I dati non mentono: sempre più persone utilizzano i pagamenti digitali (carte di credito o debito oppure app sul proprio smartphone) per gli acquisti di tutti i giorni, anche per pagare un semplice caffè al bar. Il governo ha deciso di sfruttare questo trend per combattere uno dei punti deboli del sistema economico italiano: l’evasione fiscale. Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha deciso di attivare il cashback di Stato, una misura prevista dalla Legge di bilancio del 2019 con l’obiettivo di promuovere queste tipologia di pagamento, utile anche in un momento come questo per evitare il contatto tra persone.
Il Cashback di Stato di Francesca Bastianon
Che cos’è il cashback?
Il cashback non è altro che il termine inglese per indicare un rimborso parziale di una spesa sostenuta e può avvenire attraverso una percentuale della somma spesa oppure una cifra già stabilita. Nel nostro caso si tratta della prima opzione: lo Stato ha previsto un rimborso del 10% sulle spese eseguite tramite pagamenti digitali che comprendono: carte di debito e di credito, bancomat, bonifici bancari, piattaforme di pagamento oppure app collegate al proprio conto corrente. Gli acquisti, secondo le linee presentate dal governo, devono essere effettuati solo nei negozi fisici: nelle spese online è già possibile tracciare il pagamento, a differenza di alcune attività economiche fisiche ritenute a rischio d’evasione come ristoranti, bar, parrucchieri etc.
Come funziona il cashback di Stato?
Per poter partecipare all’iniziativa, il governo ha deciso che l’iter per la richiesta di rimborso debba essere elaborato attraverso l’app IO dedicata ai servizi della Pubblica amministrazione, registrandosi tramite la propria identità Spid. Il cashback sarà su base semestrale, con un massimo complessivo di 3.000 euro annui; tuttavia, per incentivare ancora di più l’utilizzo di pagamenti digitali, probabilmente sarà stabilito anche un minimo di transizioni utili a richiedere il rimborso, puntando sulla quantità e includendo così anche le piccole spese. In termini pratici: il cashback di Stato è del 10% quindi se un cittadino riesce ad arrivare alla cifra massima per il cashback, a fine anno gli verranno rimborsati 300 euro.
C’è un ulteriore passo in più: il super cashback. Si tratta di un premio di 3.000 euro per i virtuosi dei pagamenti digitali ma solo i primi 100mila potranno ricevere questo incentivo.
Quali sono i punti deboli?
Ci sono alcuni interrogativi che è bene mettere in luce e risolvere prima che il cashback di Stato diventi effettivo. In primo luogo, alcuni esercenti sono ancora restii a mettere a disposizione questa tipologia di pagamento: è necessario quindi aprire un dialogo con i diversi sistemi bancari per alleggerire i costi che le attività devono sostenere per ogni transizione. Tecnicamente, l’utilizzo del POS, il dispositivo elettronico che permette di mettere in comunicazione i conti correnti del soggetto pagante e del soggetto ricevente, è stato reso obbligatorio con la Legge di bilancio del 2014, anche se all’epoca non furono previste sanzioni per gli esercenti che non offrivano questo servizio. Dopo alcune modificazioni nel 2016 (introduzione delle carte di credito e l’abbassamento della soglia minima a 5 euro), con l’ultima Legge di bilancio sono state attivate le sanzioni per le attività commerciali che non consentono il pagamento digitale: una sanzione amministrativa pecuniaria di importo pari a 30 euro, aumentata del 4% del valore della transazione.
Oltre a questo obbligo, tuttavia, lo Stato ha previsto anche un incentivo, sotto forma di credito d’imposta, pari al “30% delle commissioni addebitate per le transazioni effettuate mediante carte di credito, di debito o prepagate”.
Per sradicare ulteriormente la cultura del “nero” in Italia è opportuno anche tenere in considerazione che in determinate aree geografiche il pagamento cashless è molto più diffuso e utilizzato rispetto ad altre: bisognerebbe valutare e promuovere una copertura più omogenea dei pagamenti digitali a livello nazionale. Secondo il report 2020 di Community Cashless Society, la piattaforma dedicata alla produzione di contenuti inerenti ai pagamenti elettronici del gruppo The European House Ambrosetti, ha dimostrato che l’Italia è uno tra i paesi a livello mondiale che dipende maggiormente dal contante, classificandosi al 28° posto. Facendo un close up sul nostro paese e prendendo in considerazione l’indice regionale, al primo posto come regione con più transizioni cashless troviamo la Lombardia per il terzo anno consecutivo, seguita da Toscana ed Emilia Romagna. Dal lato opposto sono presenti le regioni del Mezzogiorno (Sicilia, Campania, Puglia, Abruzzo, Molise e Calabria). Dall’analisi risulta come nella fascia più bassa della classifica ci sia un miglioramento dal punto di vista infrastrutturale (vale a dire una maggiore dotazione di POS e ATM) ma la domanda di pagamenti elettronici e digitali è ancora in fase di sviluppo.
Come superare quindi questo stallo? Secondo gli analisti, il contante è diventato ormai un’abitudine: è bene fornire una adeguata e corretta educazione finanziaria ai giovani e agli anziani, i maggiori utilizzatori del contante, che considerano ancora oggi i pagamenti digitali poco sicuri. Tuttavia, il futuro del cashless è positivo: i dati e le opinioni degli italiani sono a favore di un uso sempre più largo ed efficace uso dei pagamenti elettronici, dimostrando fiducia nel “Piano cashless” del governo.