremare, non dico la politica italiana, ma sicuramente almeno la Chiesa italiana!”.

La politica come missione e come passione, ma sempre come intellettuale, come colui che ispira piuttosto che decidere concretamente. Così nell’ultima parte della sua vita Sorge diventa anche… influencer, con i suoi tweet ripresi da migliaia di follower. “In un uomo anziano c’è il rischio di rifugiarsi in ricordi e rimpianti, ma per lui non è mai stato così: ha sempre avuto la mente e lo sguardo rivolti al futuro – conclude Riggio –. Anche il fatto che a 88 anni si sia messo a twittare ci dice il suo gusto per il presente, ma anche la sua curiosità”.  Senza mai essere banale e senza fare sconti a nessuno: se da una parte spesso attacca la politica migratoria di Matteo Salvini, definito ‘ministro della paura’, dall’altra non ha paura di ribadire l’insegnamento della Chiesa anche quando esso è meno in sintonia con il pensiero moderno su temi scottanti come aborto, eutanasia e unioni gay. Perché, dice Enrico Galavotti, è spesso superficiale applicare le categorie politiche agli uomini di Chiesa: “Ci sono personaggi che possono apparire progressisti ma in realtà sono molto radicati nella tradizione, la quale a volte può essere un forte spunto di rinnovamento”. Proprio come in Bartolomeo Sorge, gesuita. “Mancherà anche ai suoi avversari” ha detto qualcuno, e non c’è ragione di dubitarne.

Si ringrazia Elisabetta Menegatti per la collaborazione.

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