CULTURA
Capitali della cultura, la magnifica isola di Procida, già isola carcere
Andiamoci piano con le capitali della cultura. Celebrare una gerarchia culturale è un rischio da correre con qualche timore e con mille (meticce) avvertenze o accortezze. La designazione va presa come valore relativo, come strumento contingente, come occasione prospettica; ciò vale probabilmente per ogni ambito gerarchico dei meriti e dei manufatti umani, particolarmente quando si tratta di insediamenti antropici dove da millenni o secoli si stratificano e mescolano geni e culture, povertà e ricchezze, densità e marginalità, centralità e indifferenza, concorrenze e suscettibilità, in ecosistemi comunque molto biodiversi, con innumerevoli emigrazioni e immigrazioni in uscita ed entrata. Essere “capitale” vuol dire che per un anno i riflettori della pubblica attenzione sono puntati un poco di più su quel luogo e su quegli abitanti, c’è un sostegno finanziario pubblico per le iniziative che vi si svolgono, lì bisogna prepararsi per tempo e a dovere, aggiornando tracce antiche e lasciando nuove tracce. Capitali della cultura in Europa esistono dal 1985, la prima fu Atene; in Italia dal 2015, le prime furono Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna, Siena.
Un dettaglio dell'acropoli di Atene
Fino al 2004 l’indicazione avveniva solo su basi intergovernative, poi sono state coinvolte le istituzioni comunitarie, con valutazioni e sopralluoghi unitari, sottolineando che ogni membro dell'Unione doveva avere l'opportunità di ospitare a turno la capitale della cultura, per esempio la città di Lussemburgo è stata nominata già due volte. Nel complesso hanno avuto il “titolo” 5 città nei primi cinque anni, 9 nei successivi cinque, 8 nel solo anno duemila, 15 fra il 2001 e il 2009, 20 fra il 2010 e il 2019. Ormai le designate saranno comunque due ogni anno (insieme a Matera c’era la bulgara Plowdiw, un antico insediamento connesso pure all’impero romano) e si sa già quanto toccherà di nuovo all’Italia, fra molti anni. Attualmente “in carica” sono Fiume (Croazia) e Galway (Irlanda), detentrici dell’appellativo e del progetto per il 2020 e per i primi quattro mesi del 2021. Causa emergenza sanitaria legata alla pandemia, infatti, è stato proposto di rinviare al 2022 la designazione successiva.
La città di Galway, Scozia
Dovrebbero essere Timișoara (Romania), Elefsina-Eleusi (Grecia) e Novi Sad (Serbia, paese candidato) nel 2022; Kaunas (Lituania) ed Esch (Lussemburgo) nel 2023, Veszprém (Ungheria) nel 2024, Tartu (Estonia), Bodø (Norvegia, paese EFTA/SEE) e Bad Ischl (Austria) nel 2025. Per il futuro le città che desiderano ottenere il titolo di capitale europea della cultura dovrebbero attendere l'annuncio di un concorso nel proprio paese, quindi presentare una proposta dopo la pubblicazione dell’invito ufficiale. I concorsi per il 2025 (ovvero forse il 2026) si sono conclusi nel 2020: in Germania è stata prescelta Chemnitz, in Slovenia, Nova Gorica. Nel 2026 (2027) la Finlandia e la Slovacchia saranno gli Stati europei ospiti della futura capitale. E così via.
Trent’anni dopo la prima esperienza europea si è deciso che poteva esserci una dinamica annuale tutta e sola nazionale, un incentivo specifico alla valorizzazione dei beni e valori artistici, culturali e turistici dell’Italia, per i nostri concittadini e per chiunque voglia o possa goderne. Nel 2014 era stata indicata Matera capitale europea per il 2019, lo si considerò un “titolo” valido anche in Italia (senza designazione nazionale ulteriore) e si fissarono specifiche modalità di candidatura, selezione e scelta per gli anni successivi. Una commissione, nominata dal Ministero dei beni e delle attività culturali(vedremo cosa accadrà dopo lo “scorporo” del Turismo), esamina le proposte avanzate dalle stesse città, corredate di dettagliati motivazioni e progetti. Fin dal dicembre 2014 è poi il Consiglio dei Ministri a suggellare il percorso, conferendo il titolo.
Per il 2015 furono indicate tutte insieme le altre cinque città partecipanti alla selezione europea (accanto a Matera): Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna, Siena. Nel 2016 fu Mantova, nel 2017 Pistoia, nel 2018 Palermo, infine nel 2020 Parma, dopo che ben 44 città avevano manifestato il loro interesse, inviando un dossier. Parma lo resterà per tutto l’anno in corso, vista la nota prolungata sospensione delle attività e dei servizi dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura disposta dai provvedimenti di contenimento dell'epidemia da Covid-19. Intanto, il 4 agosto 2020 sono state rese note le 28 città candidate per il 2022, vi è stata la solita prima selezione di dieci e, a gennaio 2021, il titolo è stato conferito a Procida, designando poi Bergamo e Brescia per il 2023, in via straordinaria e in deroga rispetto alla procedura ordinaria, al fine di promuovere con un progetto unitario il rilancio socio-economico e culturale dell'area più colpita dall'emergenza sanitaria. Il progetto vincitore di Procida, capitale italiana della cultura, consta di almeno 44 iniziative culturali, 330 giorni di programmazione, 240 artisti, 40 opere originali e 8 spazi culturali rigenerati.
Procida
Procida! Una piccola isola di 3,7 km², 370 ettari; 16 chilometri di frastagliato perimetro, a soli 3,4 chilometri dalla terraferma campana (ma fino al 1907 aveva mantenuto un avamposto sulla penisola); meno di cento metri sopra il livello del mare, anche nel punto collinare di massima altezza (dove fu costruito un borgo medievale fortificato, poi destinato a carcere); oggi più di diecimila abitanti (probabilmente, il luogo europeo più densamente popolato per metri quadri, a fine Settecento erano ancor di più), con tre piccoli porticcioli; all’interno di un comune parte di un Parco Regionale e di un’Area Marina Protetta nazionale, nel cui territorio c’è oltretutto il minuscolo isolotto di Vivara (0,4 km², abitato dai Romani, oggi un’oasi naturalistica collegata da un ponte); Procida e Vivara entrambe fra le quattro isole Flegree, che comprendono inoltre la minuscola Nisida (0,7), davanti a Bagnoli (abitata e carcere ancor oggi) e Ischia, più lontana e grande (46,30 3,7 km²), tutte nel quadrante occidentale dell’area metropolitana di Napoli e nella parte nord del relativo golfo.
Procida è un luogo bellissimo, si sa, in tanti ci sarete già andati, oppure molti lo avete ammirato da traghetti e aliscafi che talvolta vi fanno scalo diretti a Ischia (ottava isola italiana per grandezza, terza per abitanti), primo insediamento greco sulla penisola e meta turistica e termale per milioni di visitatori l’anno. Siamo in quegli ardenti campi “flegrei” nei quali arrivarono gli antichi Greci, spintisi a fondare Cuma (lì vicino) dalla quale nacque poi Parthenope, navigando nel Mediterraneo verso un’area tutta e intensamente vulcanica, dal punto di vista geologico. La stessa Procida “nacque” da eruzioni di almeno quattro diversi vulcani (databili tra 55.000 e 17.000 anni fa), oggi completamente spenti e in gran parte sommersi, individuabili attraverso le caratteristiche rocce tufiche e basaltiche. L’origine del nome dell’isola ha più ricostruzioni dal greco e poi, direttamente, dal latino, con innumerevoli connessi miti e dei. “La cultura non isola” è lo slogan brillante ed intelligente che ha accompagnato Procida al titolo di “capitale”. Colori, odori, sapori, suoni, immaginari: la sfida di un turismo lento e a misura di umani sapienti.
Un’isola, Procida! Fra le città europee non vi sono mai state città isole, è un evento unico e straordinario; non può essere considerata tale l’islandese Reykjavik (nel 2000), capitale e principale “metropoli” (circa 12.000 abitanti) dell’isola Stato; probabilmente nemmeno la neolitica cipriota Paphos-Pafo (nel 2017) e la capitale maltese La Valletta (nel 2018), splendide città portuali dentro ecosistemi insulari molto più grandi e variegati. Qui siamo in una piccola isola, una delle tante di cui è costellato il nostro mare. Le isole del Mediterraneo sono migliaia, solo l’Italia ha oltre 800 isole giuridicamente appartenenti alla Repubblica (marittime, lagunari, lacustri e fluviali). La superficie complessiva supera i 50.000 km² (circa un sesto del totale italiano), solo un’ottantina sono abitate. Circa 30 sono considerate “minori”(non le piccolissime, ovviamente; quelle grandi escluse Sicilia e Sardegna), distribuite in 36 comuni con circa 200.000 abitanti, lo 0,3% sia della popolazione che della superficie nazionali. Tutte le isole, tanto più quanto sono piccole, costituiscono una specificità biologica e culturale, sono peculiari ecosistemi, marini e terrestri insieme, nei quali i sapiens, navigatori per quanto residenti e comunque meticci, hanno enfatizzato a proprio modo la dimensione “isolata”. Viverci e rifletterci sopra è un’occasione fertile per tutti. A Procida, dunque!
Un’isola carcere, Procida, va aggiunto e segnalato! In Italia vi sono state e vi sono quasi quaranta piccole isole che hanno ospitato luoghi di detenzione, per provocare una realtà di massimo isolamento, Seiunctio, Isolation, Isolation, Aisliamiento, Isolamento, Isolierung, cose così . La storia umana antica, moderna e contemporanea conosce ovunque moltissime isole dove sono stati deportati individui (non solo nella finzione letteraria o cinematografica), isole più o meno grandi e lontane (anche minuscole e sperse), più o meno abitate e costruite (anche quasi deserte e senza penitenziari). Chiamiamo tutto ciò “doppio isolamento”, la deportazione in un’isola a scopo detentivo, come ulteriore deportazione forzata interna alla (complicata) convivenza umana; la specie umana ha accresciuto enormemente la capacità migratoria, prima camminando, poi navigando; le «altre» deportazioni e migrazioni forzate dipendono dal clima e dalle guerre (Refugees ed ecoprofughi).
C’è una storia e geografia delle isole-carcere (questione anche di toponomastica); di deportazioni, fughe e morti; di detenuti, guardie, residenti, coloni, fuggitivi, pirati. In isole di ogni continente sono stati incarcerate «famose» personalità storicamente rilevanti, considerate pericolose per il potere costituito: Seneca, Napoleone, Mandela, Öcalan, Gramsci, Pertini, Riina, ecc. A Procida per esempio: Luigi Settembrini, Junio Valerio Borghese, Frank Mannino. È un uso delle isole che andrebbe cancellato ora e per il futuro, ma che non può essere dimenticato. Le isole vanno sempre più vissute come residenza di liberi cittadini, meta di turismo ecologico e ambientale, culinario e vitivinicolo (sono celebri i vini greci e romani dei Campi Flegrei e da quasi mille anni i vigneti di Procida), luogo di pesca e incontro, di meditazione e svago, parco aperto e museo multiforme. A futura e presente memoria è bene riflettere sul valore biologico delle piccole isole e sulle imposte detenzioni umane nelle isole. La cultura aiuta a non isolare mai più altri di noi in un’isola.
Sarebbe auspicabile che nel 2022 si prestasse una qualche attenzione alle isole carcere. A Procida l’uso detentivo dell’insularità è durato a lungo, mai esclusivo ma rilevante; almeno dal 1830 al 1988; dal 1985 per tre anni vi si è collocato addirittura un carcere di massima sicurezza. Fin dai Borbone la sede prescelta fu il borgo fortificato di origine medioevale. il noto Palazzo d’Avalos (costruito nel Cinquecento insieme alle mura dalla famiglia D’Avalos), un bagno penale borbonico “isola nell’isola”, sulla collina di Terra Murata (primitivo nucleo abitativo dell’isola) con vista mare (91 metri). Dal 2013 l’ex carcere di Procida, ben venticinque anni dopo la sua dismissione (1988), è stato acquisito al patrimonio comunale. Oggi è visitabile su prenotazione e si stanno definendo gli interventi e le misure per valorizzare i “beni culturali” presenti: il tenimento agricolo; l’opificio; il belvedere sulla Spiaggia dell’Asino; il cortile rinascimentale; l’edificio delle “celle singole” e quello dei “veterani”; la Caserma delle guardie, la Medicheria e la Casa del Direttore.
Le isole non sono luoghi migliori o peggiori di altri; sulla Terra ogni terra ha qualche mare intorno e qualche opportunità di vita; per i successi e gli insuccessi dell’esistenza qualcosa dipende dalle grandezze e dalle piccolezze, dalle migrazioni possibili dei fattori biotici, dalla biodiversità, dall’evoluzione. Le isole, comprese le piccole isole, non sono ecosistemi umani migliori o peggiori, però hanno una specificità cruciale: per sopravvivere e riprodursi lì, per decine di migliaia di anni, ai sapiens non è bastato soltanto saper camminare. Per decine di migliaia di anni noi sapiens siamo dovuti arrivare sull’isola ed eventualmente ripartire dall’isola via mare, nuotando in rari casi, più spesso navigando, da una certa fase in poi, in modo più o meno casuale, in modo più o meno scientifico, in modo più o meno permanente. Anche negli ultimi secoli, il mare resta imprescindibile confine e risorsa di un’isola a qualsiasi latitudine o longitudine, a trecentosessanta gradi. Fare di un’isola una “capitale” è scegliere come sintesi ed esempio la vita umana di terra e di mare. Anche sotto questo punto di vista, Procida è un’ottima unica capitale della cultura, la piccola Procida a un tiro di schioppo da Greci e Romani, da normanni e aragonesi, da marinai e pirati, da pescatori e artisti, da Boccaccio ed Elsa Morante, da Sophia Loren a Sordi (detenuto in attesa di giudizio), da Troisi a Giannini, da Noiret a Damon.