SCIENZA E RICERCA

Capire la Groenlandia... In profondità

Lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia, in atto ormai da decenni e a un ritmo sempre più rapido, è tra gli osservati speciali quando si effettuano previsioni su come procederà in futuro l’innalzamento dei livelli di mari e oceani. Secondo uno studio, appena pubblicato su Nature Communications, i ghiacciai settentrionali dell’isola danese, a lungo considerati stabili, hanno perso più del 30% del loro volume totale dal 1978 ad oggi e la fusione di queste masse di ghiaccio ha contribuito ad oltre il 17% dell’innalzamento del livello del mare osservato tra il 2006 e il 2018.

Quanto agli scenari per il futuro gli attuali modelli climatici presentano un certo grado di incertezza, dovuto al fatto che gli effetti di feedback tra ghiacci, oceano e atmosfera sono molto complessi e non sono ancora stati del tutto compresi. Tuttavia non vi sono dubbi sul fatto che la fusione della calotta glaciale della Groenlandia contribuirà in modo rilevante a far salire il livello dei mari e probabilmente lo farà ad un tasso superiore rispetto alle previsioni effettuate nel 2021 dall'Ipcc: una ricerca, pubblicata alla fine del 2022 su Nature Climate Change, ha calcolato che lo scioglimento di questi ghiacci artici potrebbe far alzare i mari di oltre 27 centimetri entro la fine del secolo, anche se il mondo rinunciasse sin da subito ai combustibili fossili. In uno scenario più realistico, di riduzione parziale e graduale delle emissioni di anidride carbonica, l’innalzamento potrebbe sfiorare gli 80 centimetri. Numeri enormi se si pensa alle conseguenze che già oggi derivano da un innalzamento del mare che dal 1880 ai giorni nostri è stato di 20 centimetri, ben più che sufficienti per minacciare in modo concreto molte aree costiere in tutto il mondo.

Fin qui abbiamo brevemente parlato di studi basati su immagini satellitari e modelli climatici. Ma c'è anche un'affascinante linea di ricerca che ha l'obiettivo di estrarre (nel vero senso della parola) la storia ambientale della Groenlandia conservata sotto al ghiaccio, nel tentativo di comprendere meglio la vulnerabilità dell'isola al cambiamento climatico anche sulla base di come la calotta glaciale ha risposto ai periodi passati di riscaldamento globale. Uno dei progetti più importanti si chiama GreenDrill, è guidato dalla Columbia University, ha una durata quinquiennale e può contare su sette milioni di dollari di finanziamenti e su tecnologie all'avanguardia.

Nel giugno del 2023 il team di ricercatori che sta portanto avanti questo ambizioso progetto, condotto insieme ad esperti ed ingegneri di un programma di trivellazione del ghiaccio finanziato dalla National Science Foundation degli Stati Uniti, è riuscito a perforare oltre 500 metri di ghiaccio a Prudhoe Dome, nella Groenlandia nordoccidentale e a portare in superficie 7,4 metri di sedimenti e rocce ghiacciate. Si tratta di un risultato particolarmente rilevante non solo perché erano diversi decenni che non venivano effettuati carotaggi di questo tipo, ma anche perché contiene molto più materiale roccioso di quanto sia mai stato raccolto sotto il ghiaccio della Groenlandia. La missione non è stata priva di difficoltà e, come ripercorso anche in un avvincente podcast pubblicato qualche giorno fa dal Washington Post, c'è stato un momento particolarmente critico in cui la trivella utilizzata per la perforazione non riusciva più a proseguire il suo percorso attraverso il ghiaccio per raggiungere le rocce di cui gli scienziati avevano bisogno. 

Per comprendere se in passato le rocce e i sedimenti estratti in profondità siano mai stati esposti all'aria (e dunque siano mai stati "liberi" dalla presenza di uno spesso strato di ghiaccio sovrastante), gli scienziati cercano gli isotopi radioattivi che vengono prodotti nella roccia in seguito all'esposizione ai raggi cosmici, le particelle ad alta energia provenienti dallo spazio che bombardano costantemente la Terra. 

Le analisi preliminari condotte dal team di GreenDrill e presentate per la prima volta l'11 dicembre in una riunione dell'American Geophysical Union a San Francisco, suggeriscono che il nucleo roccioso estratto a 500 metri di profondità dai ghiacci della Groenlandia settentrionale contiene alti livelli di berillio-10, che è uno degli isotopi chiave utilizzati per scoprire se il substrato roccioso abbia attraversato dei periodi in cui era esposto all'aria. 

La quantità di berillio-10 rilevata dalle prima analisi corrisponde a circa 40.000 anni di esposizione all’aria, ha spiegato Allie Balter-Kennedy, geologa glaciale presso il Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, precisando però che la ricerca è ancora ad una fase preliminare perché i sedimenti potrebbero essere stati disturbati o spostati e le misurazioni devono ancora essere confermate. A sostenere l'ipotesi che la Groenlandia, o almeno la parte che è oggetto delle indagini del progetto GreenDrill, non sia sempre stata ricoperta da ghiaccio in modo stabile è anche il fatto che sono state rilevate quantità minori di berillio-10 nella roccia sotto il sedimento, il che è coerente con l'eventualità che il materiale fosse tutto esposto all’aria. Il contatto con i raggi cosmici potrebbe essere avvenuto in un singolo evento continuo o, più probabilmente, nel corso di più episodi distribuiti negli ultimi milioni di anni. 

Inoltre, i ricercatori hanno calcolato che se in passato il sito del Prudhoe Dome è rimasto effettivamente privo di ghiaccio, sia per brevi che lunghi periodi di tempo, allora la Groenlandia deve essersi sciolta abbastanza da contribuire tra i 19 e i 73 centimetri all’innalzamento globale del livello del mare. La firma chimica sigillata nella roccia può quindi raccontare la storia di come la calotta glaciale ha reagito davanti ad altri momenti di riscaldamento globale che, a differenza di quello attuale, non erano collegati alle attività dell'uomo. 

I risultati preliminari del progetto GreenDrill confermano e rafforzano quanto emerso anche da precedenti ricerche che hanno indagato che aspetto avesse la Groenlandia durante il suo passato geologico. Uno studio pubblicato qualche mese fa su Science, basato sulle analisi effettuate su un campione per lungo tempo "dimenticato" in un congelatore dell'università di Copenhagen (si trattava di un carotaggio effettuato negli anni ’60 dagli scienziati che, in piena guerra fredda, lavoravano in una base militare americana a Camp Century nella Groenlandia nord-occidentale) ha rivelato che circa 400 mila anni la quasi totalità del paesaggio della Groenlandia era una tundra. Per fornire prove dirette dei tempi e della durata del periodo di assenza di ghiaccio, avvenuto durante una fase di riscaldamento all'interno del periodo interglaciale denominato Marine Isotope Stage 11, gli scienziati si sono avvalsi di tecniche avanzate di luminescenza e isotopi e sono riusciti a rintracciare rari isotopi di berillio e alluminio che si formano per effetto dei raggi cosmici provenienti dallo spazio. 

Il nucleo di roccia più lungo mai estratto dallo spesso strato di ghiaccio della Groenlandia potrebbe adesso rivelare informazioni preziose sulla rapidità con cui la copertura ghiacciata dell’isola si scioglierà man mano che il pianeta si riscalda. Questo materiale roccioso, custodendo una firma chimica del passato, può essere in grado di fornire importanti indizi su cosa può accadere alla Groenlandia in futuro e sulle ripercussioni dello scioglimento dei suoi ghiacci sull'intero pianeta.

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