SCIENZA E RICERCA

I cani possono leggerci nel pensiero?

Che intenzioni ha quella persona che ci sta guardando e ora ci viene incontro? Sorride? È alterata? È spaventata? La sua postura tradisce forse una certa insicurezza? La capacità di “leggere la mente” dei nostri simili e di indovinare, quindi, le loro intenzioni osservandone il comportamento, le espressioni del viso o il modo di muoversi rappresenta senza dubbio un vantaggio nelle interazioni sociali. Riuscire a capire senza troppo sforzo cosa hanno in mente i nostri simili quando si avvicinano a noi è utile non solo perché ci permette di dare un senso ai contesti sociali in cui ci troviamo, ma anche perché ci aiuta a prevedere, almeno in parte, il loro comportamento futuro e a prepararci per agire di conseguenza.

Alcuni studiosi di biologia cognitiva animale si sono domandati, quindi, se anche i cani siano capaci di intuire le motivazioni dietro le azioni dei loro padroni e amici umani. Infatti, noi non siamo certo gli unici ad aver sviluppato e acquisito questa capacità. Anche per altri animali è fondamentale saper interagire, cooperare e relazionarsi con gli altri per sopravvivere e far funzionare l’ambiente sociale.

Uno studio del 2004 ha dimostrato, ad esempio, che gli scimpanzé di uno zoo assumevano un atteggiamento diverso nei confronti degli esseri umani a seconda che questi ultimi dimostrassero di voler dare o di voler negare loro del cibo. In un recente studio (ancora in preprint), lo psicologo Christoph Völter, dell’università di medicina veterinaria di Vienna, e coautori hanno deciso di condurre un esperimento molto simile con i cani. Come sottolineano gli autori, infatti, è stato dimostrato sperimentalmente che questi ultimi sono in grado di comprendere il significato dei diversi gesti, espressioni facciali o modi di parlare che utilizziamo per relazionarci con loro.

Hanno perciò sottoposto due gruppi di cani da compagnia, ognuno composto da 48 esemplari di razze diverse, a una serie di esperimenti, per comprendere se fossero in grado di distinguere tra uno “sgarbo” fatto per dispetto o per inettitudine. L’esperimento si è svolto in questo modo: in ogni sessione, della durata di 30 secondi, uno dei cani veniva condotto in una stanza, dove aveva la possibilità di muoversi liberamente. Nella stanza sedeva uno sperimentatore, il quale era separato dall’animale da un pannello trasparente sul quale era stato ritagliato un foro delle dimensioni di una pallina da golf.

Lo sperimentatore mostrava un pezzetto di salsiccia al cane da dietro il pannello e, una volta catturata la sua attenzione, si comportava come se volesse passarglielo attraverso il foro. Eppure, non lo faceva mai. In un primo esperimento, infatti, lasciava cadere a terra il bocconcino come se questo gli fosse sfuggito dalle mani per errore, oppure fingeva di non essere capace di spingerlo attraverso il foro. In un altro esperimento, invece, lo allontanava con un gesto deciso proprio quando il cane avvicinava il muso. Il movimento compiuto dallo sperimentatore in ognuno dei due casi era quasi identico; era il suo atteggiamento ad essere diverso. Nel primo caso, infatti, l’umano faceva credere al cane di essere animato da buone intenzioni ma incapace di passargli la carne attraverso il foro. Nel secondo caso, invece, gli toglieva il cibo da sotto il naso giusto un momento prima che stesse per afferrarlo, proprio per infastidirlo.

I cani hanno dimostrato di saper distinguere quando il cibo veniva negato loro per dispetto oppure per errore. Quando si sentivano presi in giro, assumevano un comportamento quasi frustrato. In quel caso, infatti, tendevano ad allontanarsi dal foro più velocemente a non voler più interagire con lo sperimentatore che li aveva ingannati. Al contrario, quando credevano che l’umano che cercava di dare loro del cibo fosse semplicemente goffo, solevano pazientare davanti al foro nel pannello più a lungo. Völter e coautori hanno appurato che questo succedeva anche in un ulteriore esperimento in cui il foro era stato otturato. Anche in quel caso, infatti, gli animali confidavano nell’onestà dell’umano dall’altra parte della barriera, cercando di indicargli una via alternativa per effettuare il passaggio di cibo.

Per indagare le risposte dei cani durante i diversi esperimenti, Völter e colleghi non solo hanno monitorato i tempi di attesa e reazione di questi ultimi, ma si sono serviti anche di un software di intelligenza artificiale basato su una tecnologia di tracciamento 3D. Questo software aveva il compito di analizzare i video registrati da alcune telecamere che avevano ripreso i cani da più angolazioni durante l’esperimento. L’uso di questa tecnologia conferisce un ulteriore valore allo studio in questione. Infatti, un’osservazione effettuata da un software è per certi versi più affidabile rispetto a una fatta da un essere umano, non solo per la capacità del sistema di rilevare anche i più microscopici movimenti del corpo (in particolare, della coda) degli animali, ma anche perché gli sperimentatori umani, loro malgrado, rischiano sempre di essere vittime di qualche bias cognitivo e di interpretazione che li spinge, ad esempio, a notare prevalentemente alcuni comportamenti rispetto ad altri. È quindi grazie all’uso di questa tecnologia che Völter e coautori si sono resi conto, ad esempio, che i cani tendevano effettivamente a scodinzolare di più quando credevano che le intenzioni dello sperimentatore fossero buone.

In un ultimo esperimento, gli autori hanno provato a studiare il comportamento dei cani quando dietro al pannello stavano seduti contemporaneamente due sperimentatori, di cui uno goffo e uno dispettoso. C’era da aspettarsi, infatti, che una volta capito chi dei due fosse animato da buone intenzioni (a differenza dell’altro), i cani avrebbero sviluppato una preferenza nei suoi confronti. Eppure, in questo caso i risultati non sono stati concludenti. Per quanto i cani tendessero sempre ad essere meno pazienti con gli sperimentatori dispettosi, non per questo tendevano ad avvicinarsi a questi ultimi significativamente meno spesso. Il motivo di questo mancato risultato potrebbe essere dovuto al fatto che le sessioni degli esperimenti avevano una durata troppo breve (30 secondi) perché un cane potesse sviluppare una preferenza per uno sperimentatore rispetto all’altro.

In ogni caso, il lavoro di Völter e coautori fornisce qualche indizio in più riguardo al funzionamento cognitivo di un animale quando cerca di capire le intenzioni di un individuo di un’altra specie. Resta ancora tutto da scoprire se questa capacità sia innata nei cani, e quindi codificata da qualche parte dentro il loro DNA, oppure venga acquisita nel corso di una vita trascorsa a osservare gli esseri umani e a interagire con loro.

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