SCIENZA E RICERCA

Cereali, legumi e tuberi: ecco la dieta dell’uomo neolitico del Sudan orientale

Alcuni ricercatori delle università di Padova, “La Sapienza” di Roma, “L’Orientale” di Napoli, Coimbra (Portogallo) e del Museo delle Civiltà di Roma hanno rivelato, a partire dall’analisi del tartaro dentale, le abitudini alimentari di gruppi umani che vivevano in Sudan orientale durante il Neolitico, tra il IV e il II millennio a.C. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports nello studio dal titolo Direct evidence of plant consumption in Neolithic Eastern Sudan from dental calculus analysis.

Qual era la dieta dell’uomo del Neolitico? Si basava davvero prevalentemente sulla pastorizia, come suggerisce l’immaginario comune? Lo abbiamo chiesto a Giusy Capasso, prima autrice della pubblicazione e dottoranda al dipartimento dei Beni culturali dell’Università di Padova.

Partiamo dall’inizio: come è nato questo progetto sul tartaro?

Questo studio fa parte di un progetto di ricerca più ampio, che mira a ricostruire la preistoria del Sudan orientale integrando evidenze archeologiche, geomorfologiche e bioarcheologiche. In particolare, l’obiettivo degli studi bioarcheologici è di ottenere informazioni relative a sesso, età, morte e stato di salute degli individui e di ricostruire, attraverso tecniche analitiche, aspetti legati allo stile di vita delle popolazioni del passato, come mobilità e strategie alimentari.

L’Italian Archaeological Expedition to the Eastern Sudan – la missione dell’Università “L’Orientale” di Napoli e dell’Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente (IsMEO), di cui sono membro – è attiva sin dal 2010, ma in realtà “L’Orientale” è presente nel Paese dal 1980 e nel corso degli anni le campagne di scavo hanno portato alla luce diversi siti archeologici che hanno fornito informazioni fondamentali sul paleoambiente, sul profilo di gruppi umani che abitavano il luogo e sulle relazioni che intercorrevano nell’antichità tra il Sudan orientale e altre aree (come Mar Rosso, deserto orientale, altopiano etiopico-eritreo, Egitto e penisola araba).

In particolare, la nostra domanda di ricerca riguardava lo sfruttamento alimentare delle risorse vegetali in Sudan orientale durante il Neolitico, perché l’ipotesi prevalente era che l’economia neolitica in questa regione fosse principalmente basata sulla pastorizia. Questa interpretazione, però, era viziata dal fatto che le evidenze archeologiche (i resti scheletrici animali) si conservano meglio rispetto a quelle archeobotaniche. Tuttavia, precedenti studi archeobotanici e genetici avevano già dimostrato che il Sudan orientale, e in particolare l’area del Delta del fiume Gash, nella regione di Kassala, è stata un’area importantissima per la domesticazione di alcune specie vegetali. Ad esempio, qui è stato domesticato per la prima volta il sorgo, nel IV millennio a.C., e sempre dal Sudan orientale, a partire dal II millennio a.C., alcune delle principali colture africane sono state diffuse fuori dal continente.

Anche altri tipi di evidenze indicavano l’importanza delle risorse vegetali per l’economia dei gruppi neolitici: in primis la presenza di strumenti litici nel record archeologico, come macine, macinelli e pestelli, legati ai processi di macinazione dei cereali. Altro elemento importante è che, nel passaggio da Mesolitico al Neolitico, in Sudan orientale si registra un aumento di patologie orali, come la carie: questo fenomeno potrebbe essere legato a un incremento nel consumo di carboidrati a base agricola a partire dal Neolitico. Tuttavia, nonostante la presenza di tutti questi elementi che dimostrassero l’importanza dello sfruttamento delle risorse vegetali nell’economia neolitica del Sudan orientale, fino ad oggi non avevamo informazioni dettagliate su quali fossero i tipi di vegetali inclusi nella dieta.

Noi abbiamo avuto la fortuna di svolgere queste analisi nel laboratorio DANTE (Diet and Ancient Technology) per lo studio della dieta e della tecnologia antica dell’Università “La Sapienza” di Roma, guidato dalla professoressa Emanuela Cristiani, da cui ho imparato le varie fasi dello studio del tartaro archeologico, dal campionamento al trattamento chimico dei campioni, fino alla lettura delle evidenze al microscopio. Grazie alla vasta collezione di confronto del laboratorio, che conta più di trecento specie vegetali dell’area del Mediterraneo, è stato possibile identificare nel tartaro evidenze di legumi, cereali e tuberi che erano parte della dieta neolitica in Sudan.

Si può dire che l’uomo del Neolitico del Sudan orientale avesse una dieta vegetale ben integrata?

Sì, è corretto: lo sfruttamento delle risorse vegetali nella vita neolitica era centrale.

In genere, per ottenere informazioni più dettagliate sulla paleodieta, in archeologia si ricorre all’analisi degli isotopi stabili di carbonio e azoto, che si basa sul principio secondo cui il collagene umano conserva la firma isotopica degli alimenti consumati durante la vita di un individuo. Infatti, la composizione isotopica di carbonio e azoto nel collagene può variare a seconda degli alimenti consumati in vita. Purtroppo, il Sudan orientale è una zona estremamente arida e quindi il collagene umano non si è conservato. Ecco perché il tartaro è l’unico strumento per ottenere qualche informazione aggiuntiva sulla paleodieta: avevamo già molte prove del consumo di vegetali, insieme alla pastorizia, ma adesso abbiamo anche rivelato che tuberi, legumi e cereali fossero le specie maggiormente consumate nel neolitico.

Abbiamo deciso di analizzare il tartaro di 37 individui di fasi cronologiche diverse, dal Neolitico iniziale al Neolitico tardo (tra il IV e il II millennio), per avere un’idea di come lo sfruttamento delle risorse vegetali sia cambiato nel corso del tempo. La presenza di alterazioni morfologiche su alcuni amidi ci ha permesso di identificare tecniche di preparazione come la macinazione e la cottura e di ampliare, quindi, le nostre conoscenze sulla trasformazione degli alimenti nel Neolitico africano.

È stato possibile ricostruire, inoltre, le strategie di adattamento dei gruppi umani in risposta all’evoluzione del clima e del paesaggio nel corso del tempo. Mi spiego meglio: sappiamo che, a partire dal II millennio a.C., il Sudan orientale assiste a un inaridimento del clima. In accordo con questo dato, da quel momento nel tartaro dentale degli individui troviamo solo sorgo e tuberi, che sono specie resistenti ai climi aridi. Questo testimonia un adattamento dei gruppi umani neolitici all’evoluzione del clima e del paesaggio.

Oltre alla dieta, quali altre informazioni fornisce il tartaro?

Sempre rimanendo in Sudan – area per la quale sono state condotte molte ricerche sul tartaro umano –, uno studio del 2014 ha permesso di identificare il consumo di una specie vegetale, il cyperus rotundus, per scopi non alimentari ma medici. Oppure, spostandoci nel sud Italia, nel sito risalente all’età del Bronzo di Gricignano d’Aversa (Campania), sono state trovate fibre di canapa nel tartaro di alcuni individui e questo, associato a un’analisi micro a macroscopica delle usure dentarie, ha permesso di rivelare che nel sito in realtà si lavorasse la canapa anche mediante l’uso dei denti come terza mano per aiutarsi nelle attività artigianali. E ancora, nel 2022, in uno studio a cui ha partecipato anche l’Università di Padova è stato comparato il microbiota orale di gruppi di cacciatori-raccoglitori con quello di individui neolitici e dell’età del rame in 15 siti del centro e sud Italia ed è stato possibile approfondire la transizione neolitica in quest’area che ha comportato, tra le altre cose, la proliferazione di alcuni ceppi batterici.

Lo studio del tartaro ha veramente un grande potenziale perché al suo interno possono restare intrappolati frammenti di piante, fibre, pollini, batteri e residui che consentono, se ben interrogati, di ricostruire aspetti chiave nella vita delle popolazioni antiche legati a dieta, ambiente, salute e, in generale, allo stile di vita dei nostri antenati. Per nostra fortuna, il tartaro dentale è resistente alle alterazioni post-deposizionali ed è abbondante nei contesti archeologici, grazie anche alla scarsità di pratiche igieniche del passato.

In che direzione proseguirà questa ricerca? Sono in programma altre spedizioni?

Fortunatamente, nel corso degli anni abbiamo importato in Italia diversi campioni che ci permettono di continuare le nostre ricerche sul Sudan orientale anche a distanza.

A questo proposito, vorrei ricordare la situazione attuale del Paese: al momento tutte le operazioni archeologiche in Sudan sono sospese a causa della sanguinosa guerra civile iniziata ad aprile 2023. Si tratta di un disastro umanitario senza precedenti nel Paese, con un’altissima percentuale di morti e sfollati. La mia speranza è che il Sudan ritrovi la tranquillità perduta, noi tutti ci auguriamo di tornarci prima possibile sia per continuare la ricerca sia – ed è la cosa più importante – perché speriamo che questa guerra finisca presto. Questo argomento mi tocca personalmente perché so cosa significa parlare quasi quotidianamente con amici sudanesi e improvvisamente perdere ogni contatto con loro.

Per quanto riguarda gli studi futuri, come detto, anche a distanza la ricerca non si ferma, ma il Sudan è un paese bellissimo, con una storia millenaria e una cultura ricchissima e, ovviamente, quello che si trova lì nel sottosuolo è ancora tutto da scoprire.

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