No, crescita e ambiente non sono strutturalmente contrapposti: proprio dal mondo economico può anzi arrivare lo stimolo verso abitudini e processi produttivi più sostenibili, a patto che anche politica e pubblica amministrazione facciano la loro parte. Questo perlomeno è quello che Alessio Terzi, giovane economista in servizio presso la Commissione Europea e docente a SciencesPo Lille e alla Hec di Parigi, argomenta in Growth for Good. Reshaping Capitalism to Save Humanity from Climate Catastrophe (Harvard University Press 2022).
Un’analisi che suscita interesse in un momento in cui proprio crescita e sistema capitalistico vengono sempre più messi in discussione, di fronte alla crisi ambientale e all’esplosione delle disuguaglianze. “Il libro in qualche modo ripercorre gli stadi della storia umana per dimostrare che tecnologia, innovazione e crescita sono strettamente connesse: la crescita c'è stata fin dall'inizio della civiltà e non è quindi il risultato delle emissioni di CO2 associate alla rivoluzione industriale", spiega Terzi a Il Bo Live durante la presentazione-lezione del libro presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali "Marco Fanno", presso il quale è stato presentato il nuovo curriculum in Environmental Economic and Green Finance del corso di laura magistrale in Applied Economics. Il fatto dunque che l’attuale modello di sviluppo (basato su produzione di massa, largo impiego delle risorse minerali e fossili e induzione al consumo compulsivo) rischi di portare l’umanità al disastro non significa insomma che con l’acqua sporca si debba buttare anche il bambino, ovvero il progresso tecnologico, l’aumento del benessere e la maggiore durata della vita.
Intervista di Daniele Mont D'Arpizio, montaggio di Barbara Paknazar
Più che insomma puntare sulla decrescita, pure auspicata da qualcuno, secondo l’economista si deve piuttosto riflettere su nuovi modelli di sviluppo, dato che quest’ultimo è in qualche modo connaturato all’agire e alla stessa natura dell’essere umano. Discorso in parte diverso, ma collegato, è se la ricerca di questi nuovi paradigmi possa avvenire in un’economia di libero mercato, per quanto regolato, oppure ci si debba rivolgere a sistemi più dirigisti. “La mia non è una crociata in difesa del capitalismo in quanto tale – continua l’economista –; se però assumiamo che oggi abbiamo un particolare bisogno di sviluppare e diffondere tecnologie, allora i sistemi capitalistici, soprattutto se accompagnati dalla democrazia e dal rispetto delle libertà fondamentali, sono da questo punto di vista i migliori tra quelli sperimentati finora. Da solo il capitalismo non ci salverà magicamente, ma possiamo dunque riflettere sui modi per riorientarlo in modo da utilizzarlo come alleato nella lotta contro il cambiamento climatico”.
Una posizione che di fatto giustifica gli ultimi provvedimenti messi in atto soprattutto dall’Unione Europea: dal Green Deal al recente bando dei motori termici a partire dal 2035. Decisioni che in qualche modo agiranno profondamente tanto sul sistema produttivo quanto sulla società nel suo complesso, e che secondo i critici rischiano di danneggiare non solo l’industria europea ma anche le fasce deboli delle nostre società. Critiche che però non convincono Terzi, secondo il quale la transizione ecologica rappresenta di fatto una nuova rivoluzione industriale: “Quello che tento di dire è che non possiamo evitare il cambiamento: se lo ignoriamo questo avverrà altrove. Meglio quindi cercare di diventare pionieri di queste tecnologie; se ci riusciamo questo genererà profitti da ma anche posti di lavoro”.
“ L'Italia ha già perso il treno del digitale, non possiamo perdere anche quello della crescita verde
“Le premesse sono buone – continua Alessio Terzi –: alcuni primi studi ci dicono che la rivoluzione verde è diversa da quella digitale, che prevedeva la concentrazione della ricchezza e del potere in poche grandi aziende che operano a livello mondiale, con una grande produzione di valore ma pochi posti di lavoro. La rivoluzione verde non sarà così: si tratterà inizialmente di un grosso investimento infrastrutturale, che poi richiederà anche una costante manutenzione che non potrà essere facilmente delocalizzata. Ci sono dunque le premesse per creare tanti nuovi posti di lavoro: bisogna però essere tra i pionieri e non limitarsi alle battaglie di retroguardia”. Un monito che vale soprattutto per l’Italia, afflitta da decenni di crescita molto debole: “è una sfida che possiamo vincere, rimanere ancorati al passato non è una buona strategia di crescita. L'Italia ha già perso il treno del digitale, non possiamo perdere anche quello della crescita verde”.